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Dal giro delle chat che frequento, mi è arrivato stamattina questo messaggio
“Segnalo che il Corriere della Sera, La Stampa e la Repubblica hanno relegato in un trafiletto nelle pagine interne le parole del papa che si è vergognato per l’aumento delle spese militari e per l’invio di armi, forse perché contrarie alla linea editoriale.
Il Tg 1, quello diretto da Monica Maggioni, non ne ha fatto minimamente cenno.
Vediamo se oggi, alle bellissime parole nella preghiera di Papa Francesco ieri in San Pietro, vorranno dedicare uno spazio” (ringrazio Sandro Di Macco)”.
Qualcosa significa che nell’oscuramento mediatico delle parole di pace sia un vecchio ateo come me a dare risalto alle parole del Papa; nel video (qui sotto da YouTube) – potete vedere anche voi -, mi ha colpito la vecchiezza del papa, in suo incedere zoppicante, il senso di portare addosso tutto il peso di questa umanità dolente
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A seguire l’articolo a pag. 14 di Repubblica. Immagine (cliccare per ingrandire) e testo.
L’appello del Papa
“Liberaci dalla guerra e dal nucleare”, Bergoglio e la preghiera per la pace
di Paolo Rodari – Da la Repubblica del 26 marzo 2022
In San Pietro La liturgia con cui ieri papa Francesco ha consacrato al Cuore immacolato di Maria i popoli ucraino e russo
Il Pontefice affida Russia e Ucraina alla Madonna
Draghi: “Grazie, la cerchiamo anche noi”
Città del Vaticano — «Liberaci dalla guerra crudele e insensata, preserva il mondo dalla minaccia nucleare. Fa’ che cessi la guerra, provvedi al mondo la pace. Fa’ di noi degli artigiani di comunione». Suonano gravi le parole del Papa nella basilica vaticana. Il vescovo di Roma, come nel momento più difficile della pandemia, si affida alla preghiera, non «una formula magica, ma un atto spirituale» e consacra al Cuore immacolato di Maria l’umanità e in particolare i popoli di Russia e Ucraina. «In quest’ora l’umanità, sfinita e stravolta, sta sotto la croce con te», dice. E ancora: «Il popolo ucraino e il popolo russo, che ti venerano con amore, ricorrono a te, mentre il tuo cuore palpita per loro e per tutti i popoli falcidiati dalla guerra, dalla fame, dall’ingiustizia e dalla miseria».
Col passare dei giorni, la preoccupazione per la guerra è cresciuta molto in Vaticano. Gli appelli del vescovo di Roma per la pace si sono fatti via via più pressanti. L’ipotesi di un viaggio a Kiev sembra essere ancora remota anche se tutto resta possibile nel caso si aprisse uno spiraglio che non compromette la pace stessa.
Nella basilica di San Pietro, Francesco è seduto solo su una sedia davanti a una statua di Maria. I fedeli sono collegati da tutto il mondo. Cardinali e vescovi sono distanti qualche metro, nelle prime file. La preghiera è la strada scelta per queste ore.
La mediazione politica resta lontana, la Santa Sede non può portarla avanti senza il consenso di ambo le parti in gioco: «La Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù », aveva già detto il 16 marzo dialogando con il patriarca ortodosso Kirill.
Due giorni fa il Papa ha fatto sentire alle cancellerie del mondo anche il suo disappunto per la decisione di dedicare parte del PIL all’acquisto di armi. Lo stupore è anche nei confronti dell’Italia. Ieri, tuttavia, il premier Draghi da Bruxelles ha voluto ringraziarlo per le parole pronunciate in basilica, sottolineando che «noi cerchiamo la pace, non seguiamo un destino bellico». Ma il senso di inadeguatezza per quanto sta accadendo resta nei pensieri di Francesco: «In questi giorni notizie e immagini di morte continuano a entrare nelle nostre case — ha detto Bergoglio — mentre le bombe distruggono le case di tanti nostri fratelli e sorelle ucraini inermi». E ancora: «L’efferata guerra, che si è abbattuta su tanti e fa soffrire tutti, provoca in ciascuno paura e sgomento. Avvertiamo dentro un senso di impotenza e di inadeguatezza ».
