Usi e Costumi

Riflessioni da Ponza: frutto e prodotto

di Francesco De Luca

Il frutto  è il risultato di un processo biologico, evolutivo. Ha nella sua costituzione un inizio, un decorso, una fine. In più, in quanto processo biologico, nel suo procedimento evolutivo gli è propria l’unicità. Ogni elaborazione a marchio biologico è unica.

Il prodotto, in quanto merce da usare, ha nella sua costituzione la serialità, la duplicazione, la mancanza di unicità.

Utilizzo questi due concetti  (frutto e prodotto) come due categorie logiche e ne voglio vedere gli effetti nella percezione corrente come nelle implicazioni dei fatti reali.

Per cui se ‘frutto’ può chiamarsi il rumore della gente che passeggiava, dialogava, chiacchierava, si intratteneva per il Corso Pisacane, la Punta Bianca, Sant’Antonio, anni fa, ‘prodotto’ può giudicarsi quella atmosfera intrisa di musica insistente che domina sulla Banchina Nuova, sul Mamozio, ad una certa ora della sera questa estate.

La differenza concettuale sta nel fatto che le condizioni della vita normale del paese partorivano (da qui il  ‘frutto’) quel rumore (di cui parla Rosanna), non omologato, non ripetitivo, assolutamente caotico e casuale, mentre il rumore notturno, infarcito di musica ossessiva dei nostri giorni è  ‘prodotto’  seriale, adatto alla vendita.

Alla stessa maniera la combinazione di giochi, tuffi, bisticci e amori, che si componeva nella Caletta, fino agli anni ‘70, era ‘frutto’ di situazioni improvvisate, di accadimenti in parte voluti e in parte no.

Diverso è il complesso di fatti che si concretizzano oggi, sulla spiaggia di Frontone, dove le possibilità balneari sono autorizzate e, di conseguenza, i barconi gareggiano nel depositarvi bagnanti, e questi sono costretti a consumare il pacchetto delle offerte.

Continuo con i paragoni. Allorché il porto era l’unico luogo d’approdo, era eccitante vedere quali yacht avessero calato le cime d’attracco, quali fossero ‘i signori’ proprietari dei natanti, quale bandiera avessero a poppa. Era ‘frutto’ di eventi, gradevoli da costatare, su cui sparlare.

Non così ciò a cui si assiste oggi. Il porto è un’accozzaglia di natanti dalle funzioni più disparate: militari, di noleggio, di approdo privato. Tutte funzioni legate da un filo: servono al turismo. Appartengono cioè al ‘pacchetto vacanze’. Merce da acquistare.

Vogliamo dare uno sguardo a Palmarola? Dovunque si giri la funzione ‘mercantile’ dell’isola si esprime imperiosa. Nemmeno la ‘spiaggia di san Silverio’, una volta meta dei Ponzesi in cerca di un bagno diverso, sfugge alla funzione di merce turistica.

Chiarisco: la categoria concettuale di ‘frutto’ non è eticamente superiore alla categoria di ‘prodotto’. In quanto categorie logiche sono insensibili all’etica perché operano su piani diversi. Ragion per cui non esalto il ‘frutto’ e denigro il  ‘prodotto’. Rilevo soltanto che la categoria di ‘prodotto’ ingloba quasi tutti gli aspetti della vita isolana estiva. E dunque l’isola e la la vita dei Ponzesi si svolgono quasi interamente assoggettate al mercato.

Ripeto: non c’è nulla di male. A patto che ci sia consapevolezza di questo e si prendano le opportune decisioni di contenimento. Giacché una comunità non vive e non può vivere in funzione del mercato che realizza. Ne risentono altri aspetti della vita sociale. Primo fra tutti quello relazionale. Gli isolani: tutti imprenditori, tutti commercianti di un solo prodotto: l’isola e le sue bellezze.

Ma queste si degradano, si involvono e si evolvono, mutano. Tendono a portarsi in un diverso equilibrio natura-uomo.

Questo equilibrio va studiato e va, per quel che si può, guidato. Altrimenti anche il  ‘mercato’ prende strade diverse e il  ‘prodotto’ si logora.

Non sto elogiando il passato ai danni del presente, sto cercando di porre in evidenza come, nell’esame generale della vita isolana, gli aspetti caratterizzati quali ‘frutto’ andrebbero bilanciati con quei fattori caratterizzati quali ‘prodotti’. E questo per permettere alla vita comunitaria di esprimersi in  autenticità, casualità, in improvvisazione.

L’omologazione affossa il pensiero, la mentalità mercantile deprime la creatività, l’ansia del guadagno contrasta la solidarietà e la partecipazione.

Meglio ‘na fica cugliuta
ca una accattata.

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