segnalato dalla Redazione
Ogni volta che possiamo – per una notizia in cronaca, per manifestazioni culturali, per un articolo di politica estera che li riguarda – scriviamo del popolo kurdo. Ad essi abbiamo dedicato sei articoli (a quattro mani) Patrizia Angelotti ed io: Cerca nel sito – etnia kurda – , in frontespizio, colonna di sinistra (1).
Kurdi sono gli eroi di Zerocalcare in Kobane calling: I curdi non hanno Stati amici, hanno soltanto le montagne.
Ai kurdi (o curdi) dedica l’articolo che qui di seguito riportiamo Fernando Gentilini, nell’ambito della sua serie Finis terrae [su la Repubblica – (2)].
S. R.
Curdi a cavallo, dal periodico francese L’Univers illustré (1859) [dall’articolo di Repubblica]
FINIS TERRAE. Tra geopolitica e storia
L’arte di resistere del popolo curdo
di Fernando Gentilini
Da sempre costretto a combattere per la propria esistenza, discende dall’antica stirpe dei carduchi ammirata da Senofonte. Celebre anche per le donne guerriere
È un popolo, quello curdo, di cui si continua a parlare poco. Eppure non c’è questione mediorientale, incluse quelle sulle prime pagine dei giornali in questi giorni, che in qualche modo non riguardi anche loro. La rivolta dei capelli in Iran, tanto per cominciare. Iniziata con l’uccisione della studentessa curda Mahsa Amini, e che ora sta infiammando i paesi vicini, complici le rappresaglie delle Guardie della Rivoluzione iraniana. Oppure la questione dell’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, con le riserve della Turchia dovute proprio ai rifugiati curdi nei due paesi scandinavi, di cui Ankara, che li considera terroristi, reclama la consegna.
Se poi riandiamo al passato recente, i curdi dovrebbero farci pensare alla guerra in Iraq e in Siria contro l’Is e il Daesh, condotta dalla coalizione internazionale con il contributo determinante dei loro peshmerga, che più di altri hanno sopportato il peso dei combattimenti casa per casa a Raqqa, Falluja, Mosul… Il loro quartier generale è poco più a nord, nel Kurdistan iracheno che sogna l’indipendenza, i cui rapporti turbolenti con Baghdad stanno lì a ricordarci l’eterna questione nazionale irrisolta, che ciclicamente torna a scuotere la regione facendola ogni volta vacillare.
Quella dei curdi è una storia di resistenza, la storia di un popolo parcellizzato dalle frontiere turche, iraniane, irachene e siriane, cui la comunità internazionale non ha mai voluto dare Stato malgrado la promessa di Sèvres un secolo fa. Ma soprattutto è la storia di un grande popolo, che persiani, parti, romani, bizantini, arabi, iraniani e turchi hanno tentato fin dall’antichità di sottomettere senza successo. L’ultimo che ci ha provato è stato Saddam Hussein, con bombe e gas nervino (3), ed è stato peggio per lui… Mentre il primo ad aver capito di che pasta erano fatti fu Senofonte, se è vero che i loro antenati sono i carduchi di cui si legge nella sua Anabasi.
L’atmosfera cupa dell’incipit fa già pensare all’Iran del nostro tempo. C’è la congiura di Ciro contro il fratello Artaserse, la formazione dell’esercito mercenario, e poi ci sono la disfatta dei greci vicino Babilonia e l’immancabile funerale imperiale catartico. Ma ben più emblematiche si rivelano le pagine sulla ritirata dei “Diecimila” di Senofonte fino a Trapezunte, sul Mar Nero, e sullo scontro che li oppose ai carduchi lungo il cammino. Perché sono proprio questi ultimi, con la loro dignità e il loro attaccamento ai propri valori, a riportarci dritti all’attualità mediorientale dei nostri giorni, e al sacrificio della giovane curda Mahsa Amini.
Anche i carduchi raccontati da Senofonte si fecero massacrare pur di resistere a quei diecimila impostori che volevano sopraffarli. Difatti, per i greci, quei sette giorni interminabili tra le montagne dell’alto Tigri furono i più difficili dell’intera campagna. Il popolo carduco era fiero, generoso e ben addestrato alla guerra. Con le sue frecce, i suoi archi, le sue fionde e le sue imboscate, era riuscito a creare al corpo di spedizione greco persino più sofferenze di quante non ne avessero create i persiani del terribile Tissaferne durante la guerra vera e propria.
