di Sandro Russo
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Interessante e molto attuale l’articolo proposto da Emilio Iodice dall’importante rivista Foreign Affairs (leggi qui), anche per una persona (come me) non particolarmente esperta di politica internazionale.
L’articolo è aggiornato al presente: alla nuova sfida mondiale creatasi con l’aggressione russa all’Ucraina dello scorso febbraio che ha proposto un nuovo scenario. Si riaffaccia l’ipotesi dei due blocchi in un mondo che sembrava aver dato per scontata una egemonia degli Stati Uniti. Da una parte l’America da sola (l’imbelle e divisa Unione Europea è un appoggio di poco conto); dall’altra la Cina e la Russia (con sostenitori occasionali e emergenti come nel caso della Turchia di Erdogan e della teocrazia iraniana).
L’articolo ipotizza il dubbio della fine dell’egemonia americana e allinea argomentazioni a sostegno del contrario.
Si disquisisce di imperi, dove gli Stati Uniti, pur nella scelta di un ordine ‘imperiale’ che hanno imposto al mondo sono giustificati dal sistema politico ‘liberale’ che li governa; mentre gli oppositori, governati in modo autocratico e illiberale, perseguirebbero un potere ‘imperiale’ fine a se stesso.
In effetti gli Stati Uniti hanno operato con diverse modalità sullo scacchiere mondiale. Non abbiamo dimenticato il piano Marshall che ha risollevato l’Italia del dopoguerra e un analogo supporto fornito all’ex nemico Giappone. Furono piani lungimiranti, ancorché interessati e di sicuro ritorno, ma che dire per esempio dell’affossamento francamente autoritario messo in atto in altri paesi? La lista sarebbe lunga, per restare solo all’America latina: Cile, Venezuela, Argentina, Perù, El Salvador, Nicaragua…
Però – sostiene l’articolo -, “l’America ha attrattive uniche che hanno ispirato in altri paesi lotte di liberazione da un giogo preesistente (l’autore cita l’India di Gandhi, la Cecoslovacchia di Vaclaw Havel, il Sud Africa di Nelson Mandela).
Inoltre l’America ha una posizione geografica particolare, isolata, a cavaliere tra l’Atlantico e il Pacifico, “giocando un ruolo unico come bilanciatore di potere globale”.
Infine “la società civile interna degli Stati Uniti, arricchita dalla sua base di immigrati multirazziali e multiculturali, collega il paese al mondo in reti di influenza non disponibili per Cina, Russia e altre potenze”.
Questo è un argomento controverso, perché la conflittualità e la “follia” interna del sistema americano, libertà o non libertà, ha raggiunto punte non comparabili con altri paesi; il rischio di implosione è molto alto e gli eventi della fine della presidenza Trump l’hanno dimostrato.
Scrive ancora di G. John Ikenberry su Foreign Affairs: “In tre momenti cruciali del secolo scorso – dopo la fine della prima guerra mondiale, di nuovo sulla scia della seconda guerra mondiale e dopo il crollo dell’Unione Sovietica – gli Stati Uniti si sono trovati dalla parte vincente di grandi conflitti. Il vecchio ordine era in rovina e bisognava costruire qualcosa di nuovo”.
Verissimo, ma analizzata nel dettaglio e soprattutto per le conseguenze che ne derivarono, il primo degli eventi citato – la Conferenza di Parigi del 1919 ed il trattato di Versailles, che la seguì, soprattutto per (de)merito del presidente francese Clemenceau, ma con l’assenso dell’America di T. Woodrow Wilson – dettò alla Germania sconfitta condizioni così gravose e disonorevoli che col senno di poi costituirono l’antefatto della nascita del nazismo e in definitiva della Seconda Guerra Mondiale.
La conferenza di Bretton Woods (citata da Ikenberry) nel luglio 1944 e quella più scenografica, la Conferenza di Yalta del febbraio 1945 alla fine della Seconda Guerra Mondiale (v. foto storica) sancirono sì un ordine mondiale ma alquanto instabile che sfociò nella contrapposizione frontale tra Stati Uniti e Russia [la cosiddetta Guerra Fredda, con alterne vicende e diverse fasi dal 1947 al 1985 (la caduta del muro di Berlino è del 1989)].
E veniamo all’era Gorbaciov e alle grandi speranze che le sue aperture avevano suscitato in tutti gli uomini di buona volontà (sul sito leggi qui: Per saperne di più su Mikhail Gorbaciov).
Secondo il buon senso comune delle solite persone di buona volontà, alla dissoluzione dell’URSS e del blocco del Patto di Varsavia avrebbe dovuto corrispondere il parallelo smantellamento della NATO (North Atlantic Treaty Organization) con sostanziale riduzione degli arsenali atomici. Ma così non è stato e quella occasione unica proposta dalla Storia e da un contesto internazionale favorevole si è lasciata sfuggire. A causa soprattutto degli Stati Uniti? Il dibattito è aperto.
Il resto è storia recente, cronaca degli ultimi mesi: dalla Guerra in Ucraina, alle derive imperialistiche di Russia e Cina, alla minaccia dell’uso della bomba atomica, di cui solo il pensiero è un abominio.
