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Una settimana in tenda a Ponza

di Sandro Russo

Nel 1964 avevo 17 anni. Il mondo era molto più semplice da vivere, allora. Poche ugge e indecisioni: ‘succedevano’ e si facevano cose, senza stare troppo a pensarci su. È strano ripensarci adesso, così a distanza, quando la gran parte della vita, bene o male è passata (bene, non mi posso lamentare).
Non sapevamo bene di cosa si trattasse, in effetti. Le idee stesse di “vita” e di “futuro” erano confuse. Ma ugualmente volevamo mangiarli a morsi. Questo almeno nelle intenzioni.

Fu in questo modo di sentire e vivere (confuso) che alla fine dell’anno scolastico nacque l’idea di fare una vacanza a Ponza con tre dei miei compagni di scuola. Avevamo appena finito il quarto anno del Liceo Scientifico a Cassino (Ciociaria piuttosto arretrata al tempo).
I miei amici dovevano avermi sentito parlare di Ponza con un entusiasmo spropositato, per essere riuscito a convincerli. I tempi erano quelli che erano e “la provincia” uno stato d’animo, più che un luogo geografico: non era mai stata un terreno fertile per i voli di libertà. Il ’68 – che peraltro fu un fenomeno cittadino ed elitario -, era ancora al di là da venire. Da noi si stava per lo più attaccati come licheni alla roccia di appartenenza ed era difficile scrostarsi. Anche i giovani.

Ma come fu come non fu… si riuscì a partire. I genitori (quasi tutti) con la lacrimuccia sul viso ci accompagnarono all’imbarco a Formia.


I miei amici, credo, partivano per la prima avventura della loro vita; io come “pratico locale” ero in qualche modo il capo della spedizione, per niente compreso nel mio compito anzi, al solito, deciso a trarne tutto il divertimento possibile.

L’occasione per la rievocazione di quell’avventura è venuta da una breve nota scambiata con uno degli amici di allora, Giancarlo, risentito dopo molti anni di silenzio. Sempre amico rimane, anche se nostro malgrado la vita ci ha separati; compaiono altri interessi e altri amici. Ma è un piacere, quando capita, ritrovarsi.
Il suo commento è alla fine di questo scritto.

Ci ritrovammo a Ponza dopo le canoniche tre ore di ‘vapore’ – il Mergellina, credo -, uniti dal cameratismo dei giorni di scuola.
Ponza rappresentava per me l’agognato ritorno che avevo sognato per tutto l’inverno. Avrei ritrovato il mare, gli scogli, gli amici di sempre; i più stretti passavano anch’essi il resto dell’anno lontano da Ponza, chi a Formia, a Latina, a Roma… ed era più che un piacere ritrovarci per l’estate: un rito!
I miei amici di Cassino erano variamente spaesati: per loro era tutto nuovo, il posto ovviamente, ma la vita in completa libertà, le persone, perfino il modo di parlare, che io padroneggiavo come lingua-madre.

Nacque subito il problema di dove andare a mettere la tenda – a quel tempo a Ponza si poteva ancora campeggiare liberamente. Esclusi i posti più fuori mano, anche se più suggestivi (sopra Chiaia di Luna per esempio), alla fine ci risolvemmo per uno spazio libero in un canneto sopra la via Nuova, a due passi da dove abitavano i miei nonni e zie (ma per arrivarci bisognava fare un giro più lungo).

Le due foto che mostrano la via Nuova sopra Sant’Antonio sono entrambe fuori tempo rispetto al periodo che viene raccontato (1)

Andrea era il più campagnolo e adattabile, ma per gli altri due era la prima volta in tenda. Io dormivo dai nonni.
La mattina dopo, quando sul presto andai a vedere com’era andata, trovai una Caporetto. Non avevano chiuso occhio tutta la notte.
Giancarlo aveva smaniato tutto il tempo, per il sentirsi esposto troppo all’aperto, per la scomodità del materassino; addirittura per gli aerei che passavano ‘ogni cinque minuti’ e gli impedivano di dormire. Aveva sbuffato, inveito ad alta voce e fatto ‘dentro e fuori’ dalla tenda.
Aldo, disadatto peggio di lui, aveva l’ossessione delle lucertole e delle formiche che potevano entrare in tenda. Mammone com’era, alla sua prima notte fuori casa, senza l’accogliente letto della sua comoda cameretta. Figuriamoci!
Andrea era l’unico che voleva dormire, ma non gli era stato possibile per le smanie degli altri due.

