segnalata da Sandro Russo
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Era da tempo nell’aria, in attesa di pubblicazione; da tempo che di tanto in tanto mi veniva in mente…
L’occasione giusta è venuta qualche giorno fa, sfogliando il penultimo numero del Venerdì di Repubblica – scorso come al solito in ritardo -, quando un trafiletto a firma Giuseppe Videtti l’ha evocato dal passato come il pezzo forse più rappresentativo della stagione – tramontata ahimé per sempre – dei figli dei fiori.
Sognando California con Ma’ e Pa’
di Giuseppe Videtti
Una canzone divina, senza essere sacra. Merito della voce, superba, di Mama Cass Elliot, quando intona: – Mi sono fermata davanti a una chiesa / Mi sono inginocchiata e ho fatto finta di pregare -?
Merito di Michelle e John Phillips che, di getto, scrissero California Dreamin’ a New York, durante un gelido inverno, vagheggiando l’estate perenne?
Quando tutto accadde. era il 1965, The Marna And The Papa non avevano ancora un nome (il quarto era Denny Doherty). E neanche si erano accorti di avere già in mano un capolavoro; di più, un inno.
Lo regalarono a Barry McGuire (quello di Eve of Destruction), loro si limitarono ai cori.
Poi, l’intuizione: la ricantarono dopo poche settimane su quella stessa base, e l’epidemica ballata in Do diesis minore, irrobustita dal “wall of sound” che Phil Spector aveva trasformato nel suono dominante. diventò unica, inimitabile. intramontabile.
La ricetta? Misteriosa. Il codice? Indecifrabile. Certe magie accadono nel pop quando una melodia si intreccia con la Storia e diventa l’inizio di qualcosa – in quegli anni California Dreamin’ suonava dappertutto (anche in Italia: i Dik Dik la ripresero con un testo firmato da Mogol – un successone). Il grande sogno americano si reincarnava nel flower power.
La copertina dell’album di The Mama and The Papa If You Can Believe Your Eyes and Ears con California Dreamin’
California Dreamin’ non era semplicemente Les feuilles mortes degli hippies, ma l’inizio di un nuovo esistenzialismo (peace & love & drugs) che avrebbe nutrito una generazione dì principesse e principi straccioni della West Coast.
L’atmosfera mistica che la pervade è inebriante: le voci, evocative e potenti come un coro di chiesa, gli accordi di P.F. Sloan, il flauto di Bud Shank – un rapimento.
Ci hanno provato in tanti a farne una copia (José Feliciano, Bobby Womack, Nancy Sinatra. Beach Boys, persino Sia), ma l’originale resta insuperabile.
Un perfect (melancholy) day raccontato in due minuti e quaranta secondi.
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