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Un tema che frequentiamo e riprenderemo, quello di un’ideologia di pace in tempo di guerra. Qui espresso nell’ultimo libro del filosofo francese Edgar Morin (Parigi, 1821), presentato da Umberto Gentiloni.
“È sorprendente vedere così poca coscienza e così poca volontà in Europa, soprattutto nell’immaginare e nel promuovere una politica di pace. Parlare di cessate il fuoco, di negoziati, è denunciato come una ignominiosa capitolazione da parte dei bellicosi, che incoraggiano la guerra che vogliono a tutti i costi evitare a casa loro”.
Entrambi gli articoli da la Repubblica di ieri, domenica 11 febbraio 2023
Il commento
Un grido nel buio per non smarrire la forza della ragione
di Umberto Gentiloni
Il percorso generazionale di un lungo itinerario che muove dai conflitti lontani per approdare agli interrogativi del nostro tempo. Ancora guerre e violenze si domanda sconsolato Edgar Morin?
Proprio noi europei che ne abbiamo viste tante attraversando nazionalismi che sembravano irriducibili?
La storia non insegna, questo è noto, non è maestra di vita. Ma il passato può forse offrire qualche appiglio significativo, segmenti di ragione come tracce di un viaggio attraverso pagine di un vissuto lacerante e talvolta dimenticato.
La riflessione di Morin è un atto di responsabilità e di accusa. L’aggressione russa di un anno fa rischia di condurre il mondo verso una catastrofe ben più grave delle precedenti: il cammino del Novecento dovrebbe costituire un limite invalicabile. Eppure così non è. Troppi esempi vicini e lontani, troppe zone del pianeta vivono da tempo prolungate situazioni di conflittualità.
Chi ha alle spalle un itinerario stratificato ricorda il peso della guerra, il condizionamento delle paure, le distruzioni e i lutti. Una realtà che ha plasmato l’esistenza di generazioni di europei colpiti nella quotidianità di vite spezzate o piegate ai ricatti delle logiche di guerra: la sfida al nazifascismo, l’Algeria, i Balcani, il golfo persico e il Medio Oriente. Un tempo segnato da traumi comuni: macerie, città distrutte dai bombardamenti, pulizia etnica, discriminazioni, razzismi di varia provenienza.
Le guerre totali che hanno colpito civili e combattenti, ma anche le guerre minori, dimenticate che hanno condizionato l’esistenza di uomini e donne in tante parti del mondo.
Possibile che non si riesca a trovare una strada differente che non preveda le tappe di un passaggio Di guerra in guerra?
Il cammino dell’umanità è lastricato di buone intenzioni e di tentativi di costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto e sulla responsabilità comune.
Dopo Auschwitz e Hiroshima non si poteva tornare indietro, cancellare i sacrifici di tanti, le aspirazioni e le spinte verso un inedito dopoguerra.
Ed è così che il grido contro le guerre diventa un monito prezioso, proviene da una voce che non vuole smarrire la forza della ragione umana, il significato della rotta percorsa: «Ho scritto questo testo affinché queste lezioni di ottant’anni di storia possano servirci a comprendere l’urgenza di lavorare per la pace ed evitare la peggiore tragedia di una nuova guerra mondiale».
Un momento della battaglia di Stalingrado (1942-1943)
(immagine dall’articolo di Repubblica)
L’ANTICIPAZIONE
Il silenzio dell’Europa che non vuole la pace
di Edgar Morin
Il grande filosofo francese, in questo brano tratto dal suo ultimo saggio “Di guerra in guerra” spiega il rischio di un nuovo conflitto mondiale. Se non si pone fine alla violenza in Ucraina
L’errore e l’illusione, molto spesso, hanno regnato nelle menti dei governanti e dei governati. Ci fu un decennio di sonnambulismo collettivo dal 1930 al 1940, e ci fu l’impossibilità di credere all’occupazione della Francia e a una Seconda guerra mondiale. Nel corso dei cosiddetti “Trenta gloriosi” di sviluppo economico in direzione di una società dei consumi, fu impensabile immaginare che le stesse basi della nostra civiltà sarebbero state scosse e che lo sviluppo tecno-economico avrebbe condotto non solo al sottosviluppo etico-politico, ma anche a gigantesche crisi planetarie.
Nello stesso tempo fu ignorata e occultata la degradazione della biosfera che ingloba l’antroposfera, riconosciuta dal 1970 dai pionieri scientifici dell’ecologia. E la coscienza ecologica, rimossa per mezzo secolo, resta ancora insufficiente. Illusoria era la certezza dei politici e degli economisti secondo cui il neoliberalismo sarebbe il produttore di una crescita continua. La pandemia mondiale, suscitando una crisi planetaria enorme e multidimensionale, fu incompresa, dato il dominio di un pensiero meccanicista, lineare e incapace di concepire la complessità dei fenomeni. Mentre ci si rallegra di essere entrati nella società della conoscenza, si è sprofondati in una cecità tanto più grande in quanto crede di possedere i mezzi adeguati del sapere.
