Canzoni

Una canzone per la domenica (221). La cerco e non la trovo… chissà dove sarà

proposta da Sandro Russo

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Tra “le cose per cui vale la pena vivere” – nello spirito e sulla falsariga della famosa lista di Woody Allen (1), metterei certo alcune scene dai film di Charlie Chaplin. Tra queste, restando in ambito musicale due in particolare…
La prima non avrebbe bisogno di presentazioni, per quanto è famosa… Tanto da essere entrata nel linguaggio comune.
Quando uno cerca ansiosamente qualcosa di qua e di là, la cerca e non la trova… c’è sempre qualcuno che gli dice: Ma che cerchi?
E la risposta è una sola!
Cerca la Titina!

Titine
La Titine nell’interpretazione di Charlie Chaplin (con Paulette Goddard) in Tempi Moderni (film scritto e diretto e interpretato dallo stesso Chaplin, nel 1936). Il film è ancora muto, con brevi inserti sonori.

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Nonsense Song (Titine)

Se bella giu satore
Je notre so cafore
Je notre si cavore
Je la tu la ti la twah

La spinash o la bouchon
Cigaretto Portabello
Si rakish spaghaletto
Ti la tu la ti la twah

Senora pilasina
Voulez-vous le taximeter?
Le zionta su la seata
Tu la tu la tu la wah

Sa montia si n’amora
La sontia so gravora
La zontcha con sora
Je la possa ti la twah

Je notre so lamina
Je notre so cosina
Je le se tro savita
Je la tossa vi la twah

Se motra so la sonta
Chi vossa l’otra volta
Li zoscha si catonta
Tra la la la la la la

Vista e rivista la scena, ascoltata e riascoltata, ci si può incuriosire e chiedere di saperne di più.

Je cherche après Titine (conosciuta anche semplicemente come Titine), è una canzone composta nel 1917 da Léo Daniderff su testo di Bertal-Maubon ed Henri Lemonnier, resa celebre nel mondo in una versione cantata da Charlie Chaplin nel film Tempi moderni (1936); con un testo improvvisato in una lingua inventata (grammelot (2), misto di parole in francese, spagnolo e italiano spesso storpiate e messe assieme senza un vero costrutto.
La canzone fu inoltre ripresa in seguito in molte versioni, tra cui quelle di Jacques Helian (1952), Andrex (1958), Yves Montand (1959) e Georgette Plana (1971). La sua musica fu inserita anche nella colonna sonora del film I vitelloni.
La versione italiana è intitolata Io cerco la Titina e fu tradotta negli anni venti da Guido Di Napoli, interpretata da Pippo Starnazza con il Quintetto del Delirio, nel film del 1942 Noi vivi (da Wikipedia). Tra le versioni italiane più viste c’è quella di Gabriella Ferri (1942- 2004).

A proposito del non sense, c’è tanto da sapere: antica tradizione recitativa ed interpreti illustri… (3)

L’altra scena sempre musicale e sempre di/con Charlie Chaplin è estratta dal suo film del 1940, Il grande dittatore, feroce satira del nazismo e del suo capo (4).
Charlie Chaplin – The Great Dictator – Barber Shop Scene (Brahms’ Hungarian Dance No. 5) (5)

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Note

(1) – Cose per cui vale la pena vivere? La classica domanda esistenziale che si sono fatte tante persone più o meno famose nel corso della storia è risolta a modo suo dal regista Woody Allen nel bellissimo film Manhattan:
“Idea per un racconto sulla gente a Manhattan, che si crea costantemente dei problemi veramente inutili e nevrotici perché questo le impedisce di occuparsi dei più insolubili e terrificanti problemi universali. Ah, ehm… Deve essere ottimistico. Perché vale la pena di vivere? È un’ottima domanda. Be’, ci sono certe cose per cui valga la pena di vivere. Ehm… Per esempio… Ehm… Per me… boh, io direi… il vecchio Groucho Marx per dirne una e… Joe DiMaggio e… il secondo movimento della sinfonia Jupiter e… Louis Armstrong, l’incisione di Potato Head Blues e… i film svedesi naturalmente… L’educazione sentimentale di FlaubertMarlon Brando, Frank Sinatra… quelle incredibili… mele e pere dipinte da Cézannei granchi da Sam Woil viso di Tracy
[Da https://www.nonsonsolofilm.it/(anche con il testo inglese a fronte)]

