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Osmosi in musica: classica, dodecafonica, leggera… (terza parte)

di Sandro Russo

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Partendo da un commento musicale – una vera opera breve in realtà, l’oratorio “Un sopravvissuto del ghetto di Varsavia”, di Arnold Schönberg, presentato nella prima parte).-, abbiamo trattato per sommi capi il modo in cui il cinema“maneggia” le emozioni forti, in cui il rispetto per la maestà del dolore e della morte è d’obbligo.

Provo ora ad affrontare – da incolto ma desideroso di capire e di imparare – l’aspetto musicale, con particolare riferimento alla musica dodecafonica di cui abbiamo fatto esperienza d’ascolto.

Cito letture di base attraverso cui mi sono fatto un’idea, in mancanza di una conoscenza diretta dell’argomento.
Al riguardo prendo in prestito le idee esposte 
in un saggio di Alessandro Baricco (1) del ’92, dallo strano titolo: L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (la spiegazione del titolo è riportata nella IV di copertina nell’immagine sottostante) e riprendo alcune mie note trovate nel libro, letto e appuntato nel 2003).

La dodecafonia è una tecnica di composizione musicale ideata da Arnold Schönberg (1874-1951), esposta in un articolo del 1923, ma intuita in precedenza anche da Josef Matthias Hauer, basata sull’equivalenza, dal punto di vista armonico, dei 12 semitoni della scala temperata, attorno alla quale gravitino gli altri suoni senza che si formino funzioni tonali (Wikipedia).
Anton Webern (1883 – 1945) – compositore austriaco, allievo e seguace di Schönberg e uno dei protagonisti del passaggio “oltre la tonalità” – agli inizi del Novecento espose in delle lezioni private la sua idea dell’evoluzione musicale che vennero pubblicate nel 1932-33 con il titolo, appunto, di Der Weg zur Neue Musik (in italiano: Verso la nuova musica, Milano, Bompiani, 1963). Sostiene Webern che la musica tonale rappresenta un’utilizzazione parziale del campo sonoro; l’atonalità” conquista spazi che quella lasciava inesplorati. Non inventa nulla; piuttosto scopre, disvela ciò che già esiste ma non viene utilizzato.

Questa errata valutazione ha dato il via allo strappo tra musica e pubblico.
Baricco interpreta l’ascolto della musica come “dialettica di previsione e sorpresa, di attesa e risposta”; l’ascoltatore fa delle domande al testo musicale e questo risponde assecondandone le attese, oppure offrendo delle risposte complicate e sorprendenti.
Con la musica atonale e seriale, una musica in cui nessuna nota risulta superiore alle altre perché non può essere riprodotta prima che siano state suonate le altre undici, cade il meccanismo di attesa e risposta che governa il piacere dell’ascolto. Subentra la realtà di una sorpresa continua e generalizzata», così, sottratto ai riferimenti della tonalità, l’orecchio collettivo si smarrisce. Scrive ancora Baricco che quel che viene chiesto all’ascoltatore è “semplicemente, l’impossibile (…). Lo si colpevolizza facendogli balenare la promessa che, impegnandosi, capirà.

Secondo Baricco lo strappo tra la musica europea di tradizione colta e il suo pubblico ha una genesi precisa. Se si vuole gli si può trovare una data di nascita: 1908. Schönberg pubblica i Klavierstucke Op. 11. È il primo, radicale esperimento di musica atonale fatto nel Novecento.

Qui di seguito da YouTube, l’esecuzione del brano (durata 13:45) da parte di un grande pianista, Maurizio Pollini:
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Con una approfondita analisi dell’opera di Gustav Mahler (1860 – 1911) e Giacomo Puccini (1858 – 1924), Baricco fa risalire soprattutto a questi due musicisti il passaggio dalla musica colta alla musica leggera; tra l’opera d’arte e il prodotto di consumo.
“Se l’opera d’arte voleva sopravvivere e far sopravvivere le istanze che incarnava, doveva riciclarsi come merce: anomala, scomoda, ridondante, ma come merce”.
Si connette, questa posizione, a quella di Adorno, fortemente avverso alla fruizione di massa, della musica in particolare (avversò Wagner per la sua “fastasmagoria” e non aveva ancora assistito alla naturale evoluzione di quella tendenza! (leggi qui).

