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Dai suoi appunti del Corso di Cinema, dalla lezione dedicata appunto, al bacio, Gianni ha tratto un testo discorsivo che è stato un piacere per me rileggere.
Lo agganciamo all’articolo pubblicato qualche giorno fa, Il bacio al cinema, dell’antropologo Marino Niola, da la Repubblica.
Il corso di Gianni ha avuto su di me un effetto che voglio raccontare: come di quando si guarda uno stereogramma. Seguivo le lezioni e vedevo i film consigliati (ci frequentiamo da 8-9 anni); prendevo i miei appunti, ma mi sembrava solo di aggiungere nozioni su nozioni, dettagli tecnici e numero di film visti.
Lo stereogramma lo guardi, lo guardi e non vedi niente, poi all’improvviso una immagine si stacca dal fondo e la vedi nitida, in tre dimensioni.
Così è stato che il semplice accumulo di conoscenze si è trasformato nella sensazione di essere dentro al quadro, e di essere in grado di vederne i più piccoli particolari. La chiave aveva funzionato.
Sandro Russo
Stereogramma: due delfini e qualcosa che vola, lì a sinistra. Non è facile né immediato. Il segreto è non guardare direttamente, ma mettendo a fuoco al di qua o al di là dell’immagine (sicuramente non possono vederlo coloro che non hanno una visione bi-oculare bilanciata)
Il bacio di celluloide
di Gianni Sarro
Il bacio è una delle ‘categorie’ più utilizzate dal cinema; si farebbe prima ad elencare i film in cui non appare, che quelli dove è presente.
Il primo bacio al cinema si vede nel 1896, la pellicola s’intitola The Kiss, prodotto da Thomas Alva Edison.
Salvo casi particolari, il bacio è un evento dalla durata relativamente breve, per quanto lungo (pensiamo al caso limite di Notorius) non si protrae nel tempo quanto una conversazione, un inseguimento o una sparatoria.
Il bacio va considerato l’apice del climax narrativo, che magari suggella una conversazione (Colazione da Tiffany) o – perché no? – una sparatoria (Duello al sole – Duel in the Sun; King Vidor, 1946).
Tenendo conto anche del preludio, il bacio al cinema ha avuto due diverse modalità di rappresentazione.
Da una parte l’alternanza dei piani dei due diversi soggetti seguendo il collaudato schema del campo e controcampo delle scene di conversazioni (è abbastanza scontato che due amanti prima di baciarsi, si parlino), dall’altra l’avvicinamento progressivo costruito attraverso uno o più raccordi in avanti.
Sul versante dei piani nella stragrande maggioranza dei casi il bacio viene rappresentato in primo piano, primissimo piano, mezzi primi piani. Come sappiamo, tuttavia, le convenzioni espressive del cinema non sono dogmi inalienabili, e va da sé che anche il bacio abbia costituito un campo di sperimentazione espressiva ampio.
Altro canone della rappresentazione del bacio è la musica di sottofondo, generalmente dai toni romantici, scelti semi obbligata dal fatto che durante un bacio non si parla. La parola trova invece spazio prima e dopo il bacio.
Detto che un bacio è un atto di acclarata intimità, può accadere di scambiarselo in luoghi privati o pubblici, oppure in luoghi “di mezzo”, di confine tra queste due sfere, ed ecco che il cinema sfrutta spazi quali gli androni e le scale, le soglie ecc. Il bacio implica la presenza di due soggetti, si pone quindi il problema dell’eventuale punto di vista dominante, ovvero dell’affermarsi di una soggettività che ha il compito di fare da filtro principale della rappresentazione, ossia di guidare lo spettatore attraverso lo svolgimento della scena.
Come ogni situazione che vede protagonisti due soggetti, il bacio pone il problema dell’eventuale punto di vista dominante, ossia può evidenziare una soggettività che funziona da filtro principale della rappresentazione. I due amanti in gioco potranno assumere ognuno un ruolo attivo o passivo.
1. Colazione da Tiffany, il bacio per bene
Tratto dal romanzo di Truman Capote, la pellicola di Blake Edwards (1961) narra le vicende di Paul (George Peppard) un aspirante scrittore mantenuto, e di Holly (Audrey Hepburn), una giovane donna turbolenta. I due vivono nello stesso palazzo ed allacciano un’amicizia.
