di Francesco De Luca
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Stamane (28 maggio) ho passato la mattinata a Le Forna. Ho lasciato il disordine del Porto e mi sono recato a Le Forna. Non starò a dirvi il perché ma vengo a parteciparvi le mie impressioni.
Ebbene Le Forna è chiamato l’insieme dei luoghi dove sono situati i rioni di Campo Inglese, Cala Feola, la Chiesa, la Piana, Calacaparra. Tutti rigorosamente collocati nella zona nord dell’isola. Quella che era rimasta intoccata dalla colonizzazione borbonica del 1734. Intoccata perché esposta alle razzie dei Mori e non sufficientemente protetta.
Il versante nord dell’isola, quello che guarda Monte Circeo. Con cale riconosciute e valorizzate dai pescatori ischitani e torresi, ma priva di porto, di uno spiano dove insediare Uffici statali e Guarnigione militare. Nonostante lo sforzo colonizzatore di re Carlo di Borbone lo stato selvatico dell’isola lo sviliva giacché l’agglomerato urbano, magnificamente realizzato nella zona sud dell’isola, col Porto, Chiesa, Municipio, Torre a difesa, Cimitero, e vie di locomozione, era costantemente insidiato da quella zona dell’isola da cui aspettarsi sciagure. In primis: le incursioni dei Mori.
Tanucci (ministro illuminato del Re di Napoli) trovò agevole convincere la Corte che l’interesse del regno era, fra l’altro, anche quello di far fruttare il suolo delle isole ponziane e, pertanto, occorreva procedere ad insediare ulteriori coloni anche nel restante territorio. Quello dell’ attuale Le Forna.
L’eruzione del Vesuvio (1767) suggerì anche motivazioni di pietà cristiana. Per cui fu data libera facoltà agli abitanti di Torre del Greco, privati dei terreni dalla rabbia del Vesuvio, di insediarsi a Ponza, scegliersi appezzamenti e quivi prosperare.
L’intervento del Re questa volta non fu munifico. Non si crearono strade, né porti, né Uffici. Si eresse la Chiesa (dedicata alla Madonna Assunta), si costruì su un promontorio un Fortino (forte Papa) per il dislocamento di una guarnigione militare, 350 gradoni furono intagliati nella falesia che da Cala Inferno porta nella sovrastante zona Chiesa (praticamente erigendo la via marina come quella ottimale per raggiungere il nascente borgo). Borgo al quale fu lasciato il nome col quale si indicavano le cale: fornelle.
Il perché di questo nome è da cercarsi nella presenza, in quelle cale, di forni, dove si cuocevano manufatti di bianchetto (caolino o bentonite).
Lo Stato borbonico fu sparagnino, bisogna ammetterlo, giacché non si inventò nemmeno un nome decente per rendere ufficiale l’insediamento di quei coloni in quel territorio. Si chiamò i Forni, poi le Forne e poi, per intervenuta distorsione Le Forna.
E qui stamane sono andato. E una subitanea impressione mi ha colpito. Il Porto è il luogo del caos e Le Forna è il luogo della quiete. Si lascia il traffico, l’intasamento, l’affollamento di chi chiama, attende, impreca. Subito dopo il Campo Inglese, allorché si scende il versante nord, s’apre un vivace quadro con Cala Feola placida e tranquilla, la Chiesa attorniata da case, la Montagnella, e l’altro dietro. Tutto un rigoglìo di verde. Di profumo di ginestra. Direte… era una giornata da sogno! È vero… e Le Forna lascia sognare. Poche macchine, nessun frastuono, nessun intoppo.
A Ponza si vive di turismo, e Le Forna offre alle vacanze motivi in più in quanto a serenità, a cordialità di rapporti, a possibilità di godere del mare di scoglio. Che è diverso da quello della spiaggia.
Fidatevi di un isolano!
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Appendice del 4 giugno 2023 (cfr. Commento di Biagio Vitiello)
Dal libro:
Biagio Vitiello
4 Giugno 2023 at 09:30
Stimolato dall’articolo di Francesco De Luca: “Le Forna, un valore aggiunto”, vorrei fare delle precisazioni, in quanto discendente dai colonizzatori di Torre del Greco.
Il Tricoli nella sua Monografia (citata da De Luca) specifica che la seconda colonizzazione – quella dei Torresi a Le Forna, 1772-1774 -, avvenne sotto il regno di Ferdinando IV; perché alla morte di Filippo V (re di Spagna), il figlio Carlo lo sostituisce su quel trono, e il figlio di Carlo, Ferdinando, ascende ancora minorenne sul trono di Napoli: 1759.
È vero che l’eruzione del Vesuvio del 1767 era stata spaventosa, ma fu un’altra, quella del 1770, che diede il via alla colonizzazione torrese (1772-1774). Fu a partire da queste date che si intraprese la colonizzazione della parte nord dell’isola: si costruirono la scalinata di Cala Inferno, il Forte Papa e la Chiesa che venne ingrandita col passare degli anni.
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Per dare maggior sostanza a quanto scrivo, allego dei documenti, tratti dal libro “Le isole Pontine attraverso i tempi”.
Le pagine dal libro annesse all’articolo di base, a cura della Redazione (il sistema per i Commenti non prevede foto – ndr)