Editoriale

Epicrisi 417. È primavera, forse

di Enzo Di Giovanni

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È arrivata la primavera. E non solo: il 21 marzo è una data fortemente simbolica, speciale.
Quanti di voi sapevano che “È la giornata mondiale della sindrome di Down, la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, la Giornata mondiale della Poesia, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, è una delle giornate dedicate agli alberi”?

È poi il simbolo della Rinascita, del risveglio dal letargo.

A Ponza si avverte più che altrove. L’alternanza delle stagioni la viviamo in maniera significativa sia nella natura, che nell’assetto sociale. E il bello è che la percezione del mutamento è del tutto soggettiva, perché tante sono le anime che configurano la vita da isolano.

La fine dell’estate può essere percepita come la fine della bella stagione, ma anche come il periodo di stacco necessario, rigenerante, dopo la baldoria estiva che porta guadagni, sì, ma anche spersonalizzazione.
L’isola che si spopola d’inverno comporta perdita di socialità, ma anche un senso di pace per quelli che dal turismo vengono solo lambiti e trovano conforto nel riappropriarsi del territorio.
Al contempo, quelle persone che vivono per lo più solo in primavera ed estate a Ponza “svernando in continente” tra gli strali di chi resta, possono sì godere delle comodità e dei servizi della terraferma, ma con quel velo di insoddisfazione di chi si sente un esule, come ci testimonia Silverio Lamonica nel suo sonetto.

Insomma, a Ponza non ce la raccontiamo giusta. Nel senso che ognuno di noi vive in  un mondo suo, con pochi riferimenti collettivi che siano identitari.
Non c’è continuità: forse è questo il nocciolo. Da noi non abbiamo l’alternanza delle stagioni: abbiamo la sovrapposizione, tutt’altro che naturale, di mondi diversi che mal si compenetrano, e ancor meno si compensano.
Le stagioni non si susseguono, al massimo si sopportano. E in un quadro così schizofrenico, è chiaramente il territorio a soffrirne.

Basta prendere due articoli “a caso” della settimana appena trascorsa: il Comitato Samip che scrive al sindaco lamentandosi del mancato controllo, e l’appello-richiesta del sindaco ai cittadini affinché abbelliscano la propria zona.

I segnali di fumo servivano a comunicare a distanza, mentre noi facciamo fatica a comunicare da vicino…

Sono stato indeciso se menzionare i numerosi commenti – tratti da Facebook – al pezzo di Francesco De Luca.
In linea di massima, a proposito di mondi diversi, credo che un sito come Ponzaracconta abbia ben poco da spartire con Facebook. Differenti i linguaggi, differenti gli scopi.
Eppure colpisce un aspetto comune in molti di questi commenti: il considerare Ponzaracconta non un luogo di incontro, uno strumento seppur virtuale in cui chiunque possa interagire e costruire un’appartenenza possibile, ma piuttosto un’entità a parte, che può piacere o meno, ma chiusa in se stessa, impermeabile come tutto ciò che si muove intorno a questa comunità.

Comunità: insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni.
Così si legge su un qualunque dizionario. Non è difficile evincere che a monte, prima ancora dello spopolamento, della perdita di servizi, del mancato controllo del territorio, c’è l’incapacità di sentirsi parte di un tutto, essendo più semplice giudicare – o addirittura gridare al complottismo così di moda – piuttosto che partecipare.

Questo è il peccato originario che paghiamo: l’individualismo sfrenato che a Ponza soffoca – più dello spopolamento – perché non si cresce se non si fa gruppo.
Nel nostro specifico, nel nostro piccolo specifico, Ponzaracconta è esattamente l’opposto: uno spazio libero in cui chi ha cose da dire può farlo, semplicemente, partecipando così alla sua costruzione.

Anche perché, a fare da contraltare allo scarso sentimento comunitario che abbiamo, c’è la straordinaria bellezza e ricchezza – nel senso di biodiversità – del nostro arcipelago, che per fortuna esiste e si rigenera nonostante noi.

Se ogni tanto provassimo ad abbracciare un albero, o anche un arbusto visto che di alberi ne abbiamo pochi, male non faremmo.

Anzi, per dirla con le parole illuminanti della poetessa Chandra Candiani: “Coloro che ritengono di conoscere vivono soltanto esperienze di seconda mano, senza accedere ad alcuna intimità e vacillando dinanzi al non conosciuto”.
E a Ponza, di non conosciuto, vi è tanto.

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