segnalato da Sandro Russo
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Non è facile selezionare un’analisi, un articolo in particolare, tra i tanti che in questi giorni ci passano sotto gli occhi, sul tema della guerra in corso. Breve, ma denso e significativo e capace di aprire finestre su approfondimenti ulteriori.
Con questa scelta di uno scritto di Bernard-Henry Lévi ho pensato di fare un buon servizio ai nostri lettori.
S. R.
Caro amico russo ritrova la tua anima
di Bernard-Henri Lévy – da la Repubblica del 24 marzo 2022
La terra di Puskin e Gogol’ si deve risvegliare
Lettera da un intellettuale a un altro
Sono appena tornato da Odessa. In quella città così slava e così francofila, fondata da un governatore francese e da una zarina appassionata di filosofia; in quella città, nel fondo, così ucraina e al tempo stesso così russa dove, per una volta, il me scrittore si è sentito un po’ meno vicino al Malaparte di Kaputt che al Romain Gary di Educazione europea, non ho smesso di pensarti un solo istante, amico mio.
Penso a cosa starai pensando tu, in Russia, di questa deflagrazione di ferocia. Penso a quest’incubo in cui un nuovo zar, che da vent’anni non sa regnare se non facendo la guerra, ha fatto piombare gli ucraini, bombardati, massacrati, avvisati di annientamento; e, insieme a loro, seppur in minor misura, anche gli amici della libertà in Russia.
Penso ai tuoi figli, ai tuoi nipoti, ai loro cugini, a quella nuova generazione di “soldati Sc’vèik” a cui è stato raccontato che i cittadini del Donbass e di Kiev erano fratelli e che bisognava andare a liberarli dal nazismo e che laggiù sarebbero stati accolti a braccia aperte.
Penso a quei diecimila, forse dodicimila uomini dell’esercito russo che a causa della follia criminale di un solo uomo sono già morti, sprofondati nel fango nero e viscoso di Donetsk, dove in realtà li attendevano i franchi tiratori; rinchiusi nel loro carro armato finito pancia all’aria, come la carcassa di un animale, alle porte di una Mykolaiv indomita; oppure bruciati vivi nelle decine di aerei ed elicotteri da combattimento distrutti in volo dalle forze di difesa antiaerea di Odessa.
E penso a quel grande popolo che è il popolo russo, e penso a quella grande cultura che è la cultura russa, e penso a tutti quegli scrittori immensi che hanno contribuito a plasmare lo spirito dell’Europa e che, si chiamassero Puskin, Gogol’ o Isaak Babel’, non sapevano con esattezza se fossero russi o ucraini, e penso che tutto ciò, insieme alle sinfonie di Ciajkovskij, insieme a Le Sacre du Printemps di Stravinskij, insieme ai film di Dziga Vertov e di Tarkovskij ora rischia di essere spazzato via dalla bufera.
Alcuni, certo, si sono immersi in questo fiume di sangue in piena consapevolezza e con cognizione di causa.
Nel mondo d’oggi l’opinione pubblica russa avrebbe benissimo potuto informarsi, collegarsi ai social, capire che le si stava mentendo.
Se non l’ha fatto, se siete stati, tutto sommato, in pochi a scendere nelle piazze a San Pietroburgo e a Mosca, è perché serve coraggio e perché facendolo si rischiano le manganellate o il carcere; ma è anche perché l’opinione pubblica, nell’intimo, è d’accordo col padrone e, come ha spiegato in modo impeccabile la giovane regista Marina Stepanska, il lavaggio del cervello mescolato alla vigliaccheria l’ha portata ad accettare e forse persino a volere questa guerra imperialista e furibonda. Ma tu, amico mio, sai perfettamente di che cosa sto parlando.
Tu, amico russo, che sei stato perseguitato da quel Putin che, al modo di Goebbels, sfodera la pistola ogni volta che sente pronunciare la parola cultura, hai capito fino in fondo l’inqualificabile mostruosità che il padrone del Cremlino è riuscito a scatenare. L’hai capito come l’hanno capito il pianista Yevgueni Kissin, l’étoile Olga Smirnova, il regista Kirill Serebrennikov o Tugan Sochiev, direttore del Bolshoi, perseguitati anche loro.
