di Amelia Ciarnella
Il denaro può essere utile e dannoso allo stesso tempo poiché alle persone oneste che si contentano del normale, permette di vivere dignitosamente bene. Invece per certuni, già avidi e avari per natura, il denaro è come una calamita che li attira inesorabilmente portandoli anche a truffare e imbrogliare pur di “accaparrarsene” tanto.
Secondo me, per costoro, deve essere come una specie di “malattia mentale”. A volte si nota su persone già ricche, sole e senza prole. Ce ne sono di ogni tipo, perfino preti. L’avidità è sempre “onnipresente” in ogni categoria di persone.
Nel mio paese antico viveva una ricca zitella, rimasta famosa per la sua grande avidità e avarizia. Aveva l’abitudine di andare in chiesa non per pregare come ogni buon cristiano, ma soltanto per chiedere al Padreterno di farle aumentare i suoi già numerosi possedimenti.
Attaccata al muro vicino l’altare maggiore c’era una grande croce di legno con sopra la statua del Cristo morto che annualmente nel periodo pasquale, si portava in processione per ricordare la tragedia della crocefissione di Gesù. La zitella ogni volta che andava in chiesa, convinta che Dio da sopra quella croce così in alto non potesse sentirla, finita la messa si avvicinava all’altare e appena tutti gli altri erano usciti di chiesa, lei da sotto la croce faceva a Dio la sua solita richiesta ad alta voce.
Un giorno dietro l’altare c’era il sacrestano che si era attardato per sistemare alcune cose e, sentita involontariamente quella strana “preghiera” della zitella che conosceva molto bene poiché famosa in paese per la sua ricchezza e avidità, ebbe un’idea truffaldina e facendo una voce diversa, come venisse dall’oltretomba disse: “Porta una salma di grano al Sacrestano e la grazia ti sarà compiuta”. La zitella credette in pieno alla voce del “Padreterno” e si precipitò a caricare la salma di grano sull’asino, andando a depositarla in casa del sacrestano, dicendogli che era un’offerta per la chiesa. Così facendo il sacrestano in poco tempo riempì di grano il suo granaio fino a che, un abitante del posto, visto e sentito ogni cosa, fece la spia al vescovo che, dopo una breve inchiesta, licenziò il sacrestano e trasferì il parroco.
In un altro paesino, sempre a quei tempi, c’era un mulino esistente da moltissimi anni, il cui proprietario esperto commerciante, lo aveva sempre curato personalmente facendolo funzionare e fruttare molto bene. Quel mulino aveva dato benessere e tranquillità economica a molte generazioni della sua famiglia, fino a che a causa di una brutta e improvvisa malattia, aveva dovuto lasciare il mulino cedendolo a suo figlio, poco più che ventenne e con pochissima esperienza.
Dopo alcuni mesi, il giovane figlio, sentendosi incapace di gestire da solo quel mulino nel suo complesso, che invece di andare avanti andava indietro e a volte ci rimetteva anche di suo, giunse alla decisione di chiuderlo definitivamente e cercarsi un altro lavoro.
Un vicino di casa, vedendolo piuttosto triste e immaginandone il motivo, gli raccontò che il cognato aveva la sua stessa attività e aveva avuto l’identico suo problema che oltretutto lo stava portando ad una grave depressione. Un giorno una zingara bussò alla sua porta per chiedere qualcosa e lui generosamente l’accontentò. Lei in cambio gli lesse la mano indovinando esattamente ciò che gli stava succedendo e, con parole sue di zingara, lo incoraggiò ad andare avanti, concludendo col dire che: “Chi ruba poco è fesso e va in galera – chi ruba assai è dritto e fa carriera!” E quella “massima” che suo cognato non aveva mai sentito lo divertì molto spronandolo a continuare, facendogli venire anche nuove idee che gli portarono una fortuna inaspettata: seppe organizzarsi talmente bene che, senza rubare come la zingara diceva, i suoi clienti si moltiplicarono all’infinito ed ebbe un enorme successo tanto che il suo mulino diventò il più rinomato e frequentato dell’intera zona.
Il giovane che voleva chiudere il mulino ascoltò con apprensione e non sapendo cosa fare decise di aspettare. Il giorno seguente ricevette la visita di suo padre che, alquanto migliorato dalla brutta malattia, volle andare a vedere come funzionava il mulino e sapere come se la cavava suo figlio. Ma trovandolo piuttosto triste e sconfortato, cercò le parole più adatte e valide per incoraggiarlo, convincendolo ad andare avanti. Aggiungendo inoltre che ogni inizio di attività è così per tutti, ma in particolare per chi è ancora inesperto e nuovo del mestiere. Però proseguendo e insistendo con tenacia e caparbietà, pensando che quel mulino aveva mantenuto nel benessere diverse generazioni della sua stessa famiglia, avrebbe scoperto senz’altro il sistema per farlo fruttate come nei tempi passati.
