di Giuseppe Mazzella di Rurillo
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Siamo un popolo tenace. Abbiamo in noi la forza degli antenati. Abbiamo affrontato prove immense. Dolori immensi. Abbiamo subito terremoti, alluvioni, carestie, per secoli e portiamo nel sangue una storia che ci è stata negata dal vortice degli eventi e dello sviluppo.
Forse noi casamicciolesi esprimiamo il popolo del Sud e del Mediterraneo meglio di qualsiasi altro a queste latitudini.
C’è una pagina poco nota di Fernand Braudel, il maestro dell’Ècole des Annales (1946-’68) e di Grammatica delle Civiltà (1987):
– “C’è più lenta ancora della storia della civiltà, quasi immobile, una storia degli uomini nei loro rapporti stretti con la terra che li ha partoriti e che li nutrisce. É un dialogo che non cessa di ripetersi, che si ripete per durare, che può cambiare e cambia in superficie ma continua tenace come se fosse fuori dalla portata e dalla misura del tempo”.
Abbiamo ricostruito dopo il 1881 1883 1910 2009 e stiamo ricostruendo con enorme e sanguinosa difficoltà dopo il 2017 ed ora 2022 la più grande catastrofe in due secoli con una alluvione mortale.
Non dimenticheremo. Non dimenticheremo il sorriso e la lacrima dei bambini. Ricostruiremo. Con i giovani. Vivranno per i bambini. Vivranno per gli antenati. Forza Casamicciola!
G. M.
Presepe vivente a Casamicciola. 2015.
La Redazione
29 Novembre 2022 at 21:42
Riprendiamo da “La posta dei lettori” de la Repubblica di oggi 29 novembre 2022 la lettera di un’isolana.
Facendola nostra, la proponiamo come testimonianza di partecipazione e di affetto nei confronti dell’isola da cui sono venuti a Ponza i coloni poco meno di trecento anni fa.
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Riflessioni di una ischitana
di Giulia Castagliuolo – Ischia
Sono nata su un’isola.
È capitato che mi chiedessero: “com’è crescere su un’isola?” e io ho sempre risposto facendo spallucce: “come in qualsiasi altro posto”.
Con il passare del tempo, sto cogliendo, tuttavia, che crescere su un’isola non è come crescere in qualsiasi altro posto. Avere a che fare con il mare — elemento che ho dato per scontato — esserne circondati, vederlo, sentirlo, ovunque è significativo.
Tutto è misurato, tutto è circoscritto sulla mia isola. Ci si abitua in fretta alla mutevolezza della natura, ai cieli che cambiano, ai fiori, ai frutti, agli animali, agli alberi, alle stagioni: i sensi si affinano inevitabilmente su un’isola come la mia. Ben presto, si impara a riconoscere i venti e si guardano le stelle. Di giorno, capita di restare affascinati dal contrasto tra il verde della vegetazione e l’azzurro del mare e, poi, di sentirsi smarriti di notte. Ho giocato con le onde, le stesse di cui, una stagione dopo, avevo paura. Sulla mia isola ho esperito la fragilità, che va di pari passo con la precarietà, tipica delle cose sulle quali non si può esercitare un controllo.
Ecco che, su un’isola come la mia, è difficile non avere fede.
Ho odiato il mare quando mi poneva delle limitazioni; allo stesso modo, l’ho amato quando mi ha fatto sentire libera. Io e la mia isola cambiamo ogni giorno e, anche quando mi allontano da lei, ne custodisco l’ambiguità.
Tutto passa su quest’isola: oggi, il mare lava la memoria di una giornata terribile, che si asciuga al sole. Di mattina, il fango cede il posto a una rabbia sorda, indistinta. Forse, altrettanto repentinamente, si asciugherà pure questa. Eppure, dev’essere arrivato il momento di prendere le distanze da tutti quei padri che fino ad adesso, senza fede e senza rispetto, hanno violentato un territorio nel tentativo di domarlo, di ridurlo a un mero possesso.
Hanno detto di averlo fatto per il nostro bene, per il bene dei loro inermi e insulsi figli! Tocca a noi smettere di stare in silenzio a guardare, mentre nostra madre, l’isola su cui siamo nati, viene abusata.
Siamo pochi, ma possiamo smettere di essere i figli inermi, che gridano soltanto attraverso il cellulare. Possiamo farlo, dobbiamo farlo oggi.