Scrittori

La scomparsa di Dominique Lapierre, lo scrittore de “La città della Gioia”

segnalato da Sandro Russo

 

Di tutta la sterminata letteratura sull’India, tra reportage, immagini e film visti, forse il libro che più mi ha segnato e stimolato a saperne di più, a vedere con i miei occhi; quello che mi ha spinto ad andare in India quattro o cinque volte per viaggi più o meno lunghi, è stato “La citta della Gioia”, di Dominique Lapierre.
L’India è un mondo a sé, diverso da qualunque altre cosa che abbia visto e vissuto. Qui sul sito una corrispondenza con Emanuela Siciliani, altra grande viaggiatrice attraverso il mondo della cultura indiana. Ci siamo trovati a scrivere della vita e della morte, in India.
Ritorna, il pensiero dell’India, in occasione della morte, a 91 anni, di Dominque Lapierre, l’autore appunto di quel libro, e di molti altri, di notevole rilievo letterario e documentaristico.

Morto Dominique Lapierre, autore de “La città della gioia”
da Redazione Cultura – La Repubblica on line del 4 dicembre 2022
Dominique Lapierre – Il popolarissimo scrittore francese, autore del celebre bestseller, aveva 91 anni

È scomparso a 91 anni lo scrittore Dominque Lapierre, celebre autore de La città della gioia e di altri bestseller, tra cui Parigi brucia? e Gerusalemme! Gerusalemme!, scritti con Larry Collins. A confermarlo, dopo notizie diffuse dall’associazione indiana Asha Bhaban, è la sua storica casa editrice italiana, Mondadori.
Nato a Châtelaillon, in Francia, nel 1931 in una famiglia di diplomatici, aveva trascorso a Parigi gli anni della Seconda guerra mondiale. Entrò come reporter a Paris Match nel 1956, e per conto del giornale viaggiò in Unione Sovietica e poi, lungamente, in India.

La città della gioia (1985) è ambientato negli anni Sessanta in uno slum di Calcutta e vede come protagonisti un contadino indiano, Hasari Pal, costretto a emigrare dalla campagna nella megalopoli, e un missionario francese, Paul Lambert, che decide di dedicarsi agli ultimi tra gli ultimi. Come dichiarava lo stesso Lapierre nella prefazione del romanzo, nonostante i personaggi avessero nomi fittizi la trama era ispirata a ciò che lui stesso aveva visto nelle bidonville della città indiana, negli stessi luoghi in cui operò Madre Teresa.
Il romanzo ispirò un film con lo stesso titolo, uscito nel 1991 e realizzato dal regista Roland Joffé, con protagonista Patrick Swayze.

Dopo il successo del romanzo, che vendette diversi milioni di copie, Lapierre e la moglie crearono una fondazione con lo stesso nome, a cui devolvere metà dei diritti d’autore, per occuparsi della lotta contro la povertà in India, in particolare dei piccoli malati di lebbra a Calcutta. Il libro ha ricevuto il Premio Verità dalla città di Le Cannet nel 1986.
Il 6 maggio 2008 il governo indiano ha conferito a Dominique Lapierre la medaglia Padma Bhushan per le azioni a favore dei più poveri svolte nel Paese.
È dedicato all’India, e a uno dei suoi drammi più terribili, anche Mezzanotte e cinque a Bhopal, in cui Lapierre ricostruì, insieme a Javier Moro, la tragedia della località in cui l’esplosione della fabbrica della Union Carbide provocò nel 1984 migliaia di morti e feriti, a causa dell’emissione di gas nocivi.


Sul suo rapporto con il subcontinente indiano Lapierre riflette in India mon amour (Il Saggiatore), un memoir in cui rievoca i suoi soggiorni, dal viaggio di sei mesi su una vecchia Rolls-Royce che ispirò il suo excursus storico sull’India Stanotte la libertà, all’esperienza nella bidonville di Pilkhana raccontata in La città della gioia, e si interroga sul fascino di una nazione di enormi contrasti.
La passione della letteratura è diventata di famiglia: sua figlia, Alexandra Lapierre, è anche lei una scrittrice nota, apprezzata soprattutto per i suoi romanzi storici.

Tra i bambini Lo scrittore francese Dominique Lapierre fotografato anni fa tra i bambini in India: per curare i piccoli malati degli slum ha creato con la moglie un’associazione benefica (Erick Bonnier/Photo Masi S.R.L. Press Agency) – Foto dell’articolo di Repubblica

1931-2022
L’India infinita di Dominique Lapierre
della corrispondente da Parigi di Repubblica Anais Ginori – Da la Repubblica del 5 dicembre 2022

– È morto l’autore francese di tanti bestseller. Il suo capolavoro “La città della gioia”, ambientato tra gli ultimi di Calcutta, ha commosso milioni di lettori. E lo ha trasformato in filantropo
– Nelle strade del Paese era più famoso di un capo di Stato, una sorta di santone laico: l’associazione che ha fondato ha aiutato molta gente

Era appassionato di macchine e girava in Rolls Royce ma aveva vissuto per due anni nelle baraccopoli di Calcutta, senza acqua né elettricità, improvvisandosi autista di risciò, annotando storie e aneddoti di «un luogo infra-umano dove le persone sono in grado di celebrare l’arrivo della primavera senza che ci siano alberi». Un purgatorio che Dominique Lapierre, morto ieri a 91 anni, aveva trasformato ne La città della gioia (Mondadori, come quasi tutti i suoi libri), successo mondiale pubblicato nel 1985 e tradotto in quaranta lingue. Nelle strade dell’India era diventato più famoso di un capo di Stato, una sorta di santone laico che si faceva amare con i suoi libri, ma non solo. Persino François Mitterrand passò in secondo piano durante una visita a Delhi, accorgendosi che la folla acclamava solo il “fratello maggiore”, come era stato ribattezzato lo scrittore francese dagli indiani.
«Credo che il libro abbia avuto un grande successo — spiegava Lapierre — perché ha raccontato la storia di persone private di tutto ma che sono riuscite a superare le avversità». Per migliaia di lettori, La città della gioia — proseguiva il romanziere — si è trasformato in una sorta di atto di fede che ha dato la forza a tante persone per superare le proprie disgrazie. Non ho mai voluto fare una predica, non ho mai cercato di far sentire le persone in colpa».

