di Francesco De Luca
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Sotto quei cappellacci di lana grossa i visi non risplendono. Anche perché sono visi barbuti, o meglio, con quella peluria irsuta che, forse, protegge dal freddo. Perché questo inizio di marzo sembra voler ricordare che la coda (dell’inverno) è la più dura da scorticare.
Si cammina in fretta, rincorsi dal disagio invernale che cassa ogni limpido pensiero. Come si fa ad essere sereni? Il mare è agitato. Circonda come una corda che stringe.
La quotidianità sull’isola è un nodo scorsoio in tensione.
Francuccio in quella catena sembra un’anima in pena. Si muove da una parte all’altra e infoltisce di erba strappata un mucchio da bruciare. Ma non si può… è più prudente non istigare il vento! Così, cerca nel movimento di aumentare la temperatura corporea.
“Chissà se la nave verrà…” – È una domanda che non si esplicita ma la cui risposta si cerca di cogliere dai gesti di chi frequenta il molo d’attracco. E’ ancora presto, gli ormeggiatori non compaiono coi loro giubbotti sgargianti. A figurare un’animazione. Disperazione, forse.
Eppure sotto quei cappellacci di lana grossa brillano gli occhi. Sono, più di frequente, occhi di vecchi. Velatamente brillano. Non recalcitrano, anzi, sono sedati. La realtà rassegnata li vede consenzienti. Intorno ai tricicli della frutta, incamminati in direzione della panetteria, o della macelleria. In pescheria non è il caso di passarci perché sono due giorni che il mare impedisce la pesca. Meglio visitarla quando il pesce fresco sollecita la decisione: meglio una frittura di calamari o la zuppa con scorfani e pesce sanpietro?
La mattinata scorre. In campagna sarebbe ora di potare le viti, ma fa freddo. Apostrofa un compaesano: “non ci provo proprio, meglio stare vicino al camino…”
“E tu hai il camino in casa?”
“Sì” – risponde – e scappa col motorino.
Alla Posta, una signora con un carrozzino e con dentro il figlioletto. Dai tratti si capisce che è romena, o moldava, o ucraina. La carnagione è chiara, i capelli biondi.
Il pensiero corre alla guerra, alle condizioni che ha lasciato e a quelle che vive qui.
Quel figlio sarà italiano. Sarà orgoglioso di essere cresciuto in un paese libero, ricco di storia, cultore della legge e della bellezza.
Lo sarà se intorno troverà persone che ne riconosceranno la dignità di essere umano, l’unicità della sua personalità, la sovranità della sua coscienza civica.
L’unico bambino incontrato. Suo sarà il domani, come suo sarà l’impegno di salvaguardare questa terra. Parlerà forse il dialetto ponzese ma penserà come un metropolitano e crederà nella sola fede possibile: quella negli uomini.