Questa mia (forse ingenua) critica al sapiente articolo del giornalista americano è dettata dalla percezione dei fatti di una persona mediamente informata, certo non al corrente dei retroscena e delle finezze della politica. La mia impressione è che l’articolo non sia onesto fino in fondo; sia sostanzialmente “americano-centrico” e presenti in prevalenza gli aspetti positivi degli Stati Uniti, passando sotto silenzio molte delle sue debolezze e responsabilità.
Ricordo, per tornare al buon senso comune – dal grande al piccolo e dal complesso al minimale – le parole con cui la mia nonna Sandrella (da cui ho ereditato il nome) soleva dirimere le questioni tra noi bambini litigiosi:
– Ma ho ragione io… No, ho ragione io!
– Chi ha più saggezza l’adoperi – diceva lei.
Se davvero gli Stati Uniti fossero quel paese saggio ed ‘etico’ come l’articolista sostiene, non ci troveremmo in questa situazione.
Una frase riportata nell’articolo [del politologo Samuel Huntington (1927–2008) – ndr (2)] mi ha lasciato a pensarci su, ma la declinerei al passato.
“L’America non è una bugia, è una delusione. Ma può essere una delusione solo perché è anche una speranza”.
Al tempo della fine delle illusioni, la riscriverei così: …è stata una delusione perché era una speranza!
Note
(1) – John Ikenberry (1954) è un politologo statunitense.
È un teorico delle relazioni internazionali e della politica estera degli Stati Uniti ed è professore alla Princeton University.
(2) – The The Clash of Civilizations? e The End of History and the Last Man
Nel 1993, Huntington diede il via a un dibattito tra i teorici delle relazioni internazionali con la pubblicazione in Foreign Affairs (proprio su Foreign Affairs!) di un articolo estremamente influente e citato, intitolato The Clash of Civilizations? (Lo scontro di civiltà?). L’articolo si opponeva a un’altra tesi, relativa alle dinamiche principali della geopolitica post-Guerra Fredda, teorizzata da Francis Fukuyama nel 1992 nel libro The End of History and the Last Man.
Se nell’opera di Fukuyama veniva tratteggiata la “fine della storia” con l’avvento della globalizzazione guidata dalle liberal-democrazie occidentali, secondo Huntington, al contrario, la fine della Guerra Fredda non affermerebbe un modello unico, ma anzi libererebbe le diverse civiltà dal giogo del bipolarismo politico e ideologico Stati Uniti d’America e U.R.S.S., lasciandole libere di svilupparsi autonomamente. L’osservazione di Huntington è che “gli equilibri di potere tra le diverse civiltà stanno mutando” mentre “l’influenza relativa dell’Occidente è in calo”.
Huntington, in seguito, ampliò l’articolo, facendolo diventare un libro, pubblicato nel 1996, intitolato The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (Lo scontro delle civiltà e la nuova costruzione dell’ordine mondiale).
Immagine di copertina – The Yalta Conference, February 1945 – The ‘Big Three’, Winston Churchill, Franklin D. Roosevelt and Josif Stalin.
La redazione
10 Novembre 2022 at 20:06
Riceviamo in redazione lo scritto di un italiano trapiantato in America (è conosciuto da un membro della redazione ma ha chiesto di non comparire con nome e cognome).
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“Quando arrivai in America mi dissero:
‘Tu vedrai il futuro’. Verissimo, e aggiungo, ero contento che l’Italia seguisse le orme lasciate dal gigante che splende sulla collina. Non mi rendevo conto a quel tempo, per quello che sta accadendo ora, che abbiamo scelto la strada che porta al baratro. Riusciremo a scendere dal carro prima di arrivare al disastro? Riusciremo a rifiutare il loro modello che sta portando a quel baratro? Il film di cui ho letto la recensione “Causeway” non si occupa di un tema marginale ma di un fenomeno molto diffuso in questo paese e che è associato alla povertà sempre più evidente, indigenza diffusa, mancanza di salute, di assistenza sanitaria, emarginazione di coloro che sono per varie ragioni deboli e non hanno risorse, mentre altri ne hanno troppe. Una società senza eguaglianze con solitudini enormi.
Non dobbiamo arrivare anche noi a questo! L’America non è più quel grande esempio di libertà e democrazia. Ma non ci vogliamo credere. Perché ricordiamo un passato in cui tutto questo era vero. Il loro esempio era il più splendente per una Umanità proiettata verso il futuro.
Biagio Vitiello
10 Novembre 2022 at 22:16
Buonasera, non è giusto che si esprimano le proprie opinioni (giuste o non giuste) e si chieda di non comparire. Mi domando quali possono essere i motivi… Viviamo ancora in paesi liberi, dove si esprimono le proprie opinioni mettendoci la faccia!
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Risponde Sandro Russo
In linea di massima sono d’accordo con Biagio, infatti abbiamo sempre rispettato il criterio di non accettare commenti anonimi. Non è questo il caso: conosco la persona che ha inviato il commento.
I motivi possono essere diversi, tra cui – credo in questa occasione – il desiderio di non esporre ad un dolore o ad una delusione una persona cara.