di Giuseppe Mazzella di Rurillo
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Il viaggio a Parigi fu lungamente desiderato. Avevo vent’anni ma lo volevo fare da cinque; da quando cominciai a studiare il francese e quindi la Francia. Adoravo la lingua. Il mio prof me la spiegava con metodo innovativo e mi invitava a non ricercare la “r moscia” se non l’avevo. Di anno in anno – furono i cinque delle superiori – ne sapevo di più della lingua, la storia e le istituzioni fino all’otto finale all’esame di stato nel 1968.
Il viaggio a Parigi fu in treno. Lungo e massacrante. Con un collega di università. Ma ad Ischia pochi parlavano francese ed erano pochi i turisti francesi.
Erano gli anni del boom del turismo tedesco. Ischia era una vera e propria enclave territoriale tedesca. Ischia offriva mare e terme, collina e montagna. Arrivavano da marzo ad ottobre con i voli charter da otto città della Germania organizzati dai grandi tour operator.
Negli alberghi per lavorare si richiedeva la conoscenza del tedesco non dell’inglese o del francese. Le indicazioni dei bar ristoranti e perfino dei taxi erano in italiano e tedesco. Venivano anche belle ragazze spesso con i nonni o i genitori. I giovani ischitani erano tutti Casanova o pappagalli per l’avventura con la tedeschina che si innamorava del sole del mare delle canzoni e dell’intraprendenza del giovane ischitano.
Non facevo eccezione. Anche io ebbi la mia avventura con la tedeschina. Aveva 23 anni. Era di Berlino ovest. Era al suo primo viaggio da sola dopo il primo anno di lavoro. Non parlava l’italiano logicamente, ma inglese. Un buon inglese. Per parlare con lei dovetti riprendere il mio inglese scolastico ed una lingua che non amavo. Ma l’amore è la forza capace di riempire tutti i vuoti e per amore ricomincia a studiare leggere parlare e scrivere in inglese. Eravamo ambedue innamorati. La nostra avventura di sole mare e canzoni d’amore durò tre settimane. Ma ci promettemmo di non chiuderla lì.
Così nel settembre 1970 andai a Berlino con i soldi della borsa di studio. Restai due settimane. Non avevo mai sognato di visitare Berlino. Non mi piaceva la lingua tedesca. Non amavo i tedeschi influenzato soprattutto dalla lettura di Kaputt di Curzio Malaparte.
La tedeschina mi portò a vedere molte cose. Vidi una grande città divisa in due. Vidi la porta di Brandeburgo (1)– che si trovava nella parte est della DDR comunista – da una torretta dove i berlinesi dell’ovest salutavano i loro parenti imprigionati nell’est. Da lontano si vedevano le guardie dette Vopos con i loro cani, pronte ad impedire le fughe. La bellissima “Unter der linden” – Sotto i tigli – come i campi Elisi di Parigi – si spezzettava con l’orrido muro e dalla torretta si vedeva questo pezzo di strada “terra di nessuno”.
1988. la Porta di Brandeburgo vista da Berlino Ovest, dietro al muro che divideva la città
La tedeschina mi disse che sarebbe andata via da Berlino ovest perché qui non si sentiva felice. C’era un mondo libero ad ovest ed un mondo chiuso ad est ma la città liberata, divisa in zone di occupazione americana, inglese e francese, era un’isola in piena DDR. La divisione era orribile perfino nei laghi e nei giardini. Mi informai di tutta la storia di Berlino e scrissi su una rivista per giovani il mio primo articolo di politica estera al ritorno dal viaggio.
Come era da aspettarsi la storia con la tedeschina finì. Ritornai a Berlino altre due volte nel 1971 e nel 1974 ospite di un amico ischitano che aveva lì un ristorante molto frequentato; ma poi non ci sono più ritornato, soprattutto dopo il 1989 quando il muro è stato demolito e la Germania è stata riunificata (2).
Ma a Berlino 21 anni dopo Parigi scelsi il mondo libero. E cominciai ad amare il popolo tedesco.
In questi giorni ho letto un bellissimo testo di Gianluca Mercurio proposto da Titti Marrone sulla guerra in Ucraina e la storia di Tatyana di 83 anni sopravvissuta alla Shoah causata dai tedeschi e salvata dai russi ed oggi salvata dai tedeschi dai russi dopo 80 anni. Un testa-coda della storia.
Mercurio cita una frase del presidente tedesco F. W. Steinmeier: “La Germania è un paese che può essere amato solo con il cuore spezzato”.
Come dire che non dimentica il male fatto al mondo ma che vive ogni giorno per non ripeterlo. Un grande popolo.
G. M. di R.
The iconic ‘Raising a flag over the Reichstag’ photo by Yevgeny Khaldei shot on May 2nd 1945
Note (a cura della Redazione)
(1) – La Porta di Brandeburgo è ricordata da Tano Pirrone, in uno scritto del 15 marzo 2020 (leggi qui): “…la Cappella del silenzio” nella porta di Brandeburgo, che ricordiamo squarciata dai bombardamenti, al termine del viale dei Tigli.
(2) – Per analogia con il pezzo precedente, anche qui richiamiamo una canzone: Wind of change, degli Scorpions, per la caduta del Muro di Berlino (1989), pubblicata il 25 ottobre 2020 e ricordata proprio in questi giorni (cfr. Commenti in fondo all’articolo).
9 nov. 1989. La caduta del muro di Berlino