Finis vitae

Scegliere tra la Vita e la Morte

segnalato da Sandro Russo

Non troppo tempo fa abbiamo scritto qui sul sito delle problematiche del finis vite (leggi qui) grazie al contributo di Marco Patucchi e allo stimolo di una recente visione del film Tout s’est bien passé di François Ozon (2021).
E proprio ieri nel commento ad un altro articolo si diceva di scritti che hanno la capacità di porre dei quesiti al lettore
Potenza delle coincidenze, questo articolo – (inedito fino a ieri) di J.M. Coetzee letto ieri in pubblico alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi – riunisce in sé entrambe le caratteristiche. Da la Repubblica di ieri.
Una presentazione da maestro, non a caso premio Nobel.

L’inedito
Mia madre e il senso di una fine
di J.M. Coetzee

La malattia, gli effetti irreversibili e una scelta estrema nel racconto del premio Nobel

Uno
Questa non è la prima volta che vede gli effetti di un ictus, di un’emorragia cerebrale. E tuttavia, mentre varca la porta della camera d’ospedale dove sua madre, nel letto, è sostenuta dai cuscini, si sente mancare il cuore. L’angolo della bocca, tutta la metà sinistra del viso, pende; il labbro inferiore, cascante, mostra i denti giallicci; il braccio sinistro sta ripiegato sul petto, rigido come un pezzo di legno.
La madre avverte il suo sgomento – è sempre stato un libro aperto per lei – e lo gela con uno sguardo che può essere definito solo di sfida; lo sfida ma è anche inerme, come fosse nuda sotto il suo sguardo. Una vecchia nuda, o un cervo a terra, intrappolato, davanti ai denti dei cani.
L’infermiera esce. Lui le stringe la mano buona. «Come stai, mamma?» dice. «Cosa posso fare per te?».
Lei sfila la mano dalla sua, e tasta alla cieca sul comodino.
«È questo che vuoi?», lui le mostra un taccuino con la matita attaccata a una cordicella.
Le tiene fermo il taccuino mentre scrive. Bagno, scrive con mano lenta e tremante. Exit pills.
«Exit pills», dice lui. «Cosa sono le exit pills?» ma già sa la risposta.

Due
Parla con il medico, sono solo loro due, uno di fronte all’altra. «Sua madre è fuori pericolo», gli dice. «Si riprende bene. A meno di una ricaduta, pensiamo a dimetterla la prossima settimana. È ora di pensare ai passi successivi. Ha pensato a cosa fare per lei?».
«Mia madre ha ottant’anni», dice lui.
«Sua madre ha ottant’anni e può arrivare a cento. Ci sono ottimi programmi di riabilitazione per chi ha subito un ictus. La riabilitazione richiede tempo e impegno, ma funziona. Conosce Sunnyside? No? Sunnyside è un’eccellente casa di riposo con un notevole programma di riabilitazione e ho saputo che hanno posto lì».
«Dottoressa, la devo avvertire che mia madre pensa al suicidio. Trova la sua condizione attuale insopportabile e umiliante. È abituata a fare una vita attiva e indipendente. Non è disposta a sopportare il futuro che le si prospetta, in cui dovrebbe dipendere da estranei per le sue esigenze più elementari. Questo pensa. Questo mi dice. Io e lei ne abbiamo discusso tante volte – il problema della fine; il problema di cosa fare quando si arriva alla fine. Il problema di mettere fine alla propria vita».

La dottoressa fa un gesto con le mani, come a dire: (a) Chi mai ha creduto di avere il diritto di scegliere il proprio futuro? (b) Questo è un ospedale, non una sala convegni; e (c) Sono molto occupata. Ho altre cose da fare.

Tre
Lui ha una chiave dell’appartamento di sua madre. Nell’armadietto in bagno trova un mucchio di pillole varie, dai nomi che per lo più non gli dicono niente. Tranne una. Sopra l’etichetta stampata c’è la parola EXIT, scritta a inchiostro spesso e scuro. Allora era questo che voleva dire. Queste sono le exit pills.
Presumibilmente, prima che l’ictus la abbattesse, sua madre aveva pensato a quel bagno come al posto dove lei, da sola, avrebbe preso la decisione finale e compiuto il gesto decisivo. Sarebbe stata come sta lui ora, davanti allo specchio. Guardandosi negli occhi, avrebbe ingoiato le Exit pills, fino all’ultima, mandandole giù con l’acqua. Poi, fino a che aveva ancora il controllo del suo corpo, sarebbe andata in camera da letto, e sopra il letto si sarebbe sdraiata, avrebbe incrociato le mani sul petto, aspettando che l’angelo dell’oblio scendesse, con il fruscio delle sue ali scure.
Quel finale ordinato e ben programmato non ha avuto luogo. Invece, senza un secondo di preavviso, la forza brutale dell’ictus l’aveva scaraventata a terra, dove era rimasta impotente per un giorno e una notte. Poi era stata trovata e consegnata, viva e vegeta, alla prigione di un letto di ospedale.

