Scrittori

Comprendere la geopolitica attraverso la letteratura (1)

segnalato da Sandro Russo

Fernando Gentilini (1), diplomatico di professione prestato alla letteratura, sta proponendo una serie di scritti su la Repubblica dal titolo generale Finis terrae: “il racconto geopolitico di un’area del mondo attraverso i classici”. Aveva già trattato della Libia e dell’Etiopia. Sull’onda dell’attualità prende ora in considerazione alcuni paesi est-europei, confinanti e/o contigui con la Russia e gli scrittori che hanno espresso. Leggeremo cose molto interessanti
S. R.

La politica spiegata dai versi di Taras Shevchenko. La lezione a Putin del poeta ucraino
di Fernando Gentilini  – da la Repubblica del 21 marzo 2022

Secondo il leader russo, questo autore (2) e Gogol’ condividono “una comune eredità storica e culturale”. Ma si sbaglia

Per chi crede che nelle relazioni internazionali, oltre alla geopolitica, contino anche le tradizioni, e l’irrazionale che si portano appresso, è affascinante indagare sulle letture di quelli cui sono affidati i destini del mondo, dato che tutti, chi più e chi meno, sognano di realizzare con la politica ciò che hanno trovato scritto nei libri. Chi ha governato la Russia nei momenti cruciali non fa eccezione. Basti pensare a Caterina II che per il suo progetto di riforma dell’impero zarista copiò di sana pianta da Lo spirito delle leggi di Montesquieu. O a Lenin, che concepì la rivoluzione sui libri di Marx e Engels. Oppure a Gorbaciov, che leggeva Arthur Miller e riconosceva a certi scrittori un’autorità morale e intellettuale.

Anche documentarsi sui gusti letterari di Putin è interessante. Rifarsi ai classici russi come Guerra e pace di Tolstoj o Delitto e castigo di Dostoevskij non è certo il massimo dell’originalità, come pure citare dal Vangelo di Giovanni. Ma già le Memorie di un cacciatore di Turgenev ci dicono qualcosa di più sull’uomo. Un libro denso, che solo in apparenza parla di incontri e discussioni durante la caccia. Insomma una specie di antecedente siberiano delle Verdi colline d’Africa di Hemingway, che non a caso figura tra gli autori stranieri preferiti da Putin, con Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare, insieme a Dumas con I tre moschettieri e Omar Khayyam con le sue Quartine.

Tutto questo porta a immaginare l’idea di letteratura che quest’uomo conserva dentro, ammesso che ne abbia una. E l’idea che con la letteratura egli vuole dare di sé. È istruttiva a questo proposito la lettura del suo articolo storico-letterario pubblicato nel luglio scorso (3), che con il senno di poi si può considerare un avvertimento sulle sue intenzioni riguardo l’Ucraina. Intitolato Sull’unità storica di russi ed ucraini, in esso Putin non solo ritorna alle origini nella Kiev di Vladimir il Santo, ma sostiene che autori russi come Gogol’ e ucraini come Taras Shevchenko, facciano parte di una «comune eredità storica e culturale». A conferma che mitologia e letteratura giocano un ruolo non secondario anche nelle sue scelte politiche e di politica internazionale.

Non so se Putin abbia letto davvero gli autori e i libri citati sopra. E che insegnamenti ne abbia tratto. Certe cose le sa solo lui, non può saperle nessun altro. Ma sul fatto che abbia meditato a fondo sull’opera di Taras Shevchenko, il maggiore scrittore ucraino, è lecito avere qualche dubbio. Almeno a giudicare dall’andamento del conflitto in Ucraina. Se lo avesse letto, e avesse ragionato sulla natura degli ucraini così come emerge dalla vita e dall’opera del loro poeta più rappresentativo, be’ avrebbe fatto probabilmente dei calcoli diversi. Nel senso che tanto per cominciare non si sarebbe fidato ciecamente dei suoi generali, secondo i quali i soldati russi sarebbero stati accolti come liberatori, e inoltre non avrebbe accarezzato l’idea che ai primi colpi di artiglieria l’esercito ucraino si sarebbe liquefatto come quello afgano.

Di Taras Shevchenko (o Ševčenko, a secondo della grafia) si legge poco durante queste settimane. Si legge più di autori russi nati in Ucraina, come Gogol’ e Bulgakov, che del padre della letteratura di quel Paese, e dell’inventore della sua lingua. Un volto da cosacco, con baffoni e colbacco, che nei giorni di Maidan sventolava sulle bandiere, e che in versione più giovanile è stampigliato sulle banconote da 100 grivnia. A lui sono dedicate statue in ogni angolo del Paese, oltre all’università di Kiev e a una delle stazioni della metro cittadina. E quel che più conta, ogni volta che incombe una minaccia, tutti fanno quadrato attorno ai suoi versi: che sono un inno all’ostinazione, al coraggio e all’orgoglio di essere ucraini.