“(…) Sfumava l’immagine dell’artista come pioniere solitario di alti orizzonti ideali e si imponeva l’idea di opera  come cristallizzazione dell’immaginario collettivo. Non è più tanto il pubblico che deve seguire l’artista per le impervie vie di un progresso continua, ma è l’opera che deve trovare le forme, i materiali e la lingua per pronunciare i desideri e le attese del pubblico. È una svolta copernicana.
Non si può negare che proprio da quella svolta si apriranno le condizioni per una produzione creativa totalmente succube della moda e definitivamente asservita all’idiozia del reale. Da lì la modernità svilupperà la sua ineguagliata capacità di produrre spazzatura.
Ma è da quello stesso punto – da quella precisa svolta ideologica – che nascerà ad esempio il cinema, diventando ben presto rifugio dell’arte e dimora del Senso. È da lì che germoglierà la potenza della musica leggera
, quella che col tempo si scoprirà capace di testimoniare il proprio mondo con straordinaria esattezza. È uno snodo ideologico da cui nascerà la pericolosa e bella libertà del moderno di produrre arte e detriti commerciali, volgarità e nobiltà, spazzatura e poesia. Per un approfondimento della musica leggera come capace di registrare (ma anche plasmare) il tempo presente, quanto meno a partire dagli anni ’50 del secolo scorso a oggi, si rimanda sul sito alle monografie dedicate da Alessandro Alfieri a Elvis Presley, ai Beatles, ai Queen e dal 15 febbraio ai Nirvana).

Omettendo del saggio tutta la parte relativa a cosa si intende per “musica classica” passo ai punti salienti sulle nostre incertezze.
Scrive Baricco (pag. 34 e segg.): “Dai tempi di Beethoven sono cambiate molte cose: la prassi esecutiva, il contesto sociale, i termini di riferimento culturale, il paesaggio sonoro. Il pianoforte che usiamo oggi è lontano parente del fortepiano che si usava allora, differenti sono i luoghi, i modi e le motivazioni sociali che condizionano l’ascolto, differente è il patrimonio d’ascolto con cui ci si accosta oggi a quella musica: nelle orecchie non si ha soltanto Haydn e Mozart, ma anche Brahms, Mahler, Ravel (e Morricone, Madonna, i
jingles pubblicitari, Philip Glass… Negli occhi si ha il cinema, e nella mente parole d’ordine completamente diverse (…).

E più avanti: “L’ottocento immaginava opere che fossero universi chiusi e stabili. La modernità usa le opere come crocevia di frammenti di senso colti in un istante, per un istante arrestati, durante la loro corsa. In questo modo ogni opera diventa un momento di verità provvisoria. Cessa di essere  struttura compiuta e permanente e diventa costellazione tra le tante, formula di passaggio, combinazione transitoria (…).

Ma per tornare all’opera di Arnold Schönberg da cui eravamo partiti… Non sono in grado di capire. Ho sentito i clangori e gli stridii, le onomatopeie di “pianto e stridor di denti” di dantesca memoria, ma non sono riuscito a dare a questi suoni un ruolo di arte autonoma, al di là di un commento alle parole e alla vicenda narrata.
Ho visto qualche pagina dello spartito dell’opera; immagino che per un Direttore d’orchestra dirigere una tale opera sia di una difficoltà immensa. Ma a parte la soddisfazione intellettuale di essere in grado di trasferire sulla pagina musicale (Baricco parla di “aritmetico cerebralismo”) dei rumori che conosciamo e associamo da altre esperienze (per esempio a quei geniali professionisti del cinema degli esordi che venivano chiamati “rumoristi”), non trovo altro. Certo per mio limite personale. Ma come scrive ancora Baricco nelle prime pagine del libro che abbiamo ampiamente citato: “Queste interrogazioni, questa “guerriglia teorica”, anche quando si atteggiano a  sentenze definitive e perentorie, quel che fanno è inaugurare la riflessione: mai concluderla”.