Questa cecità porta a ignorare che nel 1945 è iniziata una nuova era con la minaccia di morte per l’umanità, minaccia che è continuamente accresciuta dalla proliferazione delle armi nucleari, dalla loro sofisticazione e dal loro possibile utilizzo qualora l’escalation continui ad aggravare e ad amplificare la Guerra d’Ucraina. Siamo entrati nella crisi dell’umanità senza accedere all’Umanità; ma non si vede l’insieme, tutt’al più si vedono alcuni frammenti del grande problema.
Ed è in queste condizioni che è sopraggiunta l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Non solo vi si riproducono gli orrori e i crimini delle guerre precedenti, come quelli della Seconda guerra mondiale, non solo rimane assente la coscienza dell’inatteso, dell’imprevedibile, dell’errore, dell’illusione, che non hanno smesso di fare di noi dei giocattoli inconsapevoli della storia, ma appaiono anche nuovi orrori, nuovi errori, nuove illusioni, nuove sorprese, nuovi inattesi.
Si può ora comprendere la mia intenzione in questo riandare alle guerre che ho conosciuto.
Perché ogni guerra comporta criminalità, più o meno grande secondo la natura dei combattenti; ogni guerra racchiude in sé manicheismo, propaganda unilaterale, isteria bellicosa, spionite, menzogna, preparazione di armi sempre più mortali, errori e illusioni, imprevisti e sorprese… E mi sembra essenziale che queste considerazioni siano presenti nel nostro sguardo sulla guerra attuale: la Guerra d’Ucraina non sfugge alle logiche di ogni guerra condotta tra avversari risoluti e accaniti.
Dobbiamo ora riconoscere, nello stesso tempo, ciò che è semplice (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’opposizione fra democrazia occidentale e dispotismo russo) e ciò che è complesso (il contesto storico e geopolitico).
È sorprendente che in una congiuntura così pericolosa, il cui pericolo aumenta continuamente, si levino così poche voci in favore della pace nelle nazioni più esposte, in primo luogo in quelle europee.
È sorprendente vedere così poca coscienza e così poca volontà in Europa, soprattutto nell’immaginare e nel promuovere una politica di pace. Parlare di cessate il fuoco, di negoziati, è denunciato come una ignominiosa capitolazione da parte dei bellicosi, che incoraggiano la guerra che vogliono a tutti i costi evitare a casa loro.
Recentemente si sono levate alcune voci, fra cui quella di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio. Ma esse sono coperte dalla voce tonante dei sostenitori russi e americani del “sino alla fine” (dov’è la fine?).
L’urgenza è grande: questa guerra provoca una crisi considerevole che aggrava e aggraverà tutte le altre enormi crisi del secolo subite dall’umanità, come la crisi ecologica, la crisi economica, la crisi delle civiltà, la crisi del pensiero. Che a loro volta aggravano e aggraveranno la crisi e i mali nati da questa guerra. Nel 2017 c’erano ottanta milioni di esseri umani sull’orlo della carestia. Poi, dopo la pandemia, duecentosettantasei milioni, e attualmente trecentoquarantacinque milioni.
Più la guerra si aggrava, più la pace è difficile e più è urgente. Evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente.
Pino Moroni
14 Febbraio 2023 at 10:40
Ho letto quello che ha scritto il grande vecchio Edgar Morin sulle guerre.
Grande propugnatore del pensiero complesso, dodici anni fa aveva dato la spinta (partecipando anche ad una serata al Maxxi, finanziata da Aboca) a creare un Festival della Complessità, cui ho partecipato per 12 anni. Ma come dice il centenario Morin, che di guerre ne ha viste tante, vengono viste solo con una visione lineare o peggio partigiana. Non si riesce a vederle in una chiave complessiva perché si dovrebbero allargare gli orizzonti. Invece ci tengono tutti lì solo a prendere posizione per una o per l’altra parte. Ci hanno così condizionato che anche gli ultimi difensori di una visione più aperta e più complessa si sono arresi ai media controllati e faziosi pro guerra.
Quest’anno comunque il Festival non si farà più per mancanza di persone interessate. Come i followers sono ormai solo filo-americani o filo-russi, anche in altri campi non esiste più una terza via ragionata e complessa. E un’altra maniera di pensare sarà dimenticata.