E infatti così fu. Poiché le parole di suo padre furono di grande incoraggiamento e aiuto per il giovane inesperto che, in breve tempo, trovò anche lui il metodo giusto per far rendere al meglio il suo mulino, risolvendo in modo ottimale la sua situazione economica, facendo tornare il benessere e la serenità in tutta la famiglia.
Ma il mondo è vario, pieno di gente una diversa dall’altra e ce ne sono di ogni tipo, fra i tanti se ne può incontrare anche qualcuno capace di donare anziché prendere: come quell’uomo benestante vissuto anche lui nel mio paese che non conosceva né avarizia né avidità, ma era buono e generoso al massimo.
Dopo la morte dei suoi genitori rimase completamente solo e scapolo, poiché amava godersi la vita tranquillo senza l’intrusione di nessuno, tanto meno di una moglie. Aveva dato i suoi numerosi terreni ad alcuni amici bisognosi con famiglia, in cambio di un pasto al giorno sia per lui, che per la sua puledra e poter vedere sempre le sue campagne curate e coltivate nel migliore dei modi.
Ogni giorno si recava in un possedimento diverso sia per ammirare le coltivazioni in corso, che per svagarsi chiacchierando con l’amico e colono di turno che inevitabilmente lo invitava a pranzo, raccontandogli anche tutte le novità del giorno compreso qualche problema che riguardava il terreno. Nel qual caso lui dava sempre con piacere e affetto molti consigli come fossero stati tutti suoi familiari. E trascorreva così le sue giornate sempre in luoghi di campagna, godendosi la vita senza annoiarsi mai, rientrando in paese soltanto al tramontar del sole sempre felice, tranquillo e soddisfatto.
Però un giorno ebbe un terribile dispiacere che lo lasciò distrutto e quasi annullato dal dolore. Successe che mentre attraversava a cavallo della sua puledra un terreno molto erboso, la cavalla calpestò una vipera che prima di morire fece in tempo a mordere la zampa della povera bestia senza che il contadino si accorgesse di nulla. Dopo pochissimo tempo il veleno fece il suo effetto e la povera cavallina cominciò a rallentare l’andatura diventando improvvisamente debole e stanca, finché si fermò del tutto afflosciandosi per terra, dove morì alcuni istanti dopo.
Il suo padrone vedendola “fulminata” in quel modo senza alcun motivo apparente, disperato, si precipitò dal veterinario per sapere per lo meno di quale malattia fosse morta, ma al professionista bastò solo uno sguardo per scoprirne la causa. Infatti la zampa della povera bestia era così gonfia che la pelle tesa metteva bene in evidenza i fori prodotti dai denti della vipera che l’aveva morsicata avvelenandola. Il contadino si disperò e la pianse come fosse stata una persona cara di famiglia, ma poi non potendola riportare in vita si dovette rassegnare. Il giorno successivo dopo aver seppellito il corpo della giumenta davanti la sua casa, andò a cercare il parroco del paese per farle dire una messa in suffragio della sua anima e lo trovò che stava chiudendo la chiesa per tornarsene in canonica.
Ma quello sentita la richiesta si rifiutò categoricamente di celebrare la messa ad una cavalla, per non riempirsi di ridicolo e farsi prendere addirittura per matto! Perciò ritenendo chiuso il discorso si avviò verso l’uscita. Ma il contadino non si arrese e ricordandosi che quel prete era famoso per la sua avarizia e aveva un debole per il denaro, correndogli dietro gli disse “Signor curato, ma io la messa non la voglio gratis, se voi me la dite vi do trenta carlini!” Il curato che era già sulla porta, si fermò di botto come avesse ricevuto un colpo in testa, poiché trenta carlini a quei tempi era una cifra considerevole e voltandosi a guardarlo per accertarsi di aver capito bene, gli rispose subito con un viso disteso e sorridente: “Se le cose stanno così, la cosa si può fare!”. E chiamato subito il sacrestano gli disse allegramente improvvisando anche una rima:”Pasquà, prepara tutto e bene che per carlini trenta si dice la messa alla giumenta”
E quella rima piacque così tanto al sacrestano che la diffuse subito in paese, facendo passare alla storia di Tufo il Parroco, il contadino, e la storia della giumenta.