Politica

Destra, sinistra… e la scuola

segnalato da Sandro Russo

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Il maestro di pensiero e di giornalismo Ezio Mauro su la Repubblica di ieri, 27 febbr. 2023, in un editoriale da antologia; con il conio di una nuova parola – anti-antifascismo – con cui faremo bene a familiarizzarci.

L’inversione culturale
di Ezio Mauro

Il cortocircuito solenne del ministro dell’Istruzione che critica pubblicamente una preside, perché dopo un’aggressione di destra davanti al liceo ricorda agli studenti che il fascismo è nato e cresciuto nella violenza delle spedizioni punitive, è un gesto istituzionale incomprensibile e illogico, e tuttavia rivelatore. Indica infatti un tic esistenziale, l’impulso di una coazione a ripetere che spinge i personaggi più impegnati nella definizione del profilo culturale di questa destra estrema a disinnescare ogni elemento di antifascismo davanti al cammino del governo.
Con la sua ostinazione a negare ogni giudizio sulla dittatura mussoliniana, sulla sua natura e sui suoi effetti, Giorgia Meloni ha già ottenuto il risultato su cui puntava come atto fondativo della sua stagione di premiership: un’inversione culturale, con il Paese che passa dall’antifascismo come cultura di riferimento della Repubblica e della sua Costituzione, a una sorta di anti-antifascismo, che svuota di significato il calendario civile del Paese e isterilisce la vicenda nazionale, provando con la politica a pareggiare i conti con la storia.

Il sigillo di Stato, attraverso il governo, porta così a compimento un’operazione intellettuale impegnata da due decenni a banalizzare il racconto del Ventennio nella riduzione dell’avventura mussoliniana a dittatura di cartapesta, velleitarismo magniloquente condiviso come un vizio italiano, nella degenerazione collettiva del carattere nazionale. L’altra faccia di questo riduzionismo storico è naturalmente la ripulsa dell’antifascismo sminuito a pura sovrastruttura ideologica e strumentale al servizio del Pci: gettando via anche quella ribellione alla dittatura e all’occupazione nazista dell’antifascismo armato, che è un elemento costitutivo della democrazia riconquistata, e non interamente “concessa” dagli Alleati che hanno risalito il Paese liberandolo.
C’è dunque un legame evidente tra la Resistenza, la Liberazione, la Repubblica, la Costituzione e le istituzioni democratiche che sono nate in questo processo. Cancellare l’antifascismo significa disconoscere il nucleo morale della ricostruzione democratica. E dirsi oggi fedeli alla Costituzione senza condividere questa coerenza storica e culturale, facendola propria a qualunque parte si appartenga, in un vero patriottismo costituzionale, è un’affermazione vuota: che rischia di svuotare anche il deposito storico della Repubblica.

Il risultato è una neutralizzazione della storia, ufficialmente depoliticizzata mentre in realtà è ideologizzata, negando la sua lezione per costruire un nuovo inizio della vicenda repubblicana dove tutte le culture politiche sono riammesse alla competizione del consenso senza la macchia della colpa.
Non c’è da parte della nuova destra al potere nessun bisogno (e dunque non c’è nessuna intenzione) di richiamarsi in modo esplicito al fascismo riesumandolo, perché il contesto non lo consentirebbe, ma anche perché sarebbe grottesco, a partire dalla sproporzione tra i protagonisti di oggi e quelli del Ventennio. L’obiettivo è diverso: separare il concetto di fascismo dal senso comune che lo condanna, reinserirlo senza alcuna penalità di giudizio nell’alveo della tradizione nazionale, divaricando la memoria dalla storia per recuperarlo disarmato e disincarnato, perdonato senza essere giudicato, infine e comunque innocente.

Il voto che ha sanzionato la vittoria di Giorgia Meloni, portandola al governo, è la sanzione definitiva. Nell’interpretazione del populismo, per cui leader e popolo sono destinati ad unirsi nella Nazione, il voto ha questa energia costituente capace di premiare e cancellare insieme, di ipotecare il futuro mentre riscrive il passato, di aprire ad ogni vittoria elettorale non una nuova fase di governo ma addirittura una nuova era: che come tale ha bisogno di una diversa base culturale, riscrivendo i fondamentali di una storia del Paese che ogni volta ricomincia da capo, cercando di trovare una dimensione eroica per trasformare un governo in un’avventura.
Il consenso dunque ha già assolto il fascismo, l’unzione sacra del popolo cancella il peccato contro l’Italia e restituisce il passato integro agli eredi del Peccatore.

Ecco perché ogni discussione è inutile, ogni riflessione è impropria, ogni giudizio è inopportuno e i giorni italiani del disonore — come il 28 ottobre — non vanno menzionati. Tutto si è già compiuto, nella mistica del consenso: la storia, come l’intendenza, si adeguerà.

Tutto questo non è una sanatoria, rivolta al passato. È invece la fondazione di un nuovo pensiero politico, che guarda al futuro. Vinta a mani basse la competizione elettorale, mentre (con più fatica) prevale nel confronto-scontro parlamentare Giorgia Meloni ha capito che la vera sfida con la sinistra è quella per l’egemonia delle idee, con una proposta culturale di fuoruscita dalla crisi in cui l’Italia possa riconoscersi. La nuova destra sta già combattendo questa battaglia senza dirlo, ma sapendo che è decisiva. E la scuola sarà il terreno d’azione privilegiato, i giovani la platea di riferimento, nell’obiettivo di impiantare la nuova storia nella nuova generazione che ha in mano il futuro.
Tutto è chiaro, persino le mosse di Valditara: fino al drammatico ritardo della sinistra, che mentre sceglie il suo leader non ha ancora scelto la sua idea di Paese.

[Ezio Mauro in la Repubblica del 27 febbraio 2023]

 

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