Tu, amico di tante battaglie ai tempi in cui difendevamo i dissidenti sbattuti nei manicomi criminali e nei gulag; tu che mi hai fatto conoscere le opere di Solzenicyn, la lotta di Sacharov; tu che hai manifestato sulla Piazza Rossa insieme agli eroici Larisa Bogoraz, Natalia Gorbanevskaja, Viktor Fainberg; tu che, in seguito, hai pianto con me la giornalista Anna Politkovskaja, assassinata per aver osato raccontare la guerra in Cecenia; tu, tu hai capito che sono proprio queste cose, questi lasciti di coraggio e cultura, l’intera l’eredità di Dostoevskij, Cechov, Turgenev, Herzen a essere in gioco ora, ora che la Storia esce di controllo e precipita.
Il mio compatriota Albert Camus nel 1945, all’indomani dell’incubo nazista, scrisse alcune lettere a un “amico tedesco” reo di aver pensato che l’uomo non valeva “nulla” e che quindi si potesse “ucciderne l’anima” e che il solo destino degno di un erede di Goethe fosse “l’avventura della potenza” e “il realismo delle conquiste”.
Io invece so che tu, amico mio, al contrario di quell’amico tedesco, la pensi come Camus, come me, pensi che «l’uomo è quella forza che finisce sempre per scacciare i tiranni e gli idoli».
E credo che se da un lato la possibilità di uscire da questa guerra è nelle mani di chi difende Mariupol, Mykolaiv e Odessa, dall’altro è anche nelle vostre mani.
Dopotutto, nemmeno quando noi due eravamo giovani voi eravate più numerosi di adesso; sembravate appena una manciata, eppure eravate il sale della terra russa, il suo onore.
E, un giorno, vi siete destati; la terra tremava schiacciata dal basamento delle statue di sabbia degli ultimi dittatori sovietici, e voi eravate il popolo.
Voglia Iddio che ciò accada di nuovo con quell’uomo di finto marmo che è il tiranno Putin.
Fate in modo di essere sempre più numerosi, da Mosca a Vladivostok e persino sulle nuove Potëmkin che prendono di mira Odessa, a chiedere, come Victor Hugo: «Soldati russi, ridiventate uomini !»
[Da la Repubblica del 24 marzo 2022 – Traduzione di Monica Rita Bedana – Estratto dal Longform di Repubblica dal titolo “Il mese che ha cambiato il mondo”, di Aa. Vv. coordinati da Maurizio Molinari]
Immagine di copertina. Da la Repubblica (foto di Anatolii Stepanov / AFP)
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Appendice del 25 marzo 2022 (cfr. commento postato da Sandro Russo)
Tahar Ben Jelloun par Claude Truong Ngoc. Sept 2013 (da Wikipedia)
L’articolo in file .pdf: L’errore siriano di Obama. Di Tahar Ben Jelloun
Sandro Russo
25 Marzo 2022 at 09:28
Con la stessa premessa dell’articolo di Bernard-Henry Lévy, per quanto totalmente su un altro aspetto – breve, ma denso e significativo e capace di aprire finestre su approfondimenti ulteriori – questa analisi sulla guerra in corso proposta in formato .pdf in fondo all’articolo di base. Di Tahar Ben Jelloun (Fès, Marocco), 1944), scrittore, poeta e saggista marocchino, principalmente noto per i suoi scritti sull’immigrazione e il razzismo.
Tano Pirrone
25 Marzo 2022 at 09:33
Le cavalcate letterarie dell’ipercentrista Bernard-Henry Levy, non sono prive di scivoloni (vedi: Dal mio divano, all’alba. Riflessioni di un bastian contrario del 14 u.s.). L’uso dei suoi scritti dovrebbe essere prudentemente pesato, perché ogni parola è una pietra in questo clima fin troppo surriscaldato in cui sembra esistere un solo pensiero (o pensiero unico): la caduta verticale nel pozzo del cattivo gusto è comune a tanti che hanno bene o male meritato la mia fiducia: fra essi il superbanchiere Draghi e il Letta che ha perso il posto di Segretario generale della Nato per colpa dei venti di guerra, evento che gli ha fatto mettere l’elmetto, suscitando l’ilarità di Buster Keaton, buonanima, insuperato attore tragicomico, protagonista del capolavoro Come vinsi la guerra, 1926. Chiedo a tutti di essere equilibrati, di rappresentare le forze, minoritarie ma non trascurabili, da chi insiste ogni giorno sulla indispensabilità della negoziazione seria, della cessazione dei rifornimenti militari, della sciocchezza autolesionista dell’aumento del budget delle spese militari. Cerchiamo di non essere imprudenti, ognuno di noi ha una responsabilità: ricordate tutto quello che da decenni ci viene propinato come verità inconfutabile e che alla resa dei conti, spianato il Paese bersaglio del momento, viene avvolto da nebbie demistificatorie destinate a nascondere le vecchie verità.