Tano Pirrone
26 Marzo 2022 at 16:36
Difficile sottrarsi dal commentare articoli come quello proposto da Sandro Russo, che ha i due poli informativi, l’uno costituito dalle cose dette e fatte da Papa Francesco e l’altro dal vassallaggio vergognoso di una schiera di servi della gleba assurti senza gloria e dignità a plasmare l’informazione ad uso di interessi e di poteri, che ci tangono nel cuore, nella coscienza e nel portafogli.
Pensate come si deve sentire un ateo, sbattezzato, ad afferrare l’unica arma rimasta: il Papa!
Ma sono contento, perché ho profondo rispetto e sincero affetto per questo vecchio gesuita carico di anni e di responsabilità, giunto alla sua vetta più alta quando lo scorso anno, mi sembra a Pasqua, da solo, sul sagrato di San Pietro, da solo, assolse al suo dovere di Padre dei Cristiani e di amico di tutti.
Non mi limito, però a commentare e nonostante l’avviso perentorio in calce all’articolo (Riproduzione riservata) sto per scaricare in questo commento l’articolo apparso ieri su L’Avvenire a firma del suo direttore Marco Tarquinio.
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La vera politica e la giusta difesa. Una vergogna, proprio così
di Marco Tarquinio, venerdì 25 marzo 2022
Ebbene sì, è una vergogna. È una vergogna che si parli (e si voti) a vanvera, con desolanti quasi unanimità, per piani di riarmo europeo e italiano condensati nell’annuncio stentoreo di una lievitazione almeno sino al 2% del Pil del capitolo di bilancio delle spese militari delle nostre democrazie. Meno male che il Papa lo dice chiaro e tondo che è una vergogna, scuotendo molte coscienze e infastidendo qualche incosciente.
E meno male che quella pioggia, anzi quella grandinata di soldi non è affatto incominciata e che, per quanto riguarda noi italiani, una prospettiva del genere (sinora mai formalmente ratificata dal Parlamento: un ordine del giorno non fa integrazione di bilancio) resterà senza senso sino al 2024. Sì, meno male.
E molto bene, invece, se si andrà oltre quella data e quest’intendimento di spesa armata, e tanto più in giorni in cui torniamo a vedere, e a capire, almeno nell’Ucraina di Zelensky aggredita dalla Russia di Putin, che la guerra è l’impresa più sporca e atroce che noi esseri umani continuiamo a fare e a lasciar fare, riducendoci letteralmente a pezzi e provocando miserie e lutti non solo là dove si combatte.
Meglio essere espliciti: se noi italiani avessimo davvero dieci-dodici miliardi di euro da stanziare sull’unghia, qualcuno dubita del fatto che sarebbe meglio metterli subito su sanità e scuola e famiglia con figli? Non è una domanda retorica e non è uno slogan facile, perché gli italiani (quasi tutti) hanno ormai capito che non c’è mai niente di facile quando si tratta di mettere soldi nelle poste di bilancio più necessarie e giuste.
L’importante è che sia chiaro che non c’è motivo di spendere anche un solo centesimo in più per gli apparati militari. E non soltanto per una sacrosanta obiezione di coscienza. Obiezione a un mondo ricco che non trova ancora le risorse morali e materiali necessarie per vaccinare e curare tutti gli uomini e tutte le donne del nostro pianeta ancora stretto nella morsa della pandemia. Obiezione a un mondo tecnologicamente avanzato che continua a far spendere alla parte più povera dell’umanità i soldi che non ha per acquistare e usare armi vecchie e nuove.
