Scrittori

Per Alessandro Manzoni, nel 150esimo anniversario della scomparsa

segnalato da Sandro Russo

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Ho assistito ieri sera al Teatro Manzoni di Roma, in coda ad un altro evento, pure annunciato sul sito (leggi qui), alla presentazione di un libro di recente uscita. Ne parlavano, insieme all’autrice Eleonora Mazzoni, Paolo Di Paolo e Filippo La Porta, vecchie conoscenze entrambi (di Paolo Di Paolo, che scrive su la Repubblica abbiamo condiviso diversi articoli).
Presentazione molto varia e interessante, con letture dal libro, di Giorgio Marchesi. Il tema trattato – e svolto nel libro, biografia e saggio insieme – ha riguardato l’attualità della lezione di Alessandro Manzoni (Milano, 1785 – 22 maggio 1873), la sua grande apertura mentale, in anticipo sui tempi (è vissuto nell’epoca in cui l’Italia settentrionale, Milano in particolare, era ancora sotto il giogo austriaco!).

Il frontespizio e il risvolto secondo di copertina del libro di Eleonora Mazzoni (Einaudi 2023)

A corollario delle celebrazioni manzoniane, ho trovato su la Repubblica di oggi 23 maggio, un articolo di Corrado Augias sulla rievocazione del presidente Mattarella (ieri a Milano per l’occasione) e ho ritenuto di parteciparla ai lettori del sito.

Ieri a Milano cerimonia commemorativa con il Presidente della Repubblica al Famedio (1) del Cimitero monumentale

 

Manzoni e la sua Italia di umili e giusti contro l’arroganza dei predatori
di Corrado Augias – da la Repubblica di oggi 23 maggio 2023

La lettura “politica” del presidente Mattarella
Lo scrittore era uno di quei cattolici che evitavano di agitare i fantasmi di un passato che non reggeva più l’urto della modernità

Il presidente Mattarella ha visto Manzoni in un’ottica che supera la dimensione letteraria. Nell’immenso romanzo, nella vicenda di quello scrittore, ha letto in filigrana le storie nostre qui e oggi; Renzo e Lucia sono diventati i protagonisti di una saga che ha come teatro noi, e l’Italia. Il presidente ha fatto di “don Lisander” l’interprete di fatti che superano quel XVII secolo in cui si svolge la vicenda, superano anche l’ottica ottocentesca nella quale Manzoni è vissuto e ha scritto per guardare alle incertezze e alle miserie del presente. Ha detto il presidente: «È la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e di protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione». Parole che spengono i tentativi non sappiamo se più goffi o maligni di resuscitare categorie come l’etnia, la stirpe, la razza, condannate per sempre dalla storia — e dall’antropologia.

Manzoni era cattolico ma uno di quei cattolici che capivano i tempi, evitavano di agitare gli inutili fantasmi di un passato che non reggeva più l’urto della modernità. Quando il 20 settembre 1870 i bersaglieri posero fine al dominio temporale dei papi, lo scrittore si rallegrò non perché apprezzasse la violenza di qualche cannonata contro le mura di Roma, gioì perché vedeva la fine ad un equivoco divenuto intollerabile, perché capiva che l’azione spirituale della Chiesa aveva tutto da guadagnare dalla perdita dei fardelli e degli intrighi della politica.

Così ragionano gli spiriti presaghi, le intelligenze consapevoli. Lo scrittore sapeva di che cosa è fatta la sopraffazione e la connivenza, di questo scrive. Mette in pagina l’Italia degli umili e dei giusti, gli contrappone l’Italia degli arroganti e dei predatori. Qual è infatti l’Italia dei Promessi sposi?

Che posto occupiamo noi in quell’atroce storia? In quel romanzo disperato, come lo definì giustamente Leonardo Sciascia? Siamo, per esempio, testimoni di quanto accade nel quinto capitolo quando Fra’ Cristoforo sale al palazzo di don Rodrigo per distoglierlo dal progetto criminale di portare a letto per capriccio la promessa sposa di un poveretto. Il frate viene ammesso nella sala da pranzo, vi trova don Rodrigo, circondato dai suoi amici e complici. Alla destra siede il cugino conte Attilio, a sinistra il podestà ovvero «quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a far stare a dovere don Rodrigo». Di fronte al podestà, siede ossequioso, pronto a ridere ad ogni parola del padrone di casa, l’avvocato Azzecca-garbugli eccetera.

Ha detto il presidente Mattarella a Milano: «Figlio del proprio secolo, Manzoni ha avuto la peculiarità — che appartiene solo ai grandi — di gettare sulla società e sulla realtà storica del suo tempo uno sguardo lungimirante, capace di andare oltre». Qui è la prova. Dove l’abbiamo vista la scena descritta nel quinto capitolo? Dove l’abbiamo letta? L’abbiamo vista al cinema, letta nei romanzi sulla mafia e sulla camorra; l’uomo di potere siede a tavola, ride e beve con i custodi della legge, gli stessi che dovrebbero difendere gli umili dalla sua arroganza. È andato così oltre, Manzoni da arrivare fino a noi. Quale differenza con il misero sguardo, le paure, di chi non osa progettare per il bene di tutti perché teme di compromettere il bene proprio. Mattarella: «Bisogna riflettere sulla tendenza, registrabile in tutto il mondo, delle classi dirigenti a assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno attraverso i sondaggi». Quando parlava dei Promessi Sposi, il grande critico Ezio Raimondi non si stancava di ripetere che un’appendice indispensabile alla vicenda di Renzo e Lucia, quasi un ultimo capitolo, è la storia della colonna infame. Se nel romanzo, pur nella tragedia, si apre qualche spiraglio di luce, nella Colonna ogni luce è scomparsa «La Colonna infame resta per sempre il luogo della percezione della tragedia che a un certo punto diventa silenzio […] battaglia tra la verità e l’errore, l’innocenza e la colpevolezza, la giustizia e il potere».

È stata bella la lettura che il presidente Mattarella ha dato del nostro massimo capolavoro ottocentesco. Anche lui, come Manzoni, appartiene a quella cultura cattolica di ampia liberale visione che molto ha contribuito all’incivilimento del nostro paese. La sua lettura “politica” è stata non solo giusta ma necessaria — forse addirittura utile — in un momento di enorme confusione dove troppi rappresentanti delle istituzioni appaiono pericolosamente disorientati.

Tra le parole del romanzo citate nell’intervento c’è anche una frase che suona come un monito di fronte a tante tremebonde cautele: «Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».

Vengono anche da qui, le tragedie.

[Di Corrado Augias, da la Repubblica del 23 maggio 2023]

Un’antica edizione deI Promessi Sposi

Nota (a cura della Redazione

(1) – Alessandro Manzoni è sepolto al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano dal 1873. Qui si trovano solo otto personaggi illustri. Al centro riposa lo scrittore, negli altri due sarcofaghi in sala si trovano i resti di Luca Beltrami e Carlo Cattaneo. Nei colombari riposano invece Salvatore Quasimodo, Carlo Forlanini, Bruno Munari e Leo Valiani. Dal 2021, infine, si trova sepolta anche la ballerina Carla Fracci.
Originariamente progettato da Maciachini con la funzione specifica di cappella cattolica, l’edificio tra il 1869 e il 1870 viene destinato a luogo di sepoltura, celebrazione e ricordo dei milanesi ‘illustri’ di origine o di adozione.

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