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Del dissalatore a Ponza se n’è parlato. Non abbastanza. Ma soprattutto non si è fatto abbastanza. Da parte delle Amministrazioni comunali, per portare l’opera – le sue funzioni e le disfunzioni – all’evidenza della coscienza popolare. Cosa che dovrebbe avvenire ogniqualvolta la vita cittadina viene (o dovrà venire) manomessa da una decisione civica di importanza capitale.
Ma tant’è… la democrazia, come metodo di vita socio-politico, è tanto vantata quanto poco praticata. Per cui il dissalatore a Ponza sarà una presenza da accettare. E tuttavia non è peregrino portare all’evidenza della coscienza cittadina argomenti riguardanti la dissalazione dell’acqua marina.
Non per il gusto della provocazione né, tanto meno, del contrasto, ma affinché la consapevolezza se ne avvantaggi ulteriormente.
Questo Sito ha assunto anche questa funzione ed io, modestamente, seguo il mio impegno civile.
Ordunque, presento questo articolo tratto da Il Fatto Quotidiano del 18-7-22 a firma di Elisabetta Ambrosi:
Siccità, i dissalatori sono una toppa peggiore del buco
“Inutile nascondersi dietro a un dito: con l’accelerazione della crisi climatica e l’aggravarsi del problema della siccità, la costruzione di futuri dissalatori in Italia è un evento se non sicuro comunque probabile. Inoltre, pur avendo la sfortuna di stare in una zona, quella mediterranea, che si riscalda molto più di altre zone del mondo, almeno l’accesso al mare non ci manca, il che semplifica il ricorso alla dissalazione.
E tuttavia il fatto che la parola compaia sempre più spesso nelle dichiarazioni dei nostri politici – da Cingolani alla Meloni – fa scattare un immediato senso di allarme, lo stesso che si accende ogni volta che si prospetta la costruzione di grandi opere prima ancora di aver riflettuto su cosa servirebbe davvero.
La verità, infatti, è che i dissalatori dovrebbero essere la nostra ultima spiaggia. Perché? Anzitutto, perché un processo che toglie il sale dall’acqua richiede moltissima energia, in questo caso circa 4 kWh (il consumo di un appartamento) per ogni metro cubo di acqua prodotto. Energia significa dunque elettricità, che – anche se nell’immaginario collettivo evoca prati verdi e auto pulite – in realtà solo per poco più di un terzo è prodotta con fonti rinnovabili. Dissalatori, dunque, significano altri gas serra in più, per essere chiari proprio quelli responsabili di aumento della temperatura e siccità.
Pur esistendo tipologie di dissalazione più ecologiche e meno energivore – come la distillazione a membrana a osmosi inversa – la dissalazione comporta comunque un altro problema, ovvero lo smaltimento dell’enorme quantità di salamoia prodotta dal processo, circa 1,5 litri per ogni litro di acqua dolce. Se scaricata in acqua, rischia di alterare la salinità e dunque danneggiare gli ecosistemi marini che certo non hanno bisogno di altre aggressioni.
Ma il punto fondamentale è un altro: ai dissalatori bisognerebbe ricorrere quando tutte le altre opzioni sono esaurite. E sul fronte acqua c’è ancora tantissimo da fare. Non esiste solo la questione tanto arcinota quanto ancora irrisolta delle perdite degli acquedotti, rispetto alle quali i fondi del Pnrr, a detta degli esperti, non sono sufficienti. Ciò che ancora in Italia manca è un investimento massiccio nella circolarità dell’acqua, ovvero nel suo riutilizzo, che in Italia si attesta a un misero 4%, anche a causa di normative farraginose.
Eppure chi si occupa del tema sa che nelle nostre fogne esiste un autentico tesoro, ovvero, oltre a fosforo e azoto, soprattutto acqua che se opportunamente depurata, potrebbe essere utilizzata su numerosi fronti, primo tra tutti l’agricoltura. Invece, mentre guardiamo ai dissalatori, non ci rendiamo conto non solo che disperdiamo quasi completamente l’acqua piovana, ma che utilizziamo l’acqua potabile per qualsiasi uso, dallo sciacquone – un vero paradosso, quando si potrebbero usare le acque con cui ci laviamo – all’irrigazione: tutto tranne che, ironicamente, per bere, visto che poi siamo massicci consumatori di acqua minerale che compriamo a cifre astronomiche da concessionari che la comprano per meno di un centesimo a litro.
Insomma, la desalinizzazione rischia di essere l’ennesima scusa per non diventare più sobri nei consumi così come negli stili di coltivazione, anzi continuare a sprecare. Un po’ come accade in quei paesi che fanno uso massiccio di acqua desalinizzata, come l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, per alimentare sontuose fontane e campi da golf. Ricchi in combustibili fossili, quelli che stanno distruggendo il mondo, poveri in diritti umani, rappresentano l’esempio da non seguire, visto che l’unica strada che ci consentirà (forse) di salvarci è la decrescita. Proprio quella di cui le nostre élite non vogliono sentir parlare, preferendo puntare, appunto, sulle grandi opere, costruite però all’italiana. Col rischio concreto che i dissalatori restino incompiuti o peggio non funzionino e che ci tocchi pagare poi, non avendo magari fatto il resto, un salatissimo conto”.
Fin qui l’articolo da Il Fatto Quotidiano. A chiosa voglio evidenziare come a Ponza sarebbe da riconsiderare (nel senso di affrontare il problema con organi universitari) la funzione che potrebbe svolgere, per le prossime difficoltà di siccità e di approvvigionamento idrico, il ripristino della funzione, dico, delle cisterne familiari, quelle che facevano tesoro dell’acqua piovana.
Le tipiche cupole ponzesi che servivano a raccogliere l’acqua piovana
(Da frammentidiponza.blogspot.com)
Nota della Redazione
Sul sito, per le cisterne di raccolta dell’acqua piovana, leggi:
Ponza come Dune. l’acqua e le cisterne.1
Quelle cisterne fatte in casa
Fausto Balzano
19 Luglio 2022 at 20:38
È un’analisi perfetta e molto circostanziata. Però, caro Franco, un nostro detto che sicuramente conoscerai, recita: “Quann’u ciuccio nn’ vo véver’ he voglia a sisca’”.
Certe cose purtroppo non si vogliono sentire perché già decise dai cosiddetti “poteri forti” che della Democrazia ne fanno carta straccia tanto da eludere anche la massima forna della democrazia stessa, che vede nell’espressione dei cittadini la più elevata manifestazione, quale un referendum popolare partecipatissimo che toglieva la gestione delle risorse idriche da mano ai privati.