di Patrizia Maccotta
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Non potevo non leggere il libro, non potevo non andare allo spettacolo in scena al teatro Argentina di Roma dal 4 marzo al 3 aprile: me lo chiedevano i tre dattiloscritti foderati di velluto verde scuro scritti da Papagrande (così chiamavo mio nonno traducendo letteralmente il francese Grand-père).
Per questo motivo lessi a suo tempo, tutta d’un fiato, l’opera con la quale Antonio Scurati (Napoli, 1969) vinse il premio Strega nel 2019: M Il figlio del secolo. Uno scritto di ben 827 pagine che non è un romanzo, non è una biografia e non è un saggio storico. È forse questi tre generi insieme, riuniti in un compatto, solido nucleo di eventi e di emozioni.
Lo scrittore precisa lui stesso, all’inizio, che i fatti ed i personaggi “non sono il frutto della fantasia dell’autore: sono reali”. Tuttavia, egli ha prestato loro pensieri, comportamenti privati e sentimenti in un’invenzione “cui la realtà arreca i propri materiali”.
La sua storia – scritta in prima e in terza persona, forse per distinguere proprio ‘le storie’ con la minuscola dalla ‘Storia’ con la maiuscola – inizia nel 1919, con la fondazione dei Fasci di combattimento a Milano, e termina nel 1924 con l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
Scurati ci apre l’animo dei fautori della Storia: ci fa rivivere l’esasperazione degli Arditi privi di scopo, il narcisismo di D’Annunzio, di Marinetti, di Balbo dal di dentro; il desiderio di Margherita Sarfatti (1) di essere il Pigmalione del suo Duce; sentiamo vibrare la violenza di Dùmini.
Margherita Sarfatti (Sandra Toffolatti). Foto di Masiar Pasquali
I giorni, i mesi, gli anni scandiscono la progressione nella presa di potere da parte di Mussolini. Gli anni presentati sono sei; ciascuno raggruppa vari capitoli. Ogni capitolo, che ha come titolo un nome, un luogo, un giorno, è inframmezzato da circolari, articoli di giornali, rapporti, leggi e citazioni.
Il lavoro di documentazione è enorme. Il lettore entra a piè pari nei pensieri delle innumerevoli persone/personaggi che sfilano sotto i suoi occhi e viene condotto fino all’ultimo atto di questa ascesa: il brutale assassino di Giacomo Matteotti.
Da sempre il deputato socialista si era opposto al fascismo, ma nel mese di giugno gli eventi precipitano. Il 30 maggio del 1924 Matteotti prende la parola alla camera dei deputati per contestare la validità delle elezioni. “E’ un uomo solo, quasi derelitto, quello che si alza dai banchi della sinistra annunciato da un tappeto sonoro di fastidio, di ribrezzo” -, ci racconta Scurati. Un uomo solo… Mi viene da pensare ad un altro uomo solo dei nostri tempi: Giovanni Falcone.
Ma Matteotti non desiste, “sfida la tempesta e comincia l’elenco delle violazioni”: firme mancanti alla presentazione delle liste, formalità notarili impedite con la violenza, comizi elettorali negati agli oppositori, seggi dominati dai rappresentanti di lista fascista.
Alla fine della sua requisitoria, quando si siede, Matteotti sussurra al suo compagno di banco: “Il mio discorso l’ho fatto: Ora voi preparate l’orazione funebre”.-
E’ un bambino di dieci anni, Renato Barzotti, ad essere il testimone dell’omicidio avvenuto il 10 giugno. Le sue parole fanno rabbrividire. “Erano le quattro e mezzo. Stavo giocando con i miei compagni. Vicino a noi c’era una macchina che si era fermata proprio davanti a via Antonio Sciajola. Ne uscirono cinque uomini che cominciarono a passeggiare su e giù. All’improvviso vidi Matteotti uscire. Uno degli uomini gli andò incontro e gli sferzò con violenza un pugno facendolo cadere. Matteotti invocò aiuto. Allora sopraggiunsero gli altri quattro e uno di questi lo colpì duramente in faccia. Poi lo presero per la testa e per i piedi e lo portarono dentro la macchina che ci passò di fianco. Potemmo così vedere che Matteotti stava lottando. Dopo non vedemmo più niente”. In cinque contro uno. Sono le pagine che di più mi hanno colpita. Con la morte di Giacomo si chiude il racconto di Scurati.
Dopo averlo letto sono andata davanti al numero 40 di via Giuseppe Pisanelli dove una piccola, troppo piccola, targa ricorda quest’uomo coraggioso.
Dopo varie peripezie, un arresto delle rappresentazioni provocato da un caso di Covid, il cambio dei biglietti e una pioggia torrenziale il giorno della nuova data scelta, il 30 marzo, sono riuscita a vedere lo spettacolo (2) che Massimo Popolizio ha tratto, con la collaborazione alla drammaturgia di Lorenzo Pavolini, dall’opera di Scurati.
Diciotto attori, che hanno dato corpo ad ottanta (!) personaggi, hanno calcato la scena prima a Milano poi a Roma.
