di Francesco De Luca
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Un bimbo narra il suo ‘due novembre’ di anni fa. Un vecchio raffigura il ‘due novembre’ di oggi.
“Il due novembre per i ragazzi era una festa. Un po’ sotto tono, quasi un gioire senza chiasso. Con i fichi secchi per dolci e le mostarde. Li gustavamo fra le cappelle e saltando fra i loculi a terra. Avevamo sperimentato ormai che sotto quelle lapidi riposavano anime amiche. Senza rumore esse ci avevano fatto visita nel sonno, per affetto, lasciandoci doni.
Cala la sera sulla giornata dei defunti. E’ stata allietata dal sole, ma il vento di greco-levante era fresco e fastidioso. Ora, sul colle del cimitero il vespro invita a ritirarci. I Morti hanno rinnovato le memorie ai viventi e costoro hanno rinverdito i loro affetto. Perché quel sapore di mostarda non è perduto. Ce lo portiamo dentro come un cimelio. Esso ci apre la pietà verso i defunti, senza lacrimevoli appariscenze e senza scettici sarcasmi. Con serenità”.
[da Un’isola da vivere – Pro-Loco – Ponza 1988 – pagg. 95 e 96]
La tradizionale aria cupa, tipica del giorno dei Morti è cancellata da un’atmosfera ancora estiva. Calda anzitutto, e calma. Mare piatto e nessun spiro di vento sul colle della Madonna.
Il cimitero brulica di persone. Per lo più donne, indaffarate a sistemare le cappelle, chiuse ad ogni visita da mesi e oggi, finalmente, accessibili, dopo i necessari lavori di sistemazione.
Di bambini, pochissimi. L’isola è abitata per lo più da anziani, e i bambini sono tenuti lontani da ciò che può incupirli. E’ questo un imperativo della cultura dominante, che coniuga soltanto il festoso, il fastoso, l’esuberante.
La tradizione ponzese invece ha nel culto dei Morti una nota qualificante e identitaria. Lotta perciò contro la modernità, ma con affanno. Ne consegue che i bimbi sono pochi.
E poche pure le preghiere.
E’ difficile votarsi alla preghiera con questo sole che ancora induce a vestirsi con le mezze maniche.
Epperò, nonostante una maggiore indulgenza verso il frivolo e una minore attenzione verso il religioso, il giorno dei Morti raggiunge il suo scopo sociale. Quello pietistico-religioso non so, ma quello sociale sì. Perché la comunità si raccoglie insieme. C’è il ricordo e lo scambio d’opinione, c’è il passato e il presente.
E il futuro ? Quello purtroppo non si riesce a vederne i contorni. Ci vorrebbe una volontà comunitaria più coesa affinché la sagoma del futuro potesse essere individuata.
Epperciò lo lasciamo a Dio, alla Sorte, agli Astri, a un Ente che plachi le nostre ansie ma non ha nessun sentore di solidità.