Non ricordo se la sera successiva ci fu un nuovo tentativo di dormire in tenda. Ma non poteva funzionare.
Finì con Giancarlo e Aldo a dormire a casa dei miei nonni, sotto il tavolo della camera da pranzo, per non intralciare gli andirivieni notturni dei già numerosi ospiti; mentre Andrea e io prendemmo serenamente possesso della tenda. Così almeno il problema del dormire fu risolto.
Altre difficoltà ricordo sorsero per il mangiare (2) e sull’organizzazione della giornata. I miei compagni di scuola erano terragni, e Ponza, “come dice il nome”, d’estate è solo mare. Non avevo ancora il mio piccolo ‘gommone’ (3). Credo disponessimo della modesta barchetta (di Franco, ma come se fosse anche mia), la gloriosa Sopwith Camel, dipinta di rosa e viola; per lo più si era ospiti di amici dotati di barca. Ma non ricordo di averli portati a Palmarola o a Zannone, mete troppo ambiziose per loro.
Ci fu anche una piccola complicazione sentimentale, quando uno del gruppo ‘rimorchiò’ una procace beltà locale e gli altri si sentirono “traditi”. Insomma mi trovai mio malgrado ad affrontare complicazioni per me inconsuete e a dover ogni volta mediare (…cosa che non è esattamente il mio forte).
Credo che riuscimmo anche a divertirci, in tutto questo. Eravamo ragazzi e ci bastava poco; ma non ricordo – né poteva esserci da parte loro – quell’abbandono o ebbrezza della libertà che sperimentavo io appena mettevo piede sull’isola.

Forse mi verrà in mente qualcosa di più di quella vacanza se riuscirò a rievocarla con i due amici rimasti (Andrea purtroppo non c’è più). Ma ricordo che al ritorno in classe, malgrado la curiosità degli altri compagni, tutta la vicenda fu passata sotto silenzio… Nessuno di noi quattro, per motivi diversi, voleva parlarne, figuriamoci sopportare le ironie e le battute degli altri.

Ricordo di quel periodo la colonna sonora. Era l’anno che imperversava Quando calienta el sol che mettevamo ossessivamente al giubbox d’u Surecillo, abbascio Santantuone (4). Allora ci prendeva così.

Questa la canzone (una hit internazionale del gruppo cubano Los Hermanos Rigual, proposta in Italia da  Los Marcellos Ferial: una bieca operazione commerciale per sfruttare il successo del momento) che sicuramente genererà sanguinosi (o dolcissimi) ricordi nei miei coetanei:

 

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Cuando calienta el sol aquí en la playa
Siento tu cuerpo vibrar cerca de mí
Es tu palpitar, es tu cara, es tu pelo
Son tus besos, me estremezco, oh, oh, oh

E questo il messaggio di Giancarlo, ricontattato e spinto a parlare di quella lontana vacanza.

“Ponza è nel mio Eden interiore, basta il nome  per riportarmi indietro nel tempo a quasi sessant’anni fa!
Per me è stata la prima vera libertà, la mia prima e forse unica evasione!
I tuoi tuffi dagli scogli, le cernie del tuo amico palestrato, le fritture del tuo parente sul porto, le cortesie e le premure dei tuoi parenti materni, le lucertole di Aldo che riparavano sotto  la tenda perché unica ombra in un orto assetato e brullo, il profumo dei maritozzi che tardavano ad uscire perché ero io in anticipo all’alba quando il resto della truppa rientrava appena prima del fornaio! Ero troppo di montagna per apprezzare in pieno la magia e il profumo di un miraggio!”.

 

Note

(1) – Le foto. La prima (per cortesia dall’Archivio Giovanni Pacifico) è degli anni ’30, precedente alla costruzione della banchina nuova e alla sistemazione della spiaggia, ma ci sono i tre archi archi di sostegno della via. La casa dei miei nonni (proprietà Cortese) è quella più scura poco dopo gli archi. Proseguendo sulla via Nuova, prima di cominciare la discesa, c’era sulla sinistra una parracina che sosteneva un canneto; lì avevamo piazzato la nostra tenda. La seconda immagine, presa dalla strada stessa, proprio sopra gli archi, è molto più recente (foto di Silveria Aroma).

