di Francesco De Luca
Del Confino a Ponza non si è sentito parlare che dopo la pubblicazione del libro di Silverio Corvisieri: All’isola di Ponza – Il mare, libreria internazionale – 1985. Prima, anche presso noi studenti isolani desiderosi di conoscere la storia di Ponza, non fu mai presentato il fenomeno storico nella sua importanza. Il merito indiscusso va a Silverio Corvisieri che ha indicato le porte delle biblioteche da aprire per saperne di più.
E il più è cominciato a venir fuori. In maniera confusa all’inizio e oggi in maniera sistematica. Grazie all’opera del Centro Studi e Documentazione Isola Ponziane, diretto da Rosanna Conte. Alla quale va il merito di aver proposto, fra l’altro, a noi Ponzesi, il bellissimo documentario ‘Voci dal Confino. Ponza 1928-1939’.
Umberto Migliaccio, realizzatore del documentario (prodotto da TodoModo e ANPPIA) e Rosanna Conte
Bellissimo e interessantissimo. Questo è il mio parere dopo averlo visto venerdì sera nella Sala Consiliare in Ponza.
Bellissimo, è un giudizio estetico. Non sono un critico d’arte ma l’andare del filmato mi ha catturato. Con tonalità stemperate, lento quanto basta, con alternanze fra paesaggi, foto, visi e parole, immagini datate e scorci attuali. Rubati al tempo, al ricordo, al disgusto di parlare di un orrore, al desiderio di far conoscere a quanta infamia si spinse l’annullamento delle libertà.
Si parla di Confino, ossia di privazione della libertà. E per cosa? Perché si condannava un potere (il fascismo) che imponeva l’obbedienza anche della mente. Delle opinioni e delle fedi.
A ribadire l’opposizione verso un Regime che esigeva l’ossequio col carcere forzato (il confino) sono gli stessi confinati, quei tanti che sono transitati per la nostra isola dal 1928 al 1939.
Tanti, anche se poche sono le testimonianze, perché il fenomeno era tenuto nascosto agli Italiani, e le fonti sono difficili da reperire.
Alcuni fotogrammi del documentario
L’interesse che mi si è destato risiede nel fatto che io sono ponzese e non concepisco come quel passato sia stato quasi rimosso dai Ponzesi.
Lo abbiamo visto, patito e… volutamente dimenticato. Parlo anche dei miei genitori i quali non mi hanno mai parlato di quanta pena si consumasse nel piccolo circondario del Porto da gente strappate agli affetti, al territorio, e messa in detenzione collettiva soltanto perché contraria al Regime. Ritenutosi, per autodefinizione, il più avveduto governo per l’Italia.
Un altro motivo di interesse è la totale assenza dei ponzesi dallo scenario esistenziale cui dava vita il Confino. Dieci anni di soprusi, di angherie e la popolazione di Ponza sembra quasi non ci fosse.
C’era… c’era, perché tante sono state le donne che si sono compromesse col regime per essere state accanto ai confinati come fidanzate, spose e ausiliarie (nel far circolare lettere fuori dalla censura ).
Le donne ponzesi hanno dato prova, in quel frangente, di un coraggio che è mancato agli uomini.
Questo pensiero mi deprime ora che conosciamo le cifre dell’astensionismo nell’ultima chiamata elettorale.
Tutto sembra scorrere sulle spalle come acqua che non bagna, non lava, non sporca, non spercia, Eppure siamo figli di una terra che ha visto il dolore derivante dal sopruso, e ha provato lo sforzo di reprimere la parola contro il diritto di gridare la libertà di espressione.
Noi Ponzesi abbiamo un passato che ci autorizza a volere forme di libertà più inclusive, più aperte, più partecipate.
Sandro Russo
30 Ottobre 2022 at 08:43
Bravo Franco, per aver affondato il dito nella piaga della rimozione. Un tema che a nessuno piace sia ricordato.
Fatte le dovute proporzioni rispetto alla gravità dei fatti, è la stessa “noncuranza” che avevano le popolazioni civili di Germania e Polonia nei confronti dei campi di concentramento che erano a un passo dalle loro case. Non erano fatti loro e il puzzo di carne bruciata poteva dar fastidio, ma era in fondo sopportabile.
Dico questo perché anch’io ho avuto una madre ponzese che quei tempi li ha vissuti. E a me ha trasferito un ricordo ironico di quei personaggi (i confinati) per le loro strane abitudini… Quello che suonava il violino per strada, quello che si faceva dare le lische dei pesci, diceva per studiarle… Macché – diceva mia madre – altro che studio! …quello se le mangiava, perché aveva fame!
E questa narrazione era di tutti… Non so se dovuta a ignoranza, superficialità o franca connivenza!
Mentre c’erano rarissime persone illuminate – ho saputo dopo, come Temistocle Curcio, o alcune donne, come ricorda Franco – che avevano capito tutto, e come! Quindi era possibile, capire, gli elementi c’erano… solo si è preferito non vedere: era più comodo così!