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Quale complesso intrigo fra ragione e sentimento ha potuto far partorire alla mente umana il concetto di ‘eternità’ ? Ovvero: ciò che dura per sempre, impermeabile allo scorrere del tempo e inscalfibile.
Quale rappresentazione ha potuto prendere l’eternità?
Me lo domando mentre passeggio fra le scalette e i tracciati del nostro Cimitero dove, da questo lato e dall’altro, sorrisi stentorei, incorniciati fra lucette devote, attirano lo sguardo.
C’è l’amico delle elementari, la vecchina di Sopra i Conti che vendeva le uova fresche, e il pescatore di Cala Feola che mostra un’aragosta estratta dalla nassa. Fino a ieri accompagnavano la nostra esistenza ed ora sembrano desiderosi soltanto che quel lumicino fluttui vicino al loro viso.
Si sono spenti uomini il cui livore incuteva paura ai più, e donne dai modi tanto benevoli da sembrare mamme per tutti. Amici, compagni. Persone il cui disprezzo era un vanto, altre il cui vanto era la loro conoscenza.
Visi, come in attesa. Se ne accendi il ricordo, sorridono, o bestemmiano; se li trapassi con indifferenza mostrano disappunto. Perché parlano soltanto se dai loro voce. Altrimenti tacciono, malvolentieri, ma tacciono.
Siamo obbligati tutti alla provvisorietà, non all’eternità. Nulla riesce a dare l’immagine della eternità.
Le scritte altisonanti su alcune lapidi attestano proprio l’estemporaneità delle affermazioni. Qualcuna di esse è grave, una è poetica, una è infarcita di saggezza, una è tanto supponente da rendersi ridicola. Tutte esorcizzano la morte, la relativizzano, la sminuiscono, la annoverano fra gli eventi che passano senza intaccare la ‘forza’ dell’umanità.
E invece è questa sedicente ‘forza dell’umanità’ che si corrompe.
Il tempo, la Storia, la moda, le abitudini, le consuetudini, lo spirito del tempo e la sua coscienza, sono tutti fattori che erodono l’eternità. La rendono una chimera. Sognata perché impossibile da possedere.
Su questo colle, eletto dai Romani a villa imperiale per la sua posizione dominante quanto comoda, spirano i venti. Oggi leggeri e tiepidi.
Qui si caricano di visi, progetti, ideali, miserie. Li esprimono quei volti stampati nella ceramica. I venti li deflagrano nell’aria, fra le case, nelle piazze, in cerca di qualcuno che li catturi e dia loro corpo e spirito.
Cercano l’eternità. Quella che trapassa da uomo a uomo, da padre a figlio, da generazione a generazione.
Talora ciò avviene ma non è l’eternità quella che il testimone lascia, bensì la sua immagine.
Di eterno c’è soltanto la morte. Negata dalla scienza positiva, ammaliata dalla ‘forza vitale’ (bios), oggi indicata con terrore dall’ecologia.
Muore la natura sotto l’uso dissennato dell’acqua, delle foreste, dei mari, della guerra.
Della guerra, non più fenomeno politico e neanche geopolitico, bensì planetario, giacché riguarda l’uomo e l’ambiente, la terra e chi la calpesta.
Nota
Nel pensiero greco antico vengono usati invece tre termini a seconda del loro specifico significato:
- ζωή (zoé): il principio, l’essenza della vita che appartiene in comune, indistintamente, all’universalità di tutti gli esseri viventi e che ha come concetto contrario la non-vita e non, come si potrebbe pensare, la morte poiché questa riguarda il singolo essere che cessa, lui e soltanto lui, di vivere;
- βίος (bíos): indica le condizioni, i modi in cui si svolge la nostra vita. Zoé è dunque la vita che è in noi e per mezzo della quale viviamo (qua vivimus), bios allude al modo in cui viviamo (quam vivimus), cioè le modalità che caratterizzano ad esempio la vita contemplativa, la vita politica ecc. per le quali la lingua greca usa appunto il termine bios accompagnato da un aggettivo qualificante;
- ψυχή (psyché): nella lingua greca del Nuovo Testamento ricorre nel significato di “anima-respiro”, il “soffio” vitale [Nota a cura della redazione: fonte Wikipedia]