Non si accontentava di raccontare, ma voleva anche di denunciare. Lo fece con Mezzanotte e cinque a Bhopal, scritto insieme a Javier Moro, nel quale indagava la strage impunita prodotta da un gigante americano della chimica. «Abbiamo avuto la fortuna di trovare uno degli ex dirigenti indiani della fabbrica» ricordava a proposito del libro, pubblicato nel 2001. «Quando ci ha visti arrivare, l’ex manager ha pronunciato questa frase incredibile: “Vi ho aspettato per diciassette anni!”. Prima di lasciare la fabbrica aveva portato con sé molti documenti. Grazie a lui siamo riusciti a rintracciare le varie persone coinvolte nel disastro in India e negli Stati Uniti. Come lui, erano felici di rispondere alle nostre domande: tutti avevano un peso sulla coscienza».
Con la moglie Dominique, anima gemella anche nel nome, con cui ha condiviso tutto fino alla fine, aveva una doppia missione: scrittura e azione. Insieme hanno fatto costruire ospedali, scuole, centri per disabili, hanno smosso i politici locali per far arrivare acqua e luce nelle bidonville, sono andati nelle capitali dell’Occidente per organizzare cene di beneficenza e raccolte fondi bussando a grandi imprese.

Con il sostegno di Madre Teresa di Calcutta, che amava ripetere «salvare un bambino è salvare il mondo», i coniugi Lapierre avevano fondato l’associazione “Action pour les enfants des lépreux”, finanziata con i diritti d’autore, in favore di scuole e centri per la lotta alla lebbra e alla tubercolosi in India.
Lapierre ha raccontato in seguito questa esperienza anche in India mon amour, un inno alla vita e alla speranza, in cui la storia di un uomo che ha dedicato sé stesso agli ultimi si incontra con quella di uno straordinario Paese-continente.

Quando partì la prima volta per l’India, nel lontano 1972, aveva perlustrato il subcontinente a bordo di una vecchia Rolls Royce, raccogliendo più di mille testimonianze per rievocare in Stanotte la libertà il cammino verso l’indipendenza della giovane nazione.


«La nostra strada aveva incrociato quella di Indira Gandhi e di illustri maharajah, ma anche di migliaia di poveri contadini» ricordava a proposito di quel battesimo indiano.

Dall’America al Medio Oriente all’Unione sovietica e al Sudafrica: non c’è continente che Lapierre non abbia esplorato. Aveva l’entusiasmo e l’energia dei pionieri, imparata forse nella patria che l’aveva accolto da adolescente, quando suo padre era stato nominato console francese a New Orleans. Di ritorno in Francia, aveva scritto il suo primo romanzo sulla terra promessa, Un dollaro mille chilometri.

A diciassette anni comincia una carriera che lo porterà al giornalismo, con numerosi reportage per Paris Match. Lo spirito del cronista si ritrova poi nei suoi altri romanzi, con una meticolosa ricerca di testimonianze inedite. Cercava, spiegò «la voce di coloro che non hanno nulla, ma che sono modelli di umanità perché hanno conservato la forza di sorridere e di ringraziare Dio per il più piccolo beneficio».

Il suo lavoro era in immersione, senza filtri. «Bisogna avvicinarsi ai personaggi, sudare quando loro sudano» commentava Lapierre che amava partire dagli eroi ordinari per fare incursioni nella grande storia, come quando riprendeva la resistenza francese di fronte al nazismo nel thriller storico Parigi brucia? scritto con Larry Collins, giornalista americano conosciuto durante il servizio militare e con cui era diventato vicino di casa a Ramatuelle, nei pressi di Saint-Tropez.
Voleva essere ricordato come “cittadino onorario di Calcutta”.
«Fin dall’inizio ho detto che avrei devoluto una parte dei miei diritti d’autore per un’azione umanitaria che potesse cambiare la vita delle persone di cui parlavo» dichiarò lo scrittore nel 2011 a Le Figaro.

«In venticinque anni ho aiutato a curare due milioni di malati di tubercolosi, ho salvato 50mila bambini lebbrosi dal degrado delle loro baraccopoli, sono stati costruiti seicento pozzi d’acqua potabile, quattro navi-ospedale operano nel delta del Gange…».
Con l’età e la malattia che da dieci anni gli impediva di parlare e viaggiare (sua figlia Alexandra, nel frattempo, è diventata anche lei scrittrice di successo), aveva dovuto rallentare la sua frenetica attività, preoccupandosi sempre di lasciare in eredità non solo i suoi libri ma anche le sue numerose missioni umanitarie.

Aveva adottato la frase di Madre Teresa a proposito di quello che avrebbe lasciato ai posteri. «Mio caro Dominique — aveva risposto la suora — quando verrà il giorno, Dio provvederà».

[Di Anaïs Ginori, da la Repubblica del 5 dicembre 2022]

Parigi brucia? (Paris brûle-t-il ?) Romanzo di Dominique Lapierre e Larry Collins del 1965 , da cui un altrettanto famoso film del 1966 diretto da René Clément

 

 

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