Usi e Costumi

Negli occhi degli altri

di Francesco De Luca

 

Avviene che, dopo aver incontrato un amico non visto da anni, si faccia questa considerazione, tanto veritiera quanto impietosa: “mamma mia… che calata che ha fatto!” Una calata, ossia una caduta del suo stato fisico e di quello mentale. Ovvero un degrado delle sue facoltà.

Una riflessione fugace, perché se permane anche solo un attimo presente nella coscienza, immancabilmente l’immagine dell’altro si trasforma in quella di e… provoca una voragine, giacché automatico scatta il confronto. E tutta la benevola considerazione sfoderata verso l’altro diventa commiserazione verso l’immagine di sé, evidente nelle sue pecche, nei peggioramenti, nelle manchevolezze. Sia corporali sia mentali.

Tutto questo tramestìo che sto raccontando è apparso evidente a me, nella sua crudezza, allorché sono andato a fare il bagno.

Calarmi in acqua? E come fare?

Pochi anni fa si saltava la murata del motoscafo e si era in acqua. Ora? Ora è un problema… fare quel saltello… nemmeno a pensarci… c’è da rompersi il collo. E poi? In acqua… anche nell’acqua poco profonda… prima… ci si muoveva in modo da non toccare. Oggi è una decisione difficile… perché il fondo è pietroso… e cadere a peso morto c’è da farsi male.

Insomma le gambe non rispondono più ai comandi… o meglio… ai desideri, e i ginocchi non si piegano abbastanza.

Con questi limiti non vi dico cosa è stato raggiungere la riva… e andare a curiosare fra i legni portati dal mare.

I ciottoli sono irregolari e insicuri, in più, i piedi non si adattano facilmente, e le articolazioni sono ingrippate.

Un tormento!

Eppure la cala era, come al solito, splendida. “’U bagno viecchio, deserto, il sole ancora non cocente, l’acqua… un refrigerio sublime. Le patelle stavano lì, i ricci (ancine )… pochissimi. L’ora (8,30) era di quelle che inducono il mare a far comunella per un invito a scendere in acqua.

Senza maschera, senza pinne, senza coltello, come quando si andava da ragazzi per intrattenersi col mare. Dialogare. Non con lui, con se stessi. Nell’acqua che fa (e faceva) da padrona di casa. C’era il presente e c’era il domani; c’era l’esigenza del necessario e il sogno del piacevole; c’era la logica della realtà e l’emozione di ciò che si sognava. Il tutto con un sorriso naturale sul viso.

Oggi, il più delle volte, il viso mostra un accennato ghigno, come un trattenuto dispiacere.

La falesia si ergeva come sempre a difesa di quella gioia e di quel tormento in cui l’animo indulge. Nessuna voce umana dalle catene sovrastanti, e nemmeno lo stridìo del falchetto, cui ero abituato.

Meno male che, salendo in barca, il viso bagnato ha nascosto i segni del pianto

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