A noi, in verità, quest’obiezione morale basta. E basta la consapevolezza costituzionale che la Repubblica di cui siamo cittadini ripudia la guerra come strumento nelle relazioni con gli altri Stati. Ma è giusto essere pragmatici e realisti in una Terra infestata di armi e di arroganze sempre più letali, capaci replicare su ogni scala, con identica ferocia e con conseguenze persino apocalittiche, la distruzione della vita. Lo sappiamo: la ‘deterrenza’ – ovvero, più crudamente, l’equilibrio del terrore costruito sulla minaccia del reciproco annichilimento – aiuta a non scannarsi troppo mentre si dovrebbe preparare la pace vera, che sempre unisce la libertà e la giustizia. Siamo anche realisti, dunque, oltre che indignati per la protervia riarmista di troppi.
E diciamo che si può e si deve, piuttosto, spendere molti miliardi in meno per le strutture militari, ottenendo – grazie a economie di scala e a un oculato riorientamento delle risorse – uno strumento di difesa militare europeo meno costoso eppure più efficiente e potendo, al tempo stesso, investire seriamente in quella grande, costruttiva, civilissima politica di difesa attiva che si chiama cooperazione internazionale allo sviluppo. Il motivo l’ha spiegato pochi giorni fa in poche battute il presidente del Consiglio Mario Draghi, che non si è esattamente sottratto al coro riarmista, ma i conti li ha sempre saputi fare e non si è deconcentrato nemmeno nel frastuono rintronante dei bombardamenti e dei proclami bellici che li accompagnano.
La spesa complessiva per armi degli Stati europei della Nato (più di 330 miliardi di dollari, più i quasi 70 della Gran Bretagna) supera di gran lunga quella del- la Russia, tra tre e quattro volte tanto (il premier Draghi lo ha ricordato l’11 marzo, a Bruxelles, e Luca Liverani lo ha dettagliato il 23 marzo, sulle nostre pagine). Chiunque, insomma, ma soprattutto chi siede in Parlamento e chi s’intende anche minimamente di economia, dovrebbe aver chiaro che c’è soprattutto una cosa da fare con decisione: far decollare per davvero, purtroppo con settant’anni di ritardo rispetto all’intuizione dei padri dell’Europa comunitaria, un’integrazione degli Stati dell’Unione – o di almeno un nucleo trainante – che faccia perno su una comune politica estera e di difesa.
Un’opzione limpida e solida nella realtà internazionale multipolare di oggi, nella quale la politica e la cooperazione sono la prima difesa della pace, e con le armi non si fa la politica. Ci sono pochi e sensati passi da compiere nella nebbia armata di guerra e di morte che ancora grava sul mondo e ora dolorosamente sull’Europa. E non possono essere, vergognosamente, per entrarci ancora più a fondo. Ma per uscirne.
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Tano Pirrone
27 Marzo 2022 at 18:46
Il silenzio degli organi d’informazione (compresa la rete “papale” di Rai1), come risposta all’assordante appello di Papa Francesco contro la guerra, ha stupito le persone che ‘boccolone’ non sono e che pretendono di avere sempre un atteggiamento critico su ogni cosa; non il ‘no’ sempre e comunque o il ‘vaffa’ che lascia solo l’odore stantio della protesta, ma il tentativo costante di ragionare con la propria testa, di sollecitatore al ragionamento, al dialogo.
All’articolo di Marco Tarquinio di venerdì 25 marzo “La vera politica e la giusta difesa. Una vergogna, proprio così”, aggiungiamo quello a firma Alessia Guerrieri, sempre su Avvenire, ma di sabato 26 marzo 2022.
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Informazione. Papa Francesco grida contro le armi, ma i media (non tutti) lo snobbano
Alessia Guerrieri, sabato 26 marzo 2022
L’argomento in questo momento è scomodo e intralcia interessi economici e politici. Ma la condanna dell’incremento delle spese militari non è cosa da poco, mentre tanta gente soffre
Il messaggio rivolto ai potenti della terra è di quelli forti: è «una vergogna» e «una pazzia» pensare di aumentare la spesa per le armi, anziché adoperarsi per orientare verso la pacifica convivenza il sistema delle relazioni internazionali. Ma non tutti i mezzi di informazione hanno scelto di dare risalto alla notizia della condanna di papa Francesco al riarmo e all’incremento della spese militari. Perciò, quando c’è, il tema scivola oltre la metà dei tg o si limita a una breve su alcuni grandi quotidiani nazionali.