Già il fatto che fosse nato da una famiglia di servi della gleba, nella steppa tra Kiev e Odessa, e che ciononostante fosse riuscito a imporsi come pittore e poeta negli ambienti di San Pietroburgo, la dice lunga sulla sua tempra. Ma a farne l’icona del popolo ucraino è la sua scelta sovversiva, che gli valse anni di prigionia e di confino in Kazakistan, e ancor più la sua poesia carica di pathos e carisma, con cui fino alla fine profetizzò la libertà del suo paese. L’Ucraina gli deve una memoria storica e una coscienza nazionale, oltre che una lingua letteraria. Soprattutto gli deve l’esempio di un’esistenza pura, senza compromessi, sempre dalla parte degli oppressi e contro aggressori e invasori d’ogni specie.

Kobzar (Bardo), la sua prima raccolta in versi del 1840, provocò un terremoto quando apparve in Ucraina. Perché prima di allora nessuno aveva parlato di libertà, di rivolta, di un Dnepr rosso sangue e di far resuscitare dalla storia la gloriosa nazione cosacca di Ivan Pidkova. Per di più in un’epoca in cui il demone nazionale stava già rovinando il sonno alle corti europee, alla vigilia del 1848, e il peso della dominazione zarista in Ucraina si andava facendo sempre più insopportabile. La sua poesia recupera una lingua, una tradizione, una musica e un paesaggio. E con essi costruisce le fondamenta di una nuova nazione. «Nel profondo di ogni ucraino pulsa un’anima cosacca» si sente ripetere in questi giorni di sacrificio e combattimenti: ebbene è proprio di queste anime folli, disperate e senza paura di morire per la propria terra che scrive Taras Shevchenko, che era una di loro e che per questo continua a suscitare sentimenti fortissimi.

Ecco perché Putin avrebbe potuto meditare su certi suoi versi ipnotici. Tipo quello Lottate e vincerete. Invece di ignorare i poeti morti che è sempre pericoloso.
In un certo senso un leader politico, come uno scrittore, non può limitarsi alla contemplazione della realtà, ma deve interrogarsi su tutta la gamma delle possibilità dell’esistenza. Che vuol dire non accontentarsi di osservare quel che gli uomini fanno, ma porsi continuamente il problema di quel che sono capaci di fare.
Se Putin avesse letto Taras Shevchenko, forse avrebbe capito di cosa sono capaci gli ucraini, e forse ci avrebbe pensato due volte prima di lanciarsi in questa avventura. O perlomeno lo avrebbe fatto senza coltivare l’illusione di una guerra vinta in partenza. Insomma, ma ovviamente è tutto da dimostrare, forse un libro avrebbe potuto salvarlo.


Note

(1) – Fernando Gentilini (Subiaco, 1962), diplomatico di professione, ha un’esperienza ventennale in gestione di crisi internazionali, affari europei e multilaterali. Tra le altre cose è stato direttore del Servizio diplomatico europeo per i Balcani occidentali e la Turchia, rappresentante speciale dell’Ue in Kosovo e inviato della Nato in Afghanistan. Dal 2018, è direttore generale per il Medio Oriente e il Nord Africa del Servizio diplomatico europeo di Bruxelles. Ha pubblicato: In Etiopia (1999), Infiniti Balcani (2007, vincitore del premio Cesare Pavese e del premio Capalbio) e Libero a Kabul (2011). Collabora con le pagine culturali de “La Stampa” (da: http://www.lanavediteseo.eu/). Recentemente ha iniziato una collaborazione con la Repubblica.

(2) –  Taras Hryhorovyč Ševčenko (Morynci (Ucraina centrale) 1814 – San Pietroburgo (Russia), 1861) è stato un poeta, scrittore, umanista e pittore ucraino. La sua eredità letteraria è ritenuta uno dei pilastri della moderna letteratura ucraina e, in senso più ampio, della stessa lingua ucraina. Ševčenko scrisse anche in lingua russa.

(3) – Sull’unità storica di russi e ucraini è un saggio di Vladimir Putin pubblicato il 12 luglio 2021, durante la crisi russo-ucraina. Nel saggio Putin descrive le sue opinioni sull’Ucraina e gli ucraini
Nel saggio Putin afferma che russi e ucraini, insieme ai bielorussi, sono un solo popolo appartenente a quella che è stata conosciuta storicamente come nazione trina russa. Per sostenere questa affermazione, Putin descrive ampiamente le sue opinioni sulla storia della Russia e dell’Ucraina, arrivando alla conclusione che russi ed ucraini condividano un’eredità e un destino comuni.
Il saggio nega l’esistenza dell’Ucraina come nazione indipendente. Sottolineando la forte presenza di russi etnici in Ucraina, Putin paragona “la formazione di uno stato ucraino etnicamente puro, e aggressivo nei confronti della Russia” all’uso di armi di distruzione di massa contro i russi.
Putin mette apertamente in dubbio la legittimità dei confini contemporanei dell’Ucraina. Secondo quest’ultimo il paese occuperebbe terre storicamente russe, appartenenti in tempi antichi alla federazione slava del Rus’ di Kiev (fonte: Wikipedia)

Immagine di copertina: Taras Shevchenko sulle banconote da 100 grivnia

 

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