Segnalato da Sandro Russo
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La ripetitività delle notizie – seppur drammatiche – con poche variazioni giorno per giorno, ottunde e crea disinteresse. È la triste realtà dell’informazione e delle nostre vite sovraccariche di input. Massimamente in questi giorni che a Ponza la campagna elettorale si avvia al suo climax.
‘Propino’ ai lettori la minima parte di quello che leggo sulla guerra in corso; quando avviene é in un’ottica particolare: possibilmente articoli super partes: “i fatti separati dalle opinioni” di sechiana memoria (da Lamberto Sechi, l’inventore di Panorama, di cui parla sempre Giuseppe Mazzella di Rurillo); inoltre la dissociazione delle posizioni sulla guerra tra le due anime della sinistra italiana, argomento che mi sta molto a cuore.
Propongo qui di seguito un articolo di Barbara Spinelli da Il Fatto Quotidiano di venerdì 27 maggio (in immagine e anche in formato .pdf a fondo pagina); e in chiaro, da la Repubblica di sabato 28 maggio, un articolo di Carlo Galli da la Repubblica del 28/05/2022.
La Russia vista da noi
Un abbaglio chiamato Putin
di Carlo Galli
Da molto tempo l’Europa si specchia nella Russia, e vi cerca conferma delle proprie paure e delle proprie speranze. Da quando gli illuministi credevano di trovarvi un terreno più fertile di quello europeo per le riforme sociali e politiche a quando la Rivoluzione bolscevica è apparsa a tanti intellettuali, e alle masse operaie, il faro di una nuova era di libertà e giustizia, nell’ingombrante vicino orientale si è cercato quello che in Europa non si trovava. E, al contrario, sulla Russia si sono proiettate paure angoscianti: l’informe barbarie pronta a travolgere come una slavina la civiltà occidentale, i cosacchi che abbeverano i loro cavalli a San Pietro, la cortina di ferro che preme sul mondo libero, sono state raffigurazioni esterne di problemi che travagliavano dall’interno le nostre società.
Il giudizio sulla Russia non è spassionato, obiettivo: si parla di Mosca, ma al tempo stesso si parla di noi. La Russia incombe, non possiamo disinteressarcene, dobbiamo farcene un’immagine. Quando c’era l’Urss, le immagini erano due, bianche o nere: il paradiso dei lavoratori da una parte, l’impero del male dall’altra. La vincitrice di Hitler per gli uni, un nuovo totalitarismo per gli altri. Russia era allora sinonimo di comunismo, della grande promessa che ha mobilitato mezzo mondo — e terrorizzato l’altra metà — ; era portatrice, oltre che dei propri interessi geopolitici, anche di un messaggio universale, benché divisivo, controverso, e mobilitante. Un modello, nel bene e nel male — quando i giudizi si sono fatti più sfumati, era iniziato il suo declino, la fine della sua spinta propulsiva.
Le immagini della Russia sono oggi non soltanto sfumate, ma molteplici. C’è l’immagine dell’Occidente atlantico, anglo-americano: Putin è il nuovo Hitler, un dittatore revisionista, un ambizioso privo di scrupoli alle cui mire potenzialmente insaziabili ci si deve contrapporre con quella fermezza che a Monaco, nel 1938, tragicamente mancò; secondo questa chiave interpretativa churchilliana e statunitense, è irrilevante se Putin sia un nazista o un comunista: è prima di tutto un dittatore pericoloso, per il suo popolo e per il resto del mondo, a partire dall’Ucraina.
Ma in Europa, e soprattutto in Italia, vi sono anche altre sensibilità. C’è chi vede in Putin il prosecutore del regime comunista, e dunque ne accetta la retorica anti-nazista, accompagnandola a un atteggiamento anti-americano divecchia data; o chi, al contrario, proprio per quella asserita continuità, lo avversa da destra, in una riedizione delle antiche contrapposizioni della Guerra fredda. C’è chi più prosaicamente vede in Putin un socio in affari, tanto privati quanto pubblici, capaci di coinvolgere — non solo attraverso le forniture di gas — gli interessi nazionali del nostro Paese; una Russia neutralizzata dal commercio, quindi — in scala molto superiore, una nuova operazione Togliattigrad.
Ma vi è un’altra immagine di Putin, che circola nel nostro Paese: meno pubblicizzabile, dopo che il leader russo si è assunto la responsabilità dell’invasione, eppure un’immagine radicata in alcuni strati della cittadinanza, che non è detto sia del tutto sbiadita. È il Putin in cui convergono le critiche, i rancori, l’ostentata estraneità verso alcuni aspetti, non marginali, della nostra esistenza sociale e politica. E quindi ecco l’apprezzamento per l’uomo forte che sa decidere, contrapposto alle lungaggini della democrazia; per la serietà (sua e di Kirill) della considerazione della vita (paragonata alla licenziosità occidentale); per l’antagonista dell’Occidente globalizzato, e delle sue ipocrisie. Insomma, Putin come alternativa a ciò che non funziona nel nostro sistema, alle storture dei nostri paradigmi: e non è un caso che un politico come Salvini, il cui partito, benché stia al governo, raccoglie anche voti antisistema, sia tanto vicino a Putin da potere annunciare un clamoroso viaggio a Mosca.
Dal punto di vista fattuale, quelle proiezioni sono autentici abbagli, che non vogliono vedere l’inefficienza, la corruzione, la spietatezza, che infestano l’oligarchia russa, di cui Putin è il garante e il supremo rappresentante. Ma nella psicologia politica di alcuni pesano più i difetti dell’Occidente che non quelli dell’Oriente: i nostri si vedono tutti i giorni, gli altri possono essere occultati dalla rabbia. Senza essere portatore di alcun messaggio universale, di un modello positivo, di una speranza, e anzi, facendosi forza di un imperialismo auto-centrato, Putin si trova quindi a essere il catalizzatore di rancori vecchi e nuovi. È esterno a noi, politicamente e culturalmente; ma è anche interno a noi, è una pericolosa fantasia di alcuni di noi (e per qualcuno un possibile alleato).
Non ha la stoffa del mito, ma è un simbolo in cui si condensano oscuri disagi e disegni, che sarebbe bene decifrare e chiarire.
[Di Carlo Galli; da la Repubblica di sabato 28 maggio 2022]
Merkel e Obama al G7 del 2015 (photo Michael Kappeler)
Barbara Spinelli. Il Fatto Quotidiano del 27.05.2022.pdf