Insomma i carduchi sapevano combattere, conoscevano le tecniche della guerriglia, quelle degli scontri campali, e avevano armi ed equipaggiamenti per l’una e per gli altri. Le loro frecce trapassavano scudi e corazze, mentre gli enormi massi che facevano rotolare dalle cime delle montagne seminavano morte e terrore. Senofonte ammira il modo con cui comunicano di notte, tramite i fuochi, e il loro coraggio di fronte alla morte. Piuttosto che tradire i compagni rivelandone il nascondiglio, un giorno un prigioniero carduco si lasciò sgozzare senza neanche una smorfia, il che non poteva certo lasciare indifferente un ex allievo di Socrate.
Si capisce il rispetto di Senofonte per quegli avversari così valorosi, e non solo perché erano nemici giurati dei persiani, ma per il modo in cui difendevano la propria libertà. In più di una circostanza l’autore dell’Anabasi si lascia andare, rivela che avrebbe voluto trattare con loro in amicizia. Confessa di invidiarne le doti militari, come la precisione degli arcieri, e di compiangerli in quanto invasi da un esercito straniero in casa propria.
Tutte le volte che ne ha l’occasione, Senofonte annota le abitudini dei carduchi che li rendevano meno “barbari”: come quella di tenere il vino in cisterne protette da uno strato di calce, come si usava ad Atene.
È un filosofo-soldato Senofonte, usa il paragone come metodo di conoscenza. E anche sulla condizione femminile, argomento che gli interessa e su cui a Sparta scriverà ancora, non può evitare di interrogarsi. Per gli ateniesi la guerra era un’arte maschile, le uniche donne al seguito dei diecimila erano le prostitute. Invece, nel pianeta dei carduchi, tutto lasciava supporre che le donne avessero un ruolo di primo piano nella guerriglia, specie quando ci si doveva ritirare dal villaggio durante la notte, per trasferire famiglie, viveri e bestiame in luoghi sicuri e fuori dalla portata degli invasori.
È a questo punto che tornano in mente le soldatesse curde del nostro tempo, che combattono i terroristi islamici in Siria ed Iraq, il cui impegno in tuta mimetica fa parte della loro vita di tutti i giorni. E ovviamente, per riandare al punto di partenza, vengono in mente le donne, non solo iraniane, che in tutta la regione, nel nome di Mahsa Amini e delle altre vittime dopo di lei, continuano la protesta contro il regime dei mullah. Perché qui, diversamente dal mondo arabo, ogni aspetto del quotidiano ruota attorno a una figura di donna. E questo accade dai tempi del Libro di Ester, coevo all’Anabasi di Senofonte, che inaugura il filone della dignità, della libertà e del coraggio femminile che poi ritornerà nello Shâhnâmeh.
È una vera rivoluzione spirituale quella dell’hijab, che si compie nel segno delle radici e delle tradizioni pre-islamiche, che forse le donne hanno saputo tramandare meglio degli uomini. Ed è per questo che allora la rivolta dei capelli che attraversa come un incendio tutto il continente può essere l’inizio di un futuro diverso: nel quale sarà l’antica sorellanza a salvare i popoli mediorientali dagli oppressori e dai fanatici, e magari anche a fargli fare la pace se sono da troppo tempo in guerra tra loro. Sorellanza quindi come vera anabasi, come ascesa, come salita gerosolimitana verso la giustizia e la libertà.
Chissà se il filo-spartano Senofonte, che ammirava le donne emancipate di quella città, sarebbe stato d’accordo…
Note
(1) – L’etnia kurda. Indicazioni alla ricerca nella presentazione (vedi sopra).In alternativa, leggi qui l’ultimo articolo della serie, da cui si può procedere a ritroso attraverso i link.
(2) – Degli articoli di Fernando Gentilini, abbiamo già pubblicato sul sito:
Lo scrittore va alla guerra, del 1° marzo 2022;
Comprendere la geopolitica attraverso la letteratura, del 9 aprile 2022;
L’eterna lotta tra il fuoco e il ghiaccio, del 24 settembre 2022.
(3) – La strage di Halabja (prima parte) del 19 febbraio 2014; La strage di Halabja (seconda parte), del 21 febbraio 2014.