di Tano Pirrone
–
Ho trovato stanotte la dedica di Vincenzo a me di una bellissima poesia di Costantinos Kavafis. Volevo scrivere poche righe di ringraziamento, ma la mano ha seguito ha seguito il ricordo e non è più un commento.
T. P.
Ti ringrazio Vincenzo per il pensiero di dedicarmi una poesia, proprio quella poesia, di quel poeta, che ha saputo cantare i canti antichi di chi il Mediterraneo ha solcato quando il mare era ancora vergine di solchi.
L’Ulisse di Kavafis viaggia tutta una vita e nella spiaggia in cui arriva, qualunque essa sia, porta una grande ricchezza, il viaggio stesso, durante il quale ha sofferto, ha amato, ha combattuto, ha vinto e ha perso; ha vissuto, insomma, consapevole che la ricchezza smisurata che abbiamo a disposizione è proprio il tempo del viaggio.
Oggi, quando mi sento stanco, torno indietro, sul carro dei ricordi e vado ai miei anni giovanili, quando cercavo fra i libri un segnale, una traccia, una parola che mi desse l’indicazione del cammino. Ho camminato ed ho sbagliato strada innumerevoli volte; mi sono confuso, ho lasciato andare compagni di strada che sembravano necessari e di cui ho dimenticato, oggi, il volto, il nome, i luoghi che insieme abbiamo attraversato, le strade che abbiamo percorso insieme. Confondo le rotte, ricerco invano i nomi, ma dentro di me ho ben saldo il motivo dell’affanno primario: vivere per conoscere e per conoscersi, e riconoscere il mondo attraverso sé stessi. Proprio la difficoltà del cammino spinge a viaggiare lungo la costa, perché la terra sia sempre là a portata di sguardo, necessaria, perché senza di essa ogni rotta è peregrinare inutile, fine a sé stesso. E le volte che la prua è stata diretta verso il buio intenso del mistero abbiamo tremato, ed ogni volta, al riapparire della luce e della terra siamo rinati, morti e rinati, innumerevoli volte, lunghi rosari di grani alternati di dolore e speranza…
Ora sono in rada, il fasciame è consunto; le funi insicure, il freddo ed il caldo, la stanchezza e la disillusione, sempre più colpiscono le nostre «anime dubbiose, inconseguenti e tragicomiche – sistemate come sono nelle loro frolle decrepite pelli [1]».
Voglio ricambiare il tuo pensiero gentile con una delle odi [2] che amo di più di un altro nocchiero, che la sua nave vittoriosa guidò in un mare immenso di terre e di montagne e piantò al suo arrivo un albero, che ancora dopo un secolo da frutti colorati, succosi, aspri a volte:
Rosso arancio giallo verde blu indaco violetto
Chi danza nel cielo agitando il nastro variopinto?
Dopo la pioggia torna obliquo il sole
Incupiscono ad una ad una le gole e le montagne.
Un tempo infuriò qui la battaglia
I proiettili hanno crivellato le mura del villaggio
Come decorazioni e i passi montani
Oggi appaiono ancora più belli. [3]
Il giovane che partì un giorno ormai lontano, al tempo confuso e determinato, ricordò dopo un tempo già lungo di viaggio il giorno del distacco e ne ebbe tenerezza, non nostalgia, ma monito per il viaggio futuro, solo un’immagine breve scolpita a sangue nel ricordo, un monito, una promessa [4]:
C’è una scia di gabbiani
nei miei sogni
uno
sbattere
lento
di
ali
Note
[1] – Costantino Kavafis – Settantacinque poesie – Giulio Einaudi Editore, 1992
[2] – Tapoti, estate 1933
[3] – Mao Tse-Tung – 36 fiori di carta – Franco Maria Ricci, 1980
[4] – Anonimo siciliano – Mye (dalla raccolta privata, inedita)