di Francesco De Luca
Io sono mio padre,
e lo sono a dispetto del senso comune, contro l’evidenza greve della materialità.
E sorrido dell’ingenuità dei bimbi.
Come lui che si chinava su di me, aiutando le piccole manine a tenere insieme la massa dell’arancio sfuggevole alla piccola presa.
Sono mio padre e ascolto con distacco le ragioni di chi in piazza segue i ciarlatani che fumano promesse.
‘Il popolo è l’eterno fanciullo’, diceva, e lo condivido appieno quando, nel desolato acciottolato di Corso Pisacane, ascolto i compaesani. Compiaciuti di trovare in un abbozzo di superbia privo di morale il ventre molle in cui rifugiare la propria insicurezza, distogliendo lo sguardo dai problemi sociali che impegnano le coscienze di chi cerca soluzioni dignitose per la vita di coloro che dopo di noi calpesteranno i basoli lisi del Corso.
Mio padre, consenziente senza trasporto, compagno e non compagnone, devoto con distacco. Sono lui… e mi piace vedere le differenze più che le convenienze, le dissonanze più che le complicità.
Nel legno, il tarlo ha la sua casa, con esso vive e convive, eppure lo buca, estromettendone gli scarti. Mette in mostra la colpa, la fragilità del legno.
Quel tarlo è il pregio di quel legno, perché lo rende vivo.
Forse è tempo di evidenziare le distanze dalle mire elettorali, di sottolineare le illogicità e le colpevoli correità.
Io sono il padre di me.