di Francesco De Luca
Parlare a Ponza di Portazero ci si riferisce immancabilmente a Geppino ‘i portazero.
Armatore di barche da pesca ma assolutamente non uomo di mare. Lo ribadisce il figlio Gennaro. Lui sì, tutta la vita spesa sulle barche da pesca.
Oggi dirige una delle ultime zaccalene: l’Apollo 12. Ma tante sono state le barche da pesca con cui ha arato il nostro mare. La prima si chiamava Coniglio perché aveva la prua particolare. La parte sottostante era più allungata di quella sovrastante così da sembrare il muso di un coniglio. Era un gozzo. A cui seguì la Zazà con la quale cominciò a pescare alici.
“Ormai di alici non ce ne sono più ” – azzardo.
“Non ce ne sono più perché non le fanno crescere ” – risponde.
“A Terracina ci sono due barche che pescano alici per tutto l’anno, e così pure a Fiumicino. Come fanno a moltiplicarsi? Così non è a Civitavecchia e in Toscana. Lì le alici ci sono e sono pescate soltanto in estate”.
Come è che mi sono intrattenuto con Gennaro Di Meglio? Così… stavamo in attesa, al sole, fuori al negozio… una parola tira l’altra: il tempo, gli anni, gli acciacchi… dalla conversazione banale si passa ad argomenti più seri. E Gennaro parla con la bonomìa che gli è connaturata.
“Vedi – mi dice – papà Geppino era attento ai cambiamenti e cercava di vedere sempre oltre. Fu così che fu il primo a dotare le barche del verricello a motore, e fu per questa sua manìa che comprò una barca più grande “La capricciosa”, e poi una ancora più grande, l’attuale “Apollo 12 ”.
“E questa …?” – dico.
“E con questa finirà tutto perché nessuno dei miei vuole continuare il mestiere. Vengono con me, mi assecondano in tutto ma non vogliono saperne di gestire la zaccalena. Io sono andato a mare che non avevo la terza media. Mio padre poi mi fece fare un corso per diventare capitano di piccolo cabotaggio”.
Gennaro non si attribuisce nessun merito, eppure ha realizzato un futuro prospero per sé e per i suoi. Nelle sue parole rimane sempre ai margini. “Era mio padre che maneggiava i soldi, era lui che divideva e spartiva i guadagni e, dopo di lui, ho tenuto io le redini. Fino ad oggi”.
“Dove vai adesso?” – chiedo. E’ mattino inoltrato di una giornata d’ottobre che non sembra tale.
“Vado sulla barca… s’è fatta vecchia e ci vuole continua manutenzione. Fra poco la tiriamo a Santa Maria per l’inverno”.
“Così ti curi la campagna?” – azzardo.
“Nooo… ho un orticello vicino casa ma non ci vado. Mi annoio”.
Perché c’è la gente di terra e la gente di mare; chi nella campagna trova ristoro, fatica e tormento, e chi tutto questo lo trova in mare. Anche se Gennaro non sembra che dopo il ristoro e la fatica senta il tormento.
Ho scritto questo pezzo per lasciare il segno di persone laboriose e oneste. Hanno fatto lui ed altri pochi come lui la storia della marineria da pesca di Ponza. Nell’umiltà e nella perseveranza.
Si dice dei nostri padri che fossero semplicemente gente dabbene. Il giudizio appare dirompente perché fuori dai canoni contemporanei. Oggi ci si guadagna la stima con i primati, di solito in comportamenti indegni e di malaffare.
Chi voglia avere esperienza viva di persona dabbene cerchi di conoscere Gennaro Di Meglio. Ne rimarrà stupito, come lo sono stato io.
Vera Mazzella (da Facebook)
21 Ottobre 2022 at 16:42
Grazie Franco hai descritto Gennaro, la sua barca, il suo mestiere e la sua voglia di continuare anche se l’età avanza e gli acciacchi aumentano; lui ama il suo mestiere, è un vero uomo di mare… di una generazione che non c’è più. Lui è mio cognato ma da sempre lo considero mio fratello.