segnalato dalla Redazione
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Da sempre, dagli inizi del sito, seguiamo Erri De Luca (Napoli, 1950) come scrittore e come uomo del nostro tempo – digitare il nome in CERCA NEL SITO, in Frontespizio; lo abbiamo seguito anche nelle sue prese di posizione “non allineate” e per il suo impegno civile.
Sul sito non vogliamo dimenticare la guerra in Ucraina. La ricordiamo ancora una volta con questo articolo di Erri De Luca su la Repubblica di ieri, 9 luglio 2022.
Racconto di un viaggio per aiutare gli ucraini
Con un’altra percezione
di Erri De Luca
– Il racconto di un viaggio di solidarietà. “La guerra è una terra desolata dove ogni minimo gesto di fraternità ha la sfacciata forza di negarla. Essere lì, per minimo che sia il nostro carico, vale a rompere l’isolamento di chi sta in rovina. Le mani che stringiamo sono il nostro ponte”
– Equipaggio formato da Giacinto Fina pensionato residente a San Giovanni in Persiceto e da me irresidente cronico: furgone diretto in Ucraina per il quarto viaggio di solidarietà.
Partenza prima di giorno, attraversamento di Slovenia, Ungheria, Romania fino a Sighet città di confine. L’avevo già sentita nominare perché luogo di nascita di Elie Wiesel.
Ripetiamo lo stesso itinerario, le stesse soste, ridiciamo la stessa battuta: quant’è lunga l’Ungheria. Portiamo il carico che ci è stato richiesto nel viaggio precedente. Lo consegniamo direttamente al luogo destinatario, senza lasciarlo in un qualche deposito affidando ad altri la distribuzione. Nel gratuito come nel commercio la filiera dev’essere cortissima e saltare intermediari.
Tra un viaggio e l’altro Giacinto a casa fa da centro di raccolta: abbiamo portato sedie a rotelle, bende, garze, assorbenti, tutori ortopedici, qualche giocattolo fino a completare a pieno il carico. L’aiuto viene da chi offre qualcosa, poi aggiungiamo il resto.
Facciamo questi andirivieni perché ci possiamo permettere di staccare dei giorni dal nostro calendario e perché abbiamo la semplice convinzione che ogni goccia serve in un deserto. La guerra è una terra desolata dove ogni minimo gesto di fraternità ha la sfacciata forza di negarla. Essere lì, per minimo che sia il nostro carico, vale a rompere l’isolamento di chi sta in rovina. Le mani che stringiamo sono il nostro ponte.
Il confine tra Romania e Ucraina a Sighet è costituito dal fiume Tisa che dai Carpazi scorre a confluire nel Danubio. È il fiume che cercano di guadare i renitenti ucraini che non vogliono combattere. Alcuni riescono, altri affogano. Da noi i fiumi sono in secca, là no. Non giudico le ragioni di chi diserta. Lo avrei fatto anche io al tempo del servizio di leva, se non fossi stato esonerato. La gioventù del mio tempo era così numerosa da risultare spesso eccedente e perciò scartata. Al contrario di adesso: la gioventù sta in minoranza, compressa sotto una catasta di maggioranza anziana. Al confine ci aiuta a sbrigare le pratiche doganali un’associazione di volontari, Assoc, in cui lavora Stefano Celia, un italiano emigrato per amore.
La guerra in Ucraina aggiorna le migrazioni interne. Dove prima trovavamo profughi da Kiev e dintorni, ora ci sono arrivi dalle zone orientali. Piccoli centri accolgono e fanno spazio a loro spese. Chi proviene dal Donbass è più profondamente sradicato. Non crede di poter tornare. Come quelli di Bosnia degli anni ’90, sono andati via con poco bagaglio e una chiave di casa appesa al collo, a fianco o al posto di un simbolo religioso. La mostrano come una reliquia.
Di molti la casa lasciata sarà di nessuno, schiantata da qualche artiglieria. Avere in tasca quella che apre la mia porta misura la distanza tra me e le persone salutate dopo lo scarico.