La sala è piena. Lo spettacolo si apre con le ultime parole del libro. Si compone di una trentina di quadri. La scena esita tra luce ed oscurità. L’atmosfera è comunque sempre scura, quasi cupa. I colori che dominano sono il nero, il grigio chiaro, l’antracite o il bianco. Una piattaforma scivola avanti e indietro , spingendo verso gli spettatori gli eventi ed i protagonisti.
Si è scelto di sdoppiare il personaggio di Mussolini: Tommaso Ragno, più snello, meno imponente, incarna un Mussolini in divenire, con i suoi dubbi e le sue fragilità – l’attrice Sandra Toffolatti, alias Margherita Sarfatti, in lucidi abiti neri, è sempre vicina a lui, pronta ad incoraggiarlo ed educarlo – Il fisico dell’attore non ha, infatti, nulla del fisico allo stesso tempo statuario e ridicolo del dittatore.
Massimo Popolizio incarna Mussolini al potere. È più robusto. Porta le ghette. Compare a sorpresa, spesso sulla piattaforma che domina gli altri personaggi, come per spiegare l’evolversi del suo destino legato all’inadeguatezza della classe dirigente. Come sempre, non esiste un uomo che da solo, senza connivenza, prende il potere.
Massimo Popolizio e Tommaso Ragno, insieme in scena (photo©MasiarPasquali)
Popolizio d’altronde era già stato Mussolini in uno strano film di Luca Miniero uscito nel 2018: “Sono tornato”. La pellicola, in realtà, riprendeva la storia di un film tedesco di David Wnendt, Lui è tornato, del 2015, dove a tornare era Hitler. Nel film di Miniero, il Duce, ritornato in vita, si presenta sul set di un regista poco conosciuto e riconquista il potere grazie alla popolarità e al populismo recitando la sua stessa vita.
Intorno al Duce di Popolizio , all’Argentina, si muovono attori bravissimi che incarnano Balbo, D’Annunzio, Bombacci, Nenni e Marinetti. A dare voce e, soprattutto anima, a Giacomo Matteotti è l’attore Raffaele Esposito. Toccante la moglie Velia ed altrettanto toccante la breve apparizione di Ida Dasler con il figlio avuto da Mussolini in braccio, anche lei soggetto di un film di Marco Bellocchio, Vincere, del 2009.
Giacomo Matteotti è l’attore Raffaele Esposito; la moglie Velia Titta è impersonata da Francesca Osso
Sullo sfondo si muove, in filmati d’epoca, il popolo italiano, le immense folle che applaudono, cantano e sfilano.
Un magnifico spettacolo che ha rispettato l’ordine temporale e lo spirito dell’opera scritta, rendendo omaggio alla profondità e al movimento di un racconto che non era facile sintetizzare. I nomi di tutti coloro che hanno contribuito alla sua qualità si trovano nella brochure consegnata all’ingresso del teatro.
A farmi partecipare ancora di più allo spettacolo e alla lettura di M. Il figlio del secolo è stata, soprattutto, la vita di mio nonno, la sua testimonianza.
I tre dattiloscritti sono rilegati in verde scuro… Scrive Papagrande: “Il 25 aprile del 1924 venivo proclamato deputato al Parlamento per la circoscrizione di Sicilia”.
In seguito, in qualità di deputato interviene con un discorso sulla protezione della maternità e dell’infanzia e sulla facoltà concessa al potere esecutivo di emanare norme giuridiche. Esegue uno studio sulle colonie (Eritrea, Somalia, Tripolitania e Cirenaica). Osserva, e questo mi piace, che “sebbene deputato, mi mantenni lontano dalle beghe fasciste sia in provincia che fuori, dai gruppi formatisi in seno al partito, da ogni spirito di faziosità e di violenza, da qualsiasi atto di totalitarismo che ritenni dannoso, non ultimo quello di imporre la iscrizione nel partito di funzionari dello Stato e di coloro che dovevano partecipare a pubblici concorsi”.
Papagrande era una persona onesta ed io gli ho voluto un gran bene. Del fascismo dice di apprezzare il ripristino dell’autorità dello Stato, l’aumento del prestigio dell’Italia all’estero, la promozione di una buona politica agraria e della giustizia sociale.
Ma io confronto le due date: il 25 aprile 1924, data del suo ingresso in Parlamento… Il 10 giugno 1924, data dell’assassinio di Matteotti… e mi chiedo perché non ho trovato una sola parola su quel delitto. Perché ha taciuto, lui deputato, questo omicidio nelle sue memorie. Perché Giacomo non viene nominato mai.
L’edizione dell’Avanti! del 15 giugno 1924
Note
(1) – Di Margherita Sarfatti, “La donna che inventò Mussolini“ ha scritto sul sito Fabio Lambertucci l’11 settembre 2020;
(2) – Sul sito il 24 marzo scorso ha già scritto di M. Il figlio del secolo, Tano Pirrone, che lo spettacolo teatrale non è riuscito a vederlo (leggi qui).
