di Gianni Sarro
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Se ne era parlato in occasione della morte di Jean Louis Trintignant (leggi qui e qui), di questo film dai molti estimatori. Mantengo la promessa fatta di scriverne: un regista (Bertolucci) e un attore (Trintignant) al loro meglio.
G. S.
Film girato in uno dei periodi più bui della storia della Repubblica italiana, dall’ottobre del 1969 al gennaio del 1970 (il 12 dicembre esplode la bomba a piazza Fontana che fa 12 vittime), Il conformista di Bernardo Bertolucci è ambientato in un altro periodo nero della storia italiana: quello che va dal 1938 (apice del consenso per il regime fascista e anno in cui vengono emanate le vergognose leggi razziali) all’8 settembre del 1943, il giorno in cui è proclamato l’armistizio: i Savoia scappano a Brindisi, lo Stato evapora e l’Italia sprofonda nel caos. Dal romanzo di Alberto Moravia del 1951.
Bertolucci narra una vicenda ambientata tra Roma e Parigi (il numero due, ‘il doppio’ sono una delle ricorrenze della pellicola), che in Marcello Clerici, interpretato da Jean-Louis Trintignant, trova lo sfuggente protagonista.
Una delle possibili letture de Il conformista è il conflitto tra due città: Roma e Parigi, che Bertolucci mostra insieme sullo schermo solo in quest’occasione. Le due città rappresentano due realtà storiche in quel preciso momento, la fine degli anni ’30, diverse.
Roma è la capitale di uno stato autoritario, dove la libertà è stata soffocata; al contrario Parigi è il luogo della vivacità dei costumi, dell’affermazione della multiculturalità.
Concetto ribadito da Bruno Di Marino (nel bel volume dedicato al regista parmense dal Festival di Pesaro una decina di anni fa) che scrive: «Bertolucci gioca sulla contrapposizione iconografica tra le due capitali. Da un lato le architetture squadrate degli edifici fascisti dell’EUR, la loro fredda scenografia marmorea, ordinata e ripetitiva, ampi spazi deserti e metafisici inquadrati in campo lungo che rendono ancora più piccoli i personaggi». Dall’altro la ville lumière splendente e solenne, monumentale e accogliente. Esaltata nei suoi valori cromatici come nella scena del ballo. Parigi, luogo dove tutto sembra possibile è pervasa da un’atmosfera di allegria, e dalla più che allusiva liason trasgressiva tra Giulia (Stefania Sandrelli) e Anna (Dominique Sanda).
Il doppio rappresentato dalle due città vede nella messa in scena una raffigurazione esemplare. Il primo elemento da considerare è il conflitto tra gli spazi romani spesso bui, tetri (potrebbe essere un richiamo/citazione di Roma città aperta, dove Rossellini ci mostra ‘i Tedeschi’ sempre confinati in ambienti tenebrosi, pressoché oscuri) e quelli francesi dove la luce sembra danzare intorno ai protagonisti.
Alcuni di questi spazi chiusi, soffocanti, li troviamo nella sequenza nello studio radiofonico; dove il vetro/barriera divide in due l’ambiente radiofonico. Oppure pensiamo all’appartamento gabbia della madre di Giulia. Il caos oppressivo della casa della madre di Marcello. La camera di Lino (Pierre Clementi) dove Marcello non riesce ad aprire la porta. Lo studio buio e il salotto angusto del professore. L’interno della macchina di Mangano, l’agente dell’O.V.R.A. (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo, lo spionaggio fascista)
Interessante anche ragionare sulle architetture romane. Le inquadrature del palazzo del potere mettono in scena gli spazi immensi e vuoti dell’architettura fascista. Questi spazi, pur ampi, sono claustrofobici. Il ministero è costituito da atri ampi, vuoti scaloni, linee architettoniche che determinano contrasti di luce nei corridoi. Le immagini sottolineano le grandi finestre dalle quali entrano i raggi di sole che determinano contrasti molto accentuati.
Il paradosso è che alcune di queste architetture sono state realizzate nel dopoguerra, tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta. Come il Palazzo dei Congressi all’EUR (iniziato nel ‘38 e completato nel ‘54) dov’è ricostruito il Ministero. Aspetto questo da non sottovalutare, essendo l’indizio di una scelta precisa del regista: quella di proporre/mostrare una ricostruzione storica non filologica, bensì emotiva. Ossia Bertolucci, che non ha vissuto il fascismo (nasce nel 1941), ricostruisce il periodo fascista sulla falsariga di immagini in differita, tanto che sceglie di mostrare come emblema del fascismo un palazzo costruito dopo la caduta del regime, ma da esso immaginato.
Come accennato nelle righe precedenti un capolavoro come Il conformista offre spunti di analisi molteplici. Mi piace segnalarne un altro.
Il protagonista Jean-Luis Trintignant è qui nei panni di un personaggio che più che viscido è sfuggente: un’anguilla che cerca di trasformarsi in crotalo senza averne il necessario veleno; infatti è incapace di portare a termine la missione a lui affidata, che prevede un omicidio.
Marcello Clerici è un po’ il simbolo degli Italiani che prima e dopo il ventennio guardavano al fascismo come a un film di cui loro non erano stati protagonisti. Se si osserva bene, Clerici scruta spesso il mondo da dietro un vetro, un finestrino di un’automobile, tutte cornici che ricordano lo schermo cinematografico. Un film con il quale non stabilisce nessuna empatia. Tutto scorre per i ‘Marcello Clerici’.
Un’ultima notazione su Trintignant. Una delle sue doti migliori è quella di una recitazione che ricorre raramente all’enfasi, alla sottolineatura plateale, come ci ha mostrato con i personaggi di Roberto (Il sorpasso) e Dario (Colpire al cuore). Personaggi altrettanto memorabili di Marcello Clerici.
Patrizia Maccotta
12 Luglio 2022 at 17:28
Ho letto Il Conformista di Gianni Sarro.
Grazie per la bella analisi del film e, soprattutto, per avere sottolineato la presenza di una Roma diversa dal cliché ‘rovine del passato’.
Mi ha ricordato un altro film – 1965 – diverso come storia (tratto da un racconto di fantascienza intitolato ‘La settima vittima’): “La decima vittima”, di Elio Petri, con Ursula Andress e Marcello Mastroianni. Anche lì la nostra città appariva sotto una veste metafisica ed alcune scene erano state girate all’Eur.
Gianni Sarro
13 Luglio 2022 at 12:37
Ringrazio Patrizia Maccotta per gli input contenuti nel commento. Aggiungo un paio di brevi considerazioni.
1. – La decima vittima di Petri (se ci pensiamo anche Todo Modo) mostrano una Roma stralunata, metafisica. Anche la Roma di Fellini e Antonioni dà le vertigini e un senso di straniamento. E in questo senso l’EUR diventa iconico protagonista e non più solo sfondo delle immagini.
2. – Rossellini in Roma città aperta mostra un uso dello spazio basato sulla contrapposizione centro/periferia. Sovvertendone la raffigurazione. Il centro storico, quello teoricamente più ‘bello’, è in realtà un girone infernale, completamente soggiogato e controllato dai Tedeschi. Viceversa la periferia è il centro pulsante, vivo della capitale. E’ lì che abitano i personaggi ‘positivi’ Don Pietro, Manfredi, Pina.
Il discorso su come Roma è mostrata nel cinema è affascinante e suggestivo.