Le cicogne coi nidi sui pali della luce sono indaffarate e indifferenti a quanto accade al suolo. Un bambino di cinque anni proveniente con la nonna da Zaporija (in italiano anche Zaporigia) si fa avanti per aiutare il passaggio di mano dei cartoni. C’è una serietà di bambini dentro una guerra, un loro sguardo adulto piantato dritto in faccia. Scatto sull’attenti, faccio il saluto militare, cerco di strappargli un sorriso che non viene.
Sui canali sociali qualcuno mi manda a quel paese a commento di questi viaggi. Chiaro che a questo o quel paese Giacinto e io ci sappiamo andare da soli, senza mandanti. Ma quando si è invitati a portare aiuti piuttosto in Afghanistan, riscontro una scarsa conoscenza della geografia. Con il nostro furgone possiamo raggiungere l’Ucraina, nazione europea, con qualche giorno di andirivieni. Per l’Asia non siamo attrezzati.
Nel viaggio di rientro tra le scritte in italiano risento lo spaesamento di quando tornavo dai convogli nella guerra di Bosnia. Il riaggiustamento della percezione dura per un giorno almeno. Aprire la porta di casa, oltrepassare la soglia, ritrovare le risapute cose: per un giorno almeno è irreale.
[Da la Repubblica del 9 luglio 2022]
Sandro Russo
10 Luglio 2022 at 16:31
Tre brevi postille al pezzo di Erri De Luca
1) – Erri De Luca è stato per tutti gli anni ’90 il mio scrittore preferito. Compravo tutti i suoi libri (ne ho contati 12, nella mia libreria, qualcuno doppio), cercavo i suoi articoli sui giornali dove scriveva (la Repubblica, Corriere della Sera). Ho imparato molto dai suoi libri (sulla scrittura e sulla vita), ma sono rimasto folgorato da uno in particolare: Tu, mio del 1998. Dal risvolto di copertina – che qui di seguito trascrivo – si capirà perché:
“Il ragazzo e il mare: l’avventura estiva di un adolescente del dopoguerra, l’incontro con la pesca, e con una ragazza più grande, con il suo segreto, con il suo dolore per la perdita del padre in guerra, prima della fine delle vacanze. C’è un’estate brusca nell’età giovane in cui s’impara il mondo di corsa. In un’isola del Tirreno, in mezzo agli anni cinquanta del secolo, un pescatore che ha conosciuto la guerra e una giovane donna dal nome difficile, senza intenzione, trasmettono a un ragazzo la febbre del rispondere. Qui si racconta una risposta, un eccomi, decisivo come un luogo di nascita”.
2) – Sono contento di trovare la posizione di Erri De Luca – pacifista, profondamente ecologo, attivo nell’area della sinistra anche se non ‘di governo’ – affine alla mia; infatti ha sostenuto la necessità di armare l’Ucraina e fa questi viaggi ‘da volontario’ per sostenerne il diritto all’autodeterminazione. Questo in relazione alla spaccatura che ha attraversato la sinistra negli ultimi mesi, sul tema.
3) – Non c’entra niente con l’Ucraina, ma ho letto con piacere Michele Serra (un altro dei miei ‘fari’), scrivere nella sua Amaca di oggi 10 luglio su la Repubblica:
“Leggendo il semplice e forte racconto di viaggio di Erri De Luca in Ucraina, mi ha colpito scoprire che non scrive “social network”, ma canali sociali, che è la precisa traduzione italiana di quel termine (i francesi, del resto li chiamano réseaux sociaux). Nel caso che De Luca sia il solo italiano a usare la definizione italiana, da oggi saremo in due: non è mai troppo tardi per imparare qualcosa”.
Annalisa Gaudenzi
11 Luglio 2022 at 16:18
In punta di piedi, di fronte a colossi come Erri De Luca e Michele Serra e Sandro Russo, ringrazio per poter godere delle loro parole.