Patrizia Maccotta
8 Aprile 2022 at 06:43
Trasferisco sul sito i Commenti che ho ricevuto sulla posta personale da miei amici – il mio piccolo gruppo di followers – relativi all’articolo M. Il figlio del secolo. Non (solo) elogiativi ma anche delle letture critiche che mi hanno fatto molto piacere e di cui li ringrazio.
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È una storia che nasce dall’anarchia ed è cavalcata dalla borghesia. Prima di Matteotti ci fu Giuseppe Di Vagno (1921) il cui processo venne celebrato a Trani. Lo scorso anno tenni una conferenza all’Ordine degli Avvocati. Le folle urlanti non erano fasciste, ma degli affamati. Questo concetto va sempre studiato, ieri come oggi.
Delitto di folla, delitto di opinione hanno sempre mandanti ben precisi, tuttavia i giudici li hanno sempre assolti, e fatto sì che la folla fosse condannata!
Grazie per il tuo scritto.
(Vittorio Tolomeo)
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Bravissima; hai sintetizzato degnamente il racconto di Scurati e descritto la versione teatrale con l’emozione che essa ha destato negli spettatori a ripercorrere le vicende dell’ascesa di M. Il ricordo del nonno risulta affettuoso. Quante vicende dell’epoca sono state rimosse dai nostri genitori e parenti! Erano tutti irreggimentati e a fatica hanno cancellato gli orrori della dittatura e della guerra.
(Carla Medina)
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Patrizia, stavolta ti sei superata! Sei riuscita a fondere tanti linguaggi in un unico testo asciutto, come è nel tuo stile, ma sempre cristallino ed efficace!
(Luciana Arcangeli)
Tano Pirrone
9 Aprile 2022 at 09:17
Patrizia, amica mia, non ci crederai, ma non ho ancora avuto il tempo di leggere il tuo articolo, che Sandro ha magnificato (ma lui vende la merce che ha in negozio, mentre io voglio andare nel laboratorio, dove so che indaga e scrive un’amica brava e puntigliosa). Non basta il talento se ci si da di capoccia. Oggi ho il compito di preparare l’epìcrisi della settimana e certamente ne parlerò. Poi, con calma Tàngeri ci aspetta e Odessa…
Maria Silvia Pérsico
11 Aprile 2022 at 04:30
Ciaò Sandro,
He leído “Il figlio del secolo”. La Storia, il Teatro e la Vita. No he comprendido todo el vocabulario pero he entendido tu nota, y sobre la obra teatral a la que asististe viste en Roma.
En Argentina hemos recibido exiliados en el tiempo de Mussolini. En la ciudad donde vivo está en pie la casa de un gran escultor argentino, Libero Badii, cuyo padre y sus hijos debieron exiliarse. El padre tenía una marmolería en el pueblo y las falanges del dictador se la destruyeron. Después Italia los ha reivindicado pero el daño estaba hecho. Aquí sigue la marmolería y la obra del gran escultor toscano. Tengo uno de sus libros.
Da wikipedia
Líbero Badíi (Arezzo, Italia; 2 de febrero de 1916 – Buenos Aires, Argentina; 11 de febrero de 2001) fue un pensador y artista visual multifacético (escultor, dibujante, grabador, pintor) italiano nacionalizado argentino, generador (junto con Luis Centurión) del arte siniestro, como una forma de concebir la producción artística específicamente latinoamericana.
Saluti dal sud in autunno
María Silvia
Sandro Russo
11 Aprile 2022 at 04:54
È quasi commovente la partecipazione di Maria Silvia alle vicende italiane; parla di un famoso scultore (naturalizzato) argentino il cui padre dovette fuggire dall’Italia, a causa della repressione del regime fascista e la distruzione del suo laboratorio di lavori in marmo (ad Arezzo).
Commovente dicevo, perché passa sotto silenzio il tributo di morti e di dolore che l’Argentina stessa ha patito quando un regime fascista si è insediato colà.
Per motivi complessi dall’Italia abbiamo avuto più conoscenza e partecipazione alla vicenda cilena, seguita al sovvertimento violento del governo di Salvador Allende (11 settembre 1973), ma l’Argentina non è stata da meno.
Riporto qui l’essenziale (da Wikipedia) anche a me stesso, per ricordare le date.
La dittatura militare (1976-1983)
Si caratterizzò con una forte repressione dell’opposizione e numerose violazioni di diritti umani. Il primo ad assumere la presidenza dopo una serie di piccoli governi dittatoriali fu Jorge Rafael Videla, presidente de facto tra il 1976 e 1981.
La sconfitta nella guerra delle Falkland obbligò il regime militare a convocare elezioni democratiche. Il 10 dicembre del 1983, si stimò il numero di detenuti scomparsi durante la dittatura (i cosiddetti desaparecidos) tra 15.000 e 30.000. Il segno più profondo delle dittature è stata la repressione su settori specifici della società, specialmente su quelli politicamente più attivi, per esempio i giornalisti e i sindacalisti.