Quattro
E così ci sta lui, davanti allo specchio del bagno, al posto suo. È lui adesso a dover decidere; lui, non lei, a dover agire.
Il sentiero si biforca. Se al bivio prende a sinistra, lui, il figlio obbediente, porterà le Exit pills alla madre secondo le sue istruzioni e le terrà il bicchiere sulle labbra mentre lei le ingoia.
Se prende a destra, tornerà al suo capezzale a mani vuote. «Mi dispiace, Madre, ma non posso farlo. Non ti posso lasciar morire. Hai tutta la mia comprensione; ma dentro di me c’è una forza che si rifiuta di dire Sì alla morte».
La forza dentro di lui che non può o non vuole dire Sì alla morte è un concetto filosofico e dunque fatto d’aria. Ai vecchi tempi, quando era piena di energia, sua madre avrebbe adorato l’opportunità di fare a pezzi l’idea di una forza interiore che dice Sì o No. Ma sua madre adesso non ha più voglia di filosofare. Sua madre è al di là della filosofia. Sua madre vuole trovare sollievo alle umiliazioni del regime ospedaliero e a quelle ancora più insopportabili che vede nel suo futuro. Vuole che finisca l’incubo in cui è sprofondata. Vuole aiuto; ovvero vuole il vuoto, l’oblio, l’annullamento.
E nemmeno la Morte, il vecchio nemico, ha tempo di filosofare. La Morte non è interessata alle idee, agli argomenti pro e a quelli contro. La Morte spinge la tua macchina giù per il burrone. La Morte ti trascina in fondo, sotto le onde. La Morte fa scoppiare una vena nel tuo cervello e ti sbatte per terra.
– Vuoi giocare con le parole? – dice la MorteQuesta è la mia mossa. Qual è la tua?
Lui, in piedi davanti allo specchio, un essere umano razionale, fa quello che gli esseri razionali fanno meglio, ovvero pensa.
Lui può ancora pensare perché la vena che potrebbe essere destinata – oppure no – a scoppiare nella sua testa allagandogli il cervello di sangue, non è scoppiata… non ancora. Lui è ancora libero di pensare ai sentieri che si biforcano a destra e a sinistra, a quale strada sia meglio scegliere da un punto di vista etico.
Sua madre non sta davanti allo specchio, a riflettere, a pensare. A sua madre in questo momento viene data una minestra filtrata attraverso il beccuccio di una tazza di plastica da un’operatrice sanitaria con un lungo nome tamil, una donna a cui fanno male i piedi (lavora da dodici ore), una donna che ha fretta di prendere il treno delle 6,12 per Bankstown per poter cominciare il compito successivo della giornata, preparare un pasto per il marito e i figli.
Quanto a sua madre, fa del suo meglio per ingoiare, cosa non facile. La sua mente, nella misura in cui è attiva, è rivolta a lui, suo figlio, e a quello che farà: se la libererà oppure no.

(Traduzione di Maria Baiocchi)

Immagine dall’articolo di Repubblica

La rassegna Alla Milanesiana con Markaris e Veronesi
Stasera (ieri 19/07, per chi legge) a Milano (Palazzo del Cinema Anteo, ore 21) John Coetzee sarà ospite della Milanesiana, la manifestazione ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, dove leggerà il testo qui presentato in anteprima. Insieme a lui ci saranno Petros Markaris, Sandro Veronesi ed Edoardo Nesi. Interviene Riccardo Illy. A seguire concerto di Giuseppe Gibboni e Carlotta Dalia

P.S. – Ho il ricordo di un altro film del 2014, molto bello e intenso con Julianne Moore e Alec Baldwin, Still Alice, scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland.
La pellicola è l’adattamento cinematografico del romanzo Perdersi (Still Alice), scritto nel 2007 dalla neuroscienziata Lisa Genova. Con questo film Julianne Moore ha vinto il premio Oscar come migliore attrice protagonista nel 2015 (su Still Alice, leggi qui sul sito).
Ricordo dal film la scena in cui lei, già brillante docente universitaria, colta da una forma rapidamente progressiva di Alzheimer genetico va nel cassetto dove aveva messo le sue exit pills e le guarda senza ricordare cosa sono (…o non ricorda la differenza tra il coperchio rosso e quello blu…) […in questo momento io stesso non mi ricordo..!].

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