Ambiente e Natura

Stella marina

di Francesco De Luca

 

La stella marina sta lì. Rosso fuoco sullo scoglio reso chiaro dalle incrostazioni calcaree inframmezzate da alghette bianche. Insomma non può non essere notata. A sette metri circa di profondità in quello splendore d’acqua verde-cobalto, a causa dei massi di basalto precipitati giù dalla falesia ‘scarrupata’ da secoli, chi sa, e dunque lì assestati, a creare incavi, piccoli cunicoli, feritoie in cui la fauna e la flora marine si sono insediate, ricavandone tane, rifugi inaccessibili, zone protette, aree in cui pasteggiare, depositare le uova, tessere agguati di caccia.

Enzo la vede e l’animo si agita per prenderla. L’istinto del raccoglitore prevale sulla razionalità del cacciatore. Non proprio. Lo sguardo calcola la profondità e la capacità di resistere in apnea. E se la stella marina non si stacca? Porta con sé un coltello. Dotazione necessaria del sub. Nel profondo blu può sempre servire, è come un toccasana, dà una sicurezza in più. Perché i fondali non sono privi di insidie. Anzitutto ci sono i picchi incrostati di calcare, e ogni toccata è una ferita. Le concrezioni sono affilatissime e perciò pericolose. Ci sono poi  i diente ‘i cane (cirripedi sessili), acuminati, che non perdonano; e poi i ricci di mare che lasciano non ferite ma aculei nella carne, la cui asportazione è dolorosa.

L’uomo soppesa, incamera una grossa boccata d’ aria e si immerge. Lo scoglio l’attende e così pure la stella, a portata di mano. Un attimo… non basta essere arrivati allo scoglio, occorre adesso staccare l’echinoderma dalla roccia. La corrente dà insicurezza al corpo che sbanda. L’uomo è privo di pinne  e pertanto la spinta dei piedi ha poco vigore al confronto con la corrente.

Decide: con una mano si regge allo scoglio e con l’altra cerca di staccare la stella marina. Ce la fa. Risale con in mano il trofeo. Raggiunge la barca, deposita la preda e sale pure lui.

Il sole scalda in modo massiccio. La falesia  ‘scarrupata’  fa da contenitore all’aria calda, costretta a ristagnare nella caletta.
Un falco stride, arrabbiato come è suo costume. Qualche onda, provocata dai motoscafi di passaggio, fa ondeggiare lo scafo. Enzo guarda quel rosso che va appassendosi. L’animale, seppure si muovono le centinaia di piedini sotto il ventre, appare immobile.
Cosa? Cosa fa?

Enzo prende la stella e la rimette in mare. Lì dava lustro al fondale, qui è una nota stonata nel paesaggio. Lì affermava della vita la bellezza, qui attesta la sgradevolezza della morte.
Riuscire a ridare vigore alla bellezza della vita è un compito che l’umanità dovrà affrontare.

1 Comment

1 Comments

  1. Luisa Guarino

    26 Giugno 2022 at 15:44

    Ho letto con il fiato sospeso il racconto di Franco, per fortuna a lieto fine. Però il nostro Enzo avrebbe dovuto fare subito un gesto d’amore e di rispetto per la bellezza e la vita, lasciando la stella marina là dove l’aveva vista. Infatti, anche se poi l’ha rimessa in mare, non credo che l’abbia deposta esattamente dove si trovava. Beh – dice – ma non ci sarebbe stato il racconto. Con tutto l’affetto e la stima per Franco, credo sarebbe stato il male minore.
    Lasciare intatta la “bellezza della vita” è un compito che l’umanità deve affrontare ogni giorno. Sapendo sempre come risolverlo.

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