di Francesco De Luca
Come si fa ad attribuire valore alla vita quotidiana? E’ impresa che non si tenta nemmeno. Quando scorre, la vita viene aggredita, viene divorata. Non gustata. Maggiore è il sapore se si ha la fortuna di allontanarsi dalle pressioni e, con gli anni addosso, vederne il decorso, al modo che lo scorrere dell’acqua.
E’ attraente quel fluire degli eventi, che si offre alla valutazione. Non tutto è esemplare, il grosso per lo più è usuale. Il deplorevole viene rimosso o taciuto o reso ininfluente. Ne risalta l’unicità.
Il dramma è che questa unicità bisogna parteciparla a tutti gli altri. Tutti unici, in diversa maniera, ma tutti possessori della stessa dote.
E’ un paradosso, e infatti è difficile mettere in pratica questa verità. La attribuiamo a noi, nel chiuso del nostro intimo e, troppo presi da ciò, tralasciamo di estenderla agli altri.
Ha un aspetto cascante a causa degli anni. Si nota perché l’ altezza oggi lo mostra ingobbito. Anche la vista ha ceduto e porta spessi occhiali. Nonostante ciò Ninotto si ostina ancora ad andare a pesca col suo gozzo. Lo comprò non appena andato in pensione. Il tradizionale gozzo ponzese con motore e vela latina.
La pesca l’ha sempre praticata ma nei ritagli di tempo che gli concedeva il lavoro. Quale? Il marinaio sulla nave postale Ponza-Napoli. Lì divenne nostromo perché le sue qualità furono rilevate e apprezzate. Quali qualità? La prudenza anzitutto pecché pe mare nce stanno taverne (in mare non ci sono rifugi), e poi l’accortezza. Per la nave e per i passeggeri. Socievole coi compagni, fidato. Di lui ci si poteva fidare, soprattutto quando il mare tentava coi suoi moti di impedire alla nave di raggiungere l’isola. Il comandante gli affidava il timone perché aveva visto come Ninotto sapesse intrattenersi col mare e la sua collera, e trovasse il modo di zigzagare fra le onde, evitando quelle perigliose, incuneandosi fra i cavalloni al fine di ottenere un tragitto meno sofferto.
La sola sua presenza dava sicurezza. La percepivano i compagni d’equipaggio e i compaesani passeggeri.
Il mare e la pesca. Perché dal mare cercava di trarre un supporto alla stipendio. Aveva due figli che voleva studiassero. Fuori dall’isola. In inverno dava una mano nella pesca a rotondi, a calamari, in estate aiutava chi si allontanava nella pesca a pezzogne. Attendendo di poter disporre di un mezzo tutto suo. Che ha infine acquistato con la liquidazione.
In questa dimensione Ninotto intesse col mare un rapporto che è di intesa, di attesa, di resa. I figli sono grandi e autonomi, nessuna pressione economica lo spinge. Uno solo è il pensiero che può dargli ansia: il suo gozzo. Senza, si sentirebbe privo dell’appiglio a contrastare la tensione che la vita gli urge.
La moglie Clotina ha cercato, e in vecchiaia ancor di più, di spingerlo verso le pratiche religiose. In chiesa trova qualcuno della sua generazione e fra un’ave maria e un padre nostro passa un po’ di tempo. Eppoi in chiesa si sta al riparo e in una condizione di serenità d’animo. Ma Ninotto non si fa modellare. Sia chiaro, nessun contrasto né con Cristo né coi Santi ma il rosario lo annoia e così pure quell’alzarsi e sedersi a comando. Il vecchio in cerca di un salvacondotto per il paradiso non è una figura che ama. Non è da lui, che deve trafficare, deve avere in mano sempre qualcosa da tirare o da slacciare o da legare. L’immobilità richiesta dalle funzioni in chiesa lo irrita invece di placarlo.
E ritorna al mare. Che lo tiene in tensione anche quando la calma invita ad andare sempre avanti. Oltre il faro della Guardia, oltre Palmarola, oltre la Botte. Verso l’infinito. La prua fende la superficie, scivola senza mèta. O no, la mèta è quella secca a tre quarti d’ora da Palmarola, col faro del Circeo appena aperto.
La conosce bene ma stamane l’aria è così invitante che lo distoglie. Conviene fermarsi, così da mettere un freno ai pensieri.
L’estate è nella sua pienezza. Il sole sta salendo nel cielo e le acque sembrano ipnotizzate a guardarne l’ascesa. Il gozzo di Ninotto è un puntino nello spazio senza confini.
Cosa ci fa lì? Nemmeno lui lo sa. E avverte il pericolo di quella condizione assoluta. Ha oltrepassato i settant’anni e quella solitudine gli può essere fatale.
Punta la prua su Palmarola. In estate è trafficata da molti natanti. La pesca l’ha dimenticata e si gode l’aria che gli carezza il viso. Assapora l’assoluta libertà.
Dissimile è la sensazione quando il moto del mare contrasta l’andare del gozzo
Non c’è modo di fermarlo. Ninotto esce per tirare la rete calata ieri pomeriggio. Le previsioni le aveva viste e aveva valutato che non c’era da impensierirsi: l’indomani sarebbe stato possibile recuperarla. Eppoi, la pesca è più abbondante quando il mare friccica un po’. Con la bonaccia nun se piglia niente.
Purtroppo le previsioni non sono state precise e il mare s’è alzato. “Addò vaie, lascia sta’ “– lo consigliano gli amici alla banchina, ma Ninotto sembra ritornare il marinaio d’un tempo, quello che vede, valuta e tira dritto.
Esce dal porto baldanzoso, ma deve recarsi sotto Zannone e il maestrale già alle scuglietelle fa sentire la sua forza. Ninotto confida di eseguire l’opera di recupero della rete prima che rinforzi. Punta deciso su Zannone.
Il mare lo contrasta sul fianco sinistro e la prua del gozzo talvolta subisce il colpo e talvolta lo punta e lo spezza. In una lite senza tregua. Il vento raffica a sprazzi, si prepara a dominare da signore incontrastato.
Ninotto sembra esaltarsi a quell’arrembaggio di spruzzi, ventate, sobbalzi, rantoli. Il gozzo patisce ma ubbidisce alla mano del timoniere che dialoga animoso con le onde.
E’ la sua vita, questa è la vita che ha scelto.
“Uagliù – dice ai figli – quanno me ne so gghiuto vennite u vuzzo. Nun è pe vuie. Chillo vò sparpetià c’ u mare e vuie site uommene ‘i terra. N’u facite nfracedà! Vennitelo a nu piscatore” ( Quando muoio vendete il gozzo. Non è adatto a voi. Vuole il mare e voi siete uomini di terra. Non fatelo infradiciare a terra. Vendetelo a un pescatore ).
Fu il suo testamento. Fedelmente realizzato. Ancora oggi, fra le barche da pesca mantiene la sua fama il gozzo di Ninotto: “La padrona delle onde”.
NdR: tutte le foto a corredo dell’articolo sono di Rossano Di Loreto