(2) – Del grammelot o gramelot riporta Wikipedia: la voce forse è presa in prestito dal francese, ma d’origine imitativa e forse derivata dal veneziano) è uno strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e foni privi di significato in un discorso. Probabilmente deriva dal francese grommeler (borbottare).

(3) – Non sense e gramelot spesso coincidono.
Pare che questo artificio recitativo fosse utilizzato da giullari, attori itineranti e compagnie di comici della commedia dell’arte. Questi artisti pare recitassero usando intrecci di lingue e dialetti diversi miste a parole inventate, affidando alla gestualità e alla mimica quel tessuto connettivo che rendeva la comunicazione possibile a prescindere dalla lingua parlata dall’uditorio.
Esempio di grammelot cinematografico sono la canzone cantata da Charlot nel film Tempi moderni – presentata sopra – e il monologo di Adenoid Hynkel nel film Il grande dittatore entrambi di Charlie Chaplin. In epoca successiva questo filone è stato recuperato dall’attore Dario Fo, che lo ha valorizzato nuovamente, come ad esempio nell’opera Mistero buffo. In seguito Gigi Proietti si è esibito più volte in grammelot linguistici sui palcoscenici teatrali e televisivi. Fra i più noti, quelli in inglese ed in napoletano, ed un suo cavallo di battaglia è stato “Il Lonfo”, composto da Fosco Maraini (Firenze 1912- 2004), i cui versi sono: – Il lonfo non vaterca né gluisce / e molto raramente barigatta, / ma quando soffia il bego a bisce bisce / sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta / È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna / arrafferia malversa e sofolenta! / Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna / se lugri ti botalla e ti criventa.

(4) – La genesi del film è quasi contemporanea agli eventi storici in corso, ma in un certo senso li anticipa perfino. Charlie Chaplin depositò la prima sceneggiatura del suo film presso la Library of Congress il 12 novembre 1938, due giorni dopo La notte dei cristalli,. Il titolo provvisorio era The Dictator e Chaplin vi stava lavorando già da due anni. Nella sceneggiatura erano presenti eventi realmente accaduti e oggetto di parodia come la visita di Mussolini in Germania e l’annessione dell’Austria alla Germania.
La trama è quasi banale: la storia di un barbiere ebreo e della sua straordinaria somiglianza con un famoso dittatore di un paese europeo; ma le complicazioni e le implicazioni associate al genio e all’inventiva di Chaplin ne fanno uno dei film  più straordinari di tutti  tempi.

(5) – Le Danze ungheresi per pianoforte a quattro mani sono state scritte da Johannes Brahms agli inizi della sua carriera musicale (1852).
Nella partitura originale le danze venivano qualificate come ungheresi perché in quel tempo il folclore magiaro era del tutto sconosciuto e confuso con la musica zigana che quel popolo nomade aveva diffuso. Le danze ungheresi sono infatti impregnate del ritmo e delle melodie zigane affrancate dal virtuosismo che veniva inserito ed inventato dagli esecutori. Solo nel XX secolo le ricerche musicali di Zoltán Kodály e Béla Bartók chiariranno l’equivoco e riporteranno alla luce le musiche ungheresi (fonte Wikipedia)

1 Comment

1 Comments

  1. Pino Moroni

    6 Novembre 2022 at 22:43

    Ho apprezzato molto la canzone per la domenica. Grande idea quella di riproporre Charlot in uno delle sue performance migliori.
    E poi il ricordo del grammelot e dei grandi che l’hanno usato!
    Grazie Sandro.

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