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La «vergogna» e la «pazzia» denunciate nell’udienza al Cif finiscono in una breve nei due principali quotidiani
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Sì, perché le parole pronunciate due giorni fa da papa Francesco ricevendo in udienza il Centro italiano femminile (Cif) sono state ignorate dalla testata ammiraglia della Rai e non compaiono perciò né nell’edizione delle 13.30 né in quella delle 20 del Tg1. Mentre ieri l’edizione delle 20 si è aperta dando ampio spazio a padre Antonio Spadaro per parlare proprio delle posizioni del Papa. In precedenza, sempre ieri, il segretario della commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai, Michele Anzaldi (Iv), aveva protestato per la scelta del telegiornale e chiesto conto di «un caso senza precedenti», perché «mai il tg di Rai1 aveva negato spazio addirittura al Santo Padre, per quanto le sue accuse possano apparire scomode».
Per tornare a giovedì, il Tg2 riporta la notizia come sesto servizio (al minuto 14) nell’edizione delle 13.00, servizio che scivola all’ottavo posto (e al minuto 20) nel tg serale delle 20.30. Quasi la stessa posizione – al settimo posto della scaletta – in cui compare nell’edizione delle 14.20 del Tg3 (minuto 11.56), scomparendo invece nell’edizione delle 19. Sul Tg5, al contrario, nell’edizione delle 13 l’appello a non aumentare la spesa per le armi è il terzo servizio (con inizio al minuto 6.30), mentre nel telegiornale delle 20 diventa una notizia “in vivo” oltre la metà della scaletta (al minuto 20).
Ma – ha accusato il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni – anche molti giornali stampati hanno «silenziato, oscurato, cancellato il grido di Papa Francesco». O comunque, in alcuni e significativi casi, hanno ampiamente ridimensionato la portata della notizia, a cui Avvenire ha dedicato l’apertura della prima pagina e l’editoriale del direttore. Il Corriere della Sera l’ha ridotta a una fotonotizia di tre righe a pagina 15. Va “meglio”, si fa per dire, su La Repubblica dove diventa una breve di poche righe con foto di Francesco durante l’udienza al Centro femminile che campeggia al centro della pagina 14.
Sceglie all’opposto di metterla in un primo piano a pagina 3 Il Fatto quotidiano, con un ampio pezzo d’apertura. Così come al monito papale viene dedicato un editoriale che parte dalla prima pagina e continua nell’approfondimento dedicato a pagina 6 sul Quotidiano Nazionale, in cui il discorso di Francesco sulle armi occupa praticamente tutto lo spazio della pagina. La Stampa ha scelto invece di inserirlo in apertura di pagina 17 (sotto la voce «Il dibattito») corredata da un grande foto del Pontefice.
Continuando nella carrellata della carta stampata di ieri, papa Bergoglio e il suo discorso contro le armi hanno uno spazio anche su Il Sole 24 ore, che gli riserva un richiamo in prima pagina e una lunga colonna a destra di pagina tre, all’interno di un primo piano sull’Ucraina. Libero ne fa un elemento del titolo di apertura del giornale, per tornarci poi nel primo piano interno a pagina 7 dove questo appello accorato ai potenti del mondo guadagna l’apertura di pagina. Il quotidiano romano Il Tempo fa la scelta di trattare la notizia in un ampio paragrafo all’interno di un pezzo più generale sulla crisi ucraina e le scelte del nostro governo per affrontarla (con annesso dibattito politico). Ben più drastica la linea tenuta dall’altro giornale di Roma, Il Messaggero, e da Il Giornale, che snobbano completamente la questione non ritenendola meritevole neppure di una riga nelle pagine interne.
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