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La guerra delle donne ucraine, di Paolo Rumiz

segnalato dalla Redazione

Il 14 marzo abbiamo pubblicato un articolo di Paolo Rumiz sulla guerra tra Russia e Ucraina. Abbiamo scritto allora:
“Per giorni abbiamo aspettato di leggere il punto di vista di Paolo Rumiz sulla guerra ed eccolo… su la Repubblica del 12 marzo (l’altro ieri).
Paolo Rumiz (Trieste, 1947), sul sito, lo abbiamo seguito in tutti i suoi viaggi, su e giù per l’Europa, in pedalate omeriche per itinerari inconsueti, nei suoi viaggi in Italia e perfino per fari sperduti in mezzo al mare (digitare Rumiz nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio).
Lui parte e guarda sempre da Trieste, dolente crocevia di migrazioni… [“Da quando sono nato, non ho fatto che veder genti in fuga da guerre, pulizie etniche o carestie…”]; anche in questo inconsueto reportage tra analisi, nostalgia e rimpianto. Critico e poetico insieme. Rara dote e lettura esemplare. Grazie Rumiz.

Ritorna, la voce di Rumiz, dalle pagine del supplemento Robinson di Repubblica (in edicola per tutta la settimana), che così lo presenta:

“La guerra non ha mai volto di donna, scrive Svetlana Aleksievic. E se la prima vittima di questa guerra in corso da un mese in Ucraina è la verità, la seconda sono proprio le donne, ucraine e russe alla stessa maniera. A loro Paolo Rumiz, da “viaggiatore di periferie” qual è, che nelle profonde campagne dell’ex impero sovietico ha trovato personaggi femminili eterni, alla Tolstoj, dedica il viaggio in copertina su Robinson, in edicola con Repubblica”.
In formato .pdf a fondo pagina.


Dalla presentazione di Robinson di questa settimana
“Un viaggio in cui racconta la scelta di Nataša che da un giorno all’altro lascia l’Italia per tornare a casa: un gesto che rappresenta la vita che non si arrende in una parte d’Europa più di ogni altra devastata nel tempo da guerre e stermini di massa. “È tornata in Ucraina”, scrive Rumiz, “a piantar patate. Il conflitto sarebbe finito e allora si sarebbe dovuto pur mangiare, ha detto. Ma se tutti se ne andavano, la terra sarebbe rimasta sterile”.
Se la guerra non ha volto di donna dunque la resistenza alla guerra invece è femmina in Russia, ci dice ancora Rumiz. Lo vediamo, oltre che nelle parole di Svetlana Aleksievic, anche in quelle di Nadežda Mandel’štam che novant’anni fa dovette imparare a memoria le poesie del marito morto in un gulag siberiano per poterle tramandare a noi. O nell’immagine di Jelena Andrejewna Ossipowa, sopravvissuta all’assedio di Leningrado, la vecchina col cartello “Pace nel mondo” trascinata via dalla polizia, e in quella della giornalista Marina Ovsyannikova che interrompe una trasmissione della tv di stato dicendo “Protestate, non possono arrestarci tutti”.
È per questo che Rumiz “nel frastuono ansiogeno dei media” preferisce ascoltare la voce delle donne. Badanti soprattutto, che in Italia sono presenti a migliaia e con cui lui – confessa – ha parlato spesso, da prima della sollevazione in piazza Majdan a Kiev. “Sono donne che non guardano al gioco dei potenti, ma vanno al sodo: alla povertà, alla corruzione, ai taglieggiamenti delle mafie. Sono le badanti che, a ogni ritorno a casa col loro mazzetto di euro, sono state taglieggiate da maschi che riscuotevano tangenti in nome della patria”. È come se i viaggi a Est, vuole dirci Rumiz, fossero soprattutto viaggi nel tempo, un’escursione nelle radici contadine perdute della nostra parte d’Europa”.

Copertina dell’articolo di Rumiz su Robinson. Foto di Monica Bulaj

 

Il testo di Rumiz, con le foto di Monica Bulaj. Da Robinson.pdf

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