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Infiltrazioni mafiose sul litorale e a Ponza

segnalato dalla Redazione

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A trent’anni da Tangentopoli, quando gli italiani indignati applaudirono alla caduta di politici corrotti e sembrava di vivere in un paese che aspirava alla correttezza morale dei politici come specchio della correttezza dei cittadini, la situazione è diventata ben più grave.
Viene da pensare che non fosse del tutto sincera quella furia morale, perché subito dopo è iniziato l’abbassamento dell’asticella. Nel corso di questi tre decenni ci siamo assuefatti alle infiltrazioni della malavita nelle amministrazioni comunali, provinciali e regionali e non ci scandalizziamo più di tanto perfino alle notizie di infiltrazioni di quella organizzata.
L’articolo che riportiamo ci parla di eventuali infiltrazioni anche per i lavori al depuratore di Ponza.

Riprendiamo integralmente “in chiaro” l’articolo a firma Bernardo Bossoli comparso ieri su latinatu.it, a questo link:
https://latinatu.it/la-ndrina-e-i-rapporti-con-la-politica-di-anzio-e-nettuno-le-mire-sugli-appalti-tra-cui-il-depuