di Francesco De Luca
Il Concilio Vaticano II° riformò il rito della Resurrezione. Lo spostò dal mezzogiorno del sabato santo alla mezzanotte.
Ragioni dottrinali, chi sa, forse più banalmente motivi di opportunità popolare suggerirono quello spostamento che non fu indolore. Nel senso che comportò cambiamenti nelle abitudini dei fedeli.
Mi soffermerò su alcuni di essi e pertanto ho puntellato il mio ricordo con quelli di Aniello De Luca e di Luigi Ambrosino. Spero così di ringraziare Antonio per essere intervenuto nei fatti ponzesi.
Dirò prima della cerimonia del mattino del Sabato Santo.
Anzitutto è bene mettere in chiaro che quella cerimonia veniva detta del Gloria, giacché tutto l’insieme della liturgia era in preparazione dell’evento esultante, rappresentato dal canto del ‘Gloria in excelsis deo’, con cui il rito della messa prendeva l’avvio vero e proprio.
Faccio notare che questo canto comportava la caduta di un telone, che copriva la vista dell’intera arcata, alla cui base c’era l’altare maggiore, dove si officiava la messa, e sul piedistallo in alto la statua del Cristo che si liberava del fardello della carne (il mantello) per risorgere, vincitore sulla morte.
Un telone. Violaceo, che è il colore della ‘settimana santa’, tenuto da una funicella con due capi. Al canto del Gloria le funicelle venivano lasciate e il telone scendeva giù palesando il Cristo Risorto.
In quel momento di esultanza i fedeli tiravano fuori dalle tasche gli uccellini catturati vivi, che si libravano verso l’alto, nella cupola, per cercare un varco di libertà.
Erano codaiancule (culbianco), fucetele (sterpazzola), petterusse (pettirosso), crasteche (averla), cudrusselle (codirosso). Alcuni ancora vispi, e questi prendevano il volo, altri tentavano e… cadevano fra i banchi perché debilitati sia dalla trappola di cattura sia dalla persistenza nella tasca. Troppo stretta questa per altri che, ormai asfissiati dal chiuso, rotolavano a terra, morti.
Ma l’allegria che producevano i voli incrociati all’interno della cupola era tanta. I bambini col naso all’insù a seguire se quello in alto riusciva a trovare l’apertura della finestra.
Era un espediente che don Luigi Dies adottava. Lo confessa Aniello: “aprivamo una finestra per una opportunità di fuga per gli uccelli”.
‘Gloria, gloria nell’alto dei cieli’, si cantava. Luigi scuoteva la campanella all’ingresso della sacrestia, in simultanea con lo scampanio delle campane.
Dopo le limitazioni della quaresima poteva esplodere in pienezza la gioia della resurrezione.
In verità era una pienezza dimezzata dal fatto che nel pranzo a casa ancora non poteva essere gustato u casatello (dolce pasquale). Quello no, si sarebbe dovuto aspettare l’indomani, domenica.
E gli uccellini liberati? Continuavano a cercare un varco per uscire all’aperto, pena la morte.
Gli uccellini, proprio quelli che si catturavano con le trappole di ferro, meglio se con i pasarole (fatte di canne), con le quali si prendevano vivi, rappresentavano un piatto ambito per i ponzesi. Tanto che venivano finanche precotti e messi nei vasetti sott’olio per essere mangiati in estate.
Sandro biasima la caccia e i suoi eccessi, ben conosciuti da noi. Quanti adolescenti portano ancora i segni sul corpo dei colpi partiti accidentalmente da fucili messi nelle mani di inesperti. E quella cattura dissennata di esserini piumati sfiniti dal volo della migrazione e allettati dal boccone sulla trappola: una crudeltà non più tollerabile. E Antonio ha ragione a contestualizzare i comportamenti dei nostri padri, per cui ciò che oggi disprezziamo un tempo era apprezzato.
1962- 1965, il Concilio Vaticano II° cambiò la liturgia della Pasqua. A Ponza si insediò, parroco, don Michele Colaguori. Il telone violaceo non si trovava. Aniello mise a disposizione due lenzuoli di casa. Nel rito della messa l’officiante fu posto (come oggi) col viso ai fedeli. La celebrazione del Gloria fu spostato (come avviene oggi) a mezzanotte del sabato. Dopo le ‘letture’, dopo il ripasso del ‘passio’, con il simulato ‘terremoto’ (al momento della morte di Cristo), al buio, con la sola luce delle candeline, non c’era molta presenza, anzi predominava la sonnolenza. A proposito Aniello mi ricorda che Michelina cadde dalla sedia, per un colpo di sonno, nel silenzio imbarazzato di tutti. Ma fu un sussulto di vivacità.
Il ‘Gloria’ in questa atmosfera di siesta coglieva nel segno. Luci, campane, canti, alleluia… e gli uccellini tirati fuori dalle tasche, in cerca di libertà. Ma di notte non sortiva lo stesso effetto. Mancava il brillore del sole primaverile.
Gli uccellini si posavano sul cornicione della cupola e aspettavano che le abitudini umane si confacessero a quelle della natura.
Dopo pochi anni l’usanza si è perduta. Una più spiccata sensibilità ecologica, il rifiuto di ciò che pur se autentico è inattuale, una minore soggezione verso ciò che si fa per consuetudine, ha mandato nel dimenticatoio la liberazione degli uccellini.
Cosa è rimasto? Beh, è rimasto il Gloria senza telo, senza canti gregoriani, con lo spirito che ogni primavera induce: l’aspirazione al nuovo.
Quest’ anno la stagione dei fiori è insozzata di sangue, e dunque il Gloria dovrà accentuare l’anelito esplicitato nel secondo verso dell’inno religioso: “e pace in terra agli uomini”.
Caro Antonio Corti, spero di averti fatto cosa gradita. Insieme a tutti i lettori del Sito.
Buona Pasqua a tutti.
Antonio Corti
11 Aprile 2022 at 14:07
Grazie Franco, mi hai rammentato dei particolari che non ricordavo più. Quando mio padre fu trasferito a Latina io avevo 8 anni. Tutti noi Ponzesi ti siamo riconoscenti per questo tuo ruolo di memoria storica. E nella memoria storica bisogna ricordare (senza alcuna polemica) che i nostri genitori e i nostri nonni hanno vissuto in tempi molto difficili. Mio cugino Silverio parla di scommessa di vivere sull’Isola. Grazie ancora, Antonio