Sandro Russo
25 Marzo 2022 at 10:01
A Tano, con il quale sulla questione della guerra in corso sono in fiera opposizione, ricordo:
a) che qui Bernard-Henri Lèvy sta parlando degli intellettuali e della grande cultura russa, da preservare dal gran calderone della russofobia dilagante;
b) che Putin sia un tiranno non ci piove, e non serviva la guerra a farlo scoprire; basterebbero gli omicidi , i tentati omicidi e le incarcerazioni perpetrati dal suo regime come pure i genocidi di cui in modo molto equilibrato riferisce Tahar Ben Jalloun (nello stesso articolo);
c) volevo risparmiarglielo, ma proprio perché so che gli sta antipatica, gli propino il punto di vista – umanistico, di buon senso comune -, espresso da Concita De Gregorio su la Repubblica di ieri, 24/3/2022.
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Commenti – Invece Concita
L’oziosità nociva delle discussioni per vincere solo nel ping pong
E allora gli altri e allora io
di Concita De Gregorio
Ammettiamo che ci sia qualcosa da discutere, quando un Paese rade al suolo le città di un altro.
Ammettiamo che di fronte alla scomparsa di Mariupol dalla carta geografica, avvenuta sotto i nostri occhi, si possa affacciare un pensiero diverso da: io, concretamente, cosa posso fare? È l’unica domanda che mi viene in mente ogni minuto. Dato che non posso essere lì a testimoniare, a impedire che le persone muoiano senza avere altra colpa che essere nate in quel luogo: in che altro modo posso dare senso alla mia esistenza di essere umano contemporaneo a quelle vittime?
Non intendo dire con questo che le discussioni siano (tutte) oziose. Servono, quando tendono e portano a un risultato concreto: capire qualcosa di incompreso, trovare una strada. Non servono altro che a se stesse, invece, e alla vanità di chi le incarna, quando l’unico loro scopo è quello di vincere a ping pong nel tempo stretto di un dibattito. Cosa vince, esattamente, chi vince? Fa un brindisi a se stesso e va a letto soddisfatto?
La retorica della discussione dominante, desolante, è nella formula “e allora?”. Ieri accennavo alla condanna di Navalny. Un sopruso manifesto. Le reazioni, direi tutte, sono state: e allora Assange? Io questa logica non la capisco. Non capisco chi dice: Putin? E allora il Vietnam, la Crimea, l’Iraq. Meno ancora, davvero sono al buio, capisco chi dice: e allora il Green Pass? Ma cosa c’entra. Cosa c’entra il Covid con il delirio di onnipotenza di Putin. E anche ammesso che si possa convenire che sì, l’America la Nato l’Europa la Germania il mio prozio abbiano avuto torto, quella volta: in che modo questo mi esenta dal chiedermi come posso io aiutare chi ha bisogno, ora. Non lo capisco.
vincenzo
25 Marzo 2022 at 11:24
La Concita dice cosa c’entra il “cavolo a merenda”. Ci dice: stiamo all’ordine del giorno. Oggi non si discute di terrorismo, oggi non si discute di green pass, oggi si discute di Putin il dittatore.
Ma guarda che Putin oggi lo vediamo dittatore ieri era quello che andava nei salotti buoni occidentali e mandava in Italia aerei carichi di medicine e medici.
“Che significa, non distrarmi la classe, stai al tema. Putin oggi è il dittatore!”
“Non esiste nulla se non attraverso la consapevolezza umana”.
“Ma io vorrei argomentare signora professoressa”.
“Non c’è niente da argomentare, niente da capire solo ubbidire. Ma proprio perché vuoi usare ancora, per un attimo il pensiero, ascoltami:
Il potere non è un mezzo ma un fine. Non istituisci una dittatura per proteggere una rivoluzione: semmai fai una rivoluzione per istituire una dittatura. L’obiettivo della persecuzione è la persecuzione. L’obiettivo della tortura è la tortura come l’obiettivo del potere è il potere. Hai capito? Bene se hai capito ora svolgi il tema: Putin il dittatore e stai nella traccia”.