(2) – Al tempo Franco Zecca e io l’estate lavoravamo come aiuto camerieri al Ristorante Zi’ Capozzi, in piazza, di proprietà di zia Lucia Capozzi, la madre di Franco (sul sito, leggi qui).

(3) – Il mio mitico Zodiac Astral 3,60 arrivò parecchi anni dopo, appena dopo la laurea (1971) con i primi stipendi da ‘medico di guardia’.

(4) – Ogni estate aveva la sua canzone/tormentone: prima c’era stato Nico Fidenco con Legata a un granello di sabbia (1961); poi Sapore di sale, di Gino Paoli (1963).
Di Cuando calienta el sol con Silverio Guarino facemmo anche una versione ‘goliardica’ (la ricordo tutta: la ricorderanno sicuramente anche Silverio, Luisa e Francozecca).
Cominciava così: Quando sui merlettin cala la sera… (il seguito è improponibile qui).
Per dire dell’approssimazione filologica del tempo: è stata una sorpresa scoprire, anni più tardi, che calienta el sol non significa ‘cala, tramonta il sole’, ma ‘diventa più caldo, infuoca più forte il sole’. A noi era bastato sentire “pelo” (che poi significa anche “capelli”) per scatenarci!

***

Appendice del 15 ottobre (cfr. Commento di Franco Zecca)

Perché avevamo chiamato la nostra barca Sopwith Camel:

6 Comments

6 Comments

  1. Franco Zecca

    15 Ottobre 2022 at 05:13

    E come no, Sandro?
    Quanti amici abbiamo fatto venire a Ponza in quegli anni giovanili!
    Ricordo un po’ vagamente questi amici di Cassino di cui racconti, ma mi vengono in mente altri gruppi ‘ospitati’ nel corso degli anni, nelle nostre estati: miei amici di liceo da Formia, amici del gruppo musicale di Silverio (Guarino) da Latina, e altri amici tuoi di Roma (ma anni dopo, quando già eri laureato e avevi il gommone), che scarrozzavi su e giù tra Ponza e Palmarola, dove avevate messo delle tende. A una di queste spedizioni partecipai anch’io ed incautamente fui colpito da un “colpo di sole” con febbre notturna, ma il mattino seguente ero già in mare a fare patelle, grazie anche alle cure dei neo-medici.
    E (mi ricordo) di come questi amici venivano accolti nel nostro gruppo e diventavano amici di tutti.
    Ora una precisazione: nel 1964 non possedevo/possedevamo la barca. Il “canotto” di metri 3,80, l’acquistai nell’ottobre del 1968, nientepopodimeno che… da Giulio Matrone, il padre di Giovanni, che ne aveva fatto costruire ben sei dal mastro d’ascia Simeone di Formia. Lo pagai 80.000 lire, quasi un mio stipendio di allora. E sì: l’avevamo chiamato Sopwith Camel (dal nome dell’aereo di fantasia con cui Snoopy dal tetto della sua cuccia combatteva col Barone Rosso (…maledetto Barone Rosso, non mi avrai!).

    Una immagine nell’articolo di base

  2. Giancarlo

    16 Ottobre 2022 at 06:39

    Sono uno dei due ‘campeggiatori’ del racconto di Sandro.

    Ciao Sandro,
    sono riuscito a rintracciare Aldo, ti mando i recapiti.
    Ho letto la tua rievocazione e mi è venuto da sorridere. Io ho sempre dormito da solo su un letto da una piazza e mezza, a parte qualche occasione a Canneto (*) in tenda e sulle pietre, e a Roma per un brevissimo periodo in due su un matrimoniale (**). Ma a Ponza non reggevo nessuno in tenda perché tra Aldo che ululava di terrore per le feroci lucertole, io che non reggevo la notte perché andavo a dormire mai dopo le 11 e molto prima dei vostri ritorni notturni, mi svegliavo e cominciavo a girarmi, agognando l’alba nascente per sgattaiolare fuori dalle torture! Ecco perché mi trovavo già alle quattro di mattina davanti al forno dei maritozzi caldi con lo zucchero.
    Ora giro il ricordo di Ponza al numero di Aldo!
    Buona domenica!