Una vignetta satirica del tempo su Schönberg e la sua orchestra di musica dodecafonica

Ma per chiudere con una voce positiva a favore della Nuova musica moderna ho ascoltato con attenzione la testimonianza di una musicista esperto in nuove tendenze, Al riguardo, è relativamente recente (2020) un breve saggio di Emanuele Arciuli, pianista di fama con repertorio (anche) contemporaneo, che si intitola La bellezza della Nuova musica.


Arciuli si rivolge proprio a quell’ascoltatore cui fa riferimento Baricco (cioè alla maggior parte di noi) e gli leva la paura.
Dice: “Forse il pubblico potrà ritrovare un pieno rapporto con la musica del proprio tempo quando smetterà di chiederle di somigliare alle proprie aspettative, quando comprenderà che la musica, e l’arte in genere, sono sensori aggiuntivi, occhi orecchie e neuroni in più, non devono riprodurre la realtà che già conosciamo, ma aiutarci a scoprirne l’invisibile e l’inaudito”. Quasi controcorrente Arciuli fa vedere come la musica classica contemporanea non sia qualcosa di altro ma un’esperienza che possiamo attraversare.
Mi sembra comunque di capire non si riferisca alla musica dodecafonica, se mi pare di riconoscere in sottofondo una musica di Michael Nyman), l’autore della colonna sonora di Lezioni di piano, film del 1993 scritto e diretto da Jane Campion: qui sul sito.

YouTube. Emanuele Arciuli: La Bellezza della nuova musica

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Note

(1)Alessandro Baricco (Torino, 1958). Si forma nella sua città sotto la guida di Gianni Vattimo, laureandosi in Filosofia con una tesi di Estetica. Studia contemporaneamente al conservatorio dove si diploma in pianoforte.
L’amore per la musica e per la letteratura, ispirano fin dall’inizio la sua attività di brillante saggista e di narratore. Ha iniziato la propria carriera di scrittore pubblicando alcuni saggi di critica musicale, come Il genio in fuga (1988), su Rossini, e L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (1992) – ampiamente citato nel testo -, sul rapporto tra musica e modernità. Per anni ha curato le pagine di critica musicale per la Repubblica.

(2) – Storicamente la musica tonale è la grande maggioranza della musica esistente: essa si impose in Europa e nel mondo occidentale tra il XVII e il XVIII secolo e iniziò il suo declino nel corso del XIX secolo, messa in discussione, in particolare, da Richard Wagner e Franz Liszt sino ad arrivare alla dodecafonia di Arnold Schönberg e alla atonalità.
La musica d’uso e la musica popolare, oltre a un gran numero di compositori novecenteschi neoclassici (si pensi a Igor’ Fëdorovič Stravinskij o a Ottorino Respighi) e scuole nazionali ispirate al folklore (specie in area balcanica), hanno tuttavia continuato ad usare procedimenti tonali fino ai nostri giorni [fonte Wikipedia, ibidem].

L’arte di Vasilij Kandinskij (1866-1944), primo pittore astratto della storia, deve molto alla musica di Arnold Schönberg. Kandinskij intendeva catturare, per usare una sua espressione, il “suono interiore” degli elementi. Secondo l’artista, al di là della realtà tangibile e percepibile, esisterebbe una dimensione che non si può esprimere con le parole, o con le forme della realtà. È una dimensione, appunto, invisibile, fatta di emozioni e di spiritualità.

Ouverture musicale del 1919, olio su tela

[Osmosi in musica: classica, dodecafonica, leggera… (terza parte) – Fine]

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