Un giorno Paul riceve un assegno per il primo racconto che ha venduto, corre nell’appartamento di Holly e l’invita a festeggiare. La donna accetta a patto che “Si faccia qualcosa che non abbiamo mai fatto”. I due escono per le strade di Manhattan e passano una giornata molto divertente insieme.
Finché entrano dentro un bazar dove decidono di rubare qualcosa. Entrambi fuggono con una maschera di cartone, da gatto Holly, da cane Paul, e corrono verso casa. Qui scocca la scintilla tra i due giovani, che provano una sottaciuta attrazione reciproca. Arrivati nell’androne del palazzo (tipico luogo di transizione, tra una dimensione pubblica ed una privata) Holly e Paul trovano finalmente il coraggio di gettare via la maschera.
Il bacio tra loro due rispetta le regole del bacio hollywoodiano: è pudico e galante. Il momento clou si suddivide in cinque inquadrature. Quella d’esordio è un piano a due a mezza figura: i due sono addossati ognuno a uno dei lati del piano, a sottolineare la distanza tra di loro che presto verrà colmata. Infatti ci sono due particolari che li uniscono, entrambi indossano ancora le maschere, entrambi tirano fuori le chiavi nello stesso istante.
Le due successive inquadrature sono due primi piani, prima di Paul e poi di Holly, tutti e due si tolgono le maschere. Gesto, quest’ultimo, rilevatore: togliendosi la maschera i due vogliono confessarsi la reciproca attrazione, che non vuole più essere mascherata. Un primo piano di Paul introduce il movimento dell’uomo: ormai il dato è tratto. Paul s’avvicina ad Holly che la macchina da presa fa entrare in campo un attimo prima che i due finalmente si bacino.
Una musica romantica – a chi non è restato il ricordo di Moon river? – sottolinea tutta quest’ultima fase, a parte il momento del bacio vero e proprio che si svolge in silenzio.
Una dissolvenza introduce un’ellissi che ci porta all’inquadratura successiva, è il totale di una stanza, su un letto sfatto è sdraiato Paul da solo, subito dopo un dettaglio del suo occhio che si apre, una terza inquadratura in controcampo ci svela quello che vede l’occhio di Paul, la maschera di Holly e la sua attaccate ad una statua. Segno inequivocabile di come Holly e Paul hanno passato la notte insieme.
Il bacio della sequenza finale, sotto la pioggia, dopo aver cercato a lungo il gatto che ora è tra loro due… Qualcosa significherà..!
2. Un uomo tranquillo, resistere a un bacio, si può?
Sean (John Wayne) torna in Irlanda e acquista “Rosa di maggio” la casa dove viveva da bambino, prima di trasferirsi in America, dove ha fatto fortuna come pugile (The Quiet Man è un film del 1952 diretto da John Ford).
La scena inizia con l’uomo che si dirige verso casa, vede uscire del fumo dal comignolo (un’inquadratura ravvicinata lo sottolinea), capisce che dentro l’abitazione c’è qualcuno ed entra (solito gioco di inquadrature campo e controcampo, per palesare allo spettatore il fuoricampo). L’atmosfera complessiva della scena, inizialmente, è carica di tensione, di elettricità.
All’esterno spira un vento molto intenso, all’interno la casa è scarsamente illuminata; esteticamente siamo di fronte ad una messa in scena espressionista. Sean entra dentro casa e vede davanti al camino, una scopa adagiata sul pavimento; finora abbiamo visto solo Sean, l’ululato del vento è accompagnato da un commento musicale che accresce la drammatizzazione del momento.
Dopo un altro stacco su Sean, adesso di spalle, ecco uno stacco, che svela chi si è introdotto in casa. È Mary (Maureen O’Hara), che ha voluto dare il benvenuto al nuovo arrivato, compiendo una pulizia sommaria. Non è un caso che l’apparizione di Mary coincida con l’arresto della musica. Infatti, da questo momento in poi, Ford lascia il commento al solo sinistro suono delle intemperie: al sibilare del vento, si aggiungono le foglie che volano, le porte che si chiudono rumorosamente, i rami che sbattono ai vetri delle finestre.