    (*) – Il santuario della Madonna di Canneto sorge nel territorio di Settefrati a 1030 m s.l.m., all’interno del parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, in provincia di Frosinone. A poche centinaia di metri dal santuario si trova la sorgente del fiume Melfa, affluente del Liri.

    (**) – Durante il primo anno di Università (Giancarlo a Matematica, Sandro a Medicina), dopo rigorosa ispezione dei genitori, Giancarlo e Sandro hanno abitato insieme, in una pensione a Roma, in via Collina (adiacenze via Piave), nella stessa stanza, dormendo nello stesso letto (un grande matrimoniale, appunto). Era stata una necessità pratica, dal momento che in un letto singolo, a causa dell’alta statura, Giancarlo, sarebbe rimasto con i piedi appesi fuori – NdA).

  3. Aldo

    16 Ottobre 2022 at 11:47

    Sono Aldo, l’altro dei due ‘campeggiatori’ del racconto di Sandro

    Ho letto il resoconto un po’ romanzato del nostro periodo ‘ponziano’. Non ricordo proprio di aver smesso di dormire in tenda e di essermi trasferito sotto un tavolo con Giancarlo. Boh! Ricordo invece che, siccome la tenda era corta e i piedi stavano fuori, me li fasciavo con una coperta, per paura non tanto delle lucertole ma di qualche serpentello. Figuriamoci tu che eri più lungo di me: stavi praticamente non solo con i piedi ma anche con le gambe fuori (rischio maggiore!). Ricordo che scendevano per un viottolo e ci lavavamo la faccia ad una fontanella lungo la strada, prima di andar a fare colazione con i maritozzi.
    Comunque quella vacanza me la ricorderò sempre perché mi fece assaporare la libertà tanto che per andare all’università, l’anno dopo, scelsi Bologna, la città più lontana di tutte le altre scelte dai nostri amici.
    Ciao Gianca’, un abbraccio, e se senti Sandro salutalo per me.

  4. Luisa Guarino

    16 Ottobre 2022 at 17:58

    Molto bello e articolato questo amarcord di Sandro, anche grazie all’intervento degli altri due “campeggiatori”. Ho un solo dubbio: dove avete/hanno trovato i maritozzi a Ponza? Forse brioche, cornetti, zeppole, frittelle, non saprei. Io non ne ho mai visti. O avevate un forno esclusivo, o vi ha sviato una sorta di “deformazione romanesca” nei confronti di questo tipico dolce da colazione… magari con panna.

  5. Giancarlo Caira

    16 Ottobre 2022 at 20:54

    Il mio ricordo è indelebile, trattavasi di maritozzo semplice, profumato, morbido, leggermente dolce con una spruzzata di zucchero caramellato. Era un forno, non una pasticceria ed era sempre chiuso quando arrivavo. Una immagine, un sapore, un rito che “m’illuminava di immenso”. A ripensarci credo che fosse il primo dei tre che a Ponza, e al mare in genere, segnavano le mie giornate, la colazione al mattino presto, il pranzo verso le 14 e la cena la sera; non facevo altro se non osservare e curiosare i divertimenti degli altri: non sapevo nuotare e per non annoiarmi mangiavo! Sic et sempliciter

  6. Gabriella Nardacci

    20 Ottobre 2022 at 11:32

    La tenerezza giusta per questo racconto di storia vera. Un appello per stabilire nuovamente quel legame, per tirare un filo e riallacciarsi a quella sensazione di libertà… E’ bello quando certi amici rispondono e aggiungono ulteriori dettagli a quel ricordo. E’ un consolidare l’idea che quel pezzo di storia è stata vissuta e che tutti la ricordano con piacere.
    In questo caso una rimpatriata ci vuole, Sandro! Riprendere certi fili di un bel discorso e ri-prendersi con un abbraccio per dirsi in silenzio che nulla s’è perso.
    Quando poi si dice… la nostalgia!

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