La luce interna, fortemente contrastata, evoca atmosfere espressioniste e crea nell’immaginario dello spettatore uno scenario da incubo. In realtà la violenza degli agenti atmosferici fa da controcanto al turbinio dei sentimenti di Mary (che da questo momento diventa il personaggio agente della scena), svelati dal suo urlo, quando vede la propria immagine riflessa improvvisamente nello specchio, un raddoppiamento visivo che esplicita al contrasto interiore di Mary, tra il rispetto delle regole e delle convenzioni sociali e morali da un lato e il lasciarsi prendere dai propri desideri e sentimenti, dall’altro.
La donna cerca di fuggire, ma Sean è lesto a prenderla per un braccio e, dopo un movimento che assomiglia molto ad un passo di danza, Sean, con forza, bacia Mary. Tutta questa inquadratura è ripresa in figura intera, Ford rinuncia al tradizionale piano ravvicinato, infatti ciò che più gli interessa è mantenere in primo piano (o meglio ben visibile) l’insieme della scena: i gesti di Sean, la postura dei corpi, il colore degli abiti, i capelli mossi dal vento di Mary, le fiamme nel camino, le tende che si agitano, le linee oblique delle ombre e delle travi. Il commento sonoro è sempre affidato agli agenti atmosferici.
Nell’inquadratura del bacio possiamo notare come le braccia di Mary non siano mai tra il proprio corpo e quello di Sean (tipico gesto di rifiuto, di allontanamento), ma siano dietro alla schiena. In fin dei conti Mary accetta di buon grado di farsi baciare e vuole baciare, ciò non toglie che un attimo dopo rifili un ceffone a Sean. Schiaffo figlio delle convenzione morali e sociali accennate prima.
Infatti, la scena si chiude con Mary che bacia (questa volta di sua iniziativa) Sean: un bacio più casto, non torrido come quello di Sean, ma significativo. Mary esce di casa e si mette a correre, in realtà, però, non vuole scappare dall’uomo con il quale si è appena scambiata due baci, infatti possiamo notare come si volti a guardare alle sue spalle.
La scena ci offre un grande equilibrio delle soggettività dei due protagonisti. Se all’inizio è Sean l’agente attivo (è lui in movimento, entra dentro casa, fa in modo di stanare l’intrusa) alla fine è Mary ad uscire di casa e a lasciare l’uomo all’interno. Anche nei due baci, come abbiamo visto, Sean e Mary si dividono equamente l’iniziativa. Non di meno, comunque, il punto di vista affettivo prevalente sembra essere quello di Mary, in particolare dall’inquadratura dello specchio in poi.
3. L’infazia di Ivan, il bacio di guerra, senza futuro
L’infanzia di Ivan, che non è affatto un film romantico (film del 1962 diretto da Andrej Tarkovskij), propone un altro bacio rubato, ma, soprattutto, un altro bacio che non rispetta la convenzione del piano ravvicinato. Siamo in un bosco (topos tutto sommato classico per una scena del genere, infatti il richiamo e il contatto con la natura, in genere, libera i nostri istinti), due ufficiali dell’armata rossa, Leonid e Masha, sono impegnati in una schermaglia amorosa. Anche qui è l’uomo ad avere il ruolo di agente attivo, tuttavia, come in Un uomo tranquillo, il punto di vista affettivo prevalente è quello della donna.
Per rappresentare l’attimo del bacio, Tarkovskij sceglie un’inquadratura originale, in campo: l’uomo, di traverso su un fossato, tiene tra le braccia Masha, approfittando di questa situazione d’instabilità Leonid la bacia. È un bacio sospeso nel vuoto, dove il vuoto rappresenta l’instabilità emotiva di Masha.
La chiusura della scena è una lunga soggettiva di Masha che corre nel bosco. La scena non è corredata da nessuna musica, ma due spari che si odono in lontananza, ci ricordano, mestamente, che è in atto una guerra.
Ma poi, che cos’è un bacio? – disse Cyrano (1) Continua
Gianni Sarro
26 Agosto 2022 at 23:01
Caro Sandro,
mi piace molto questa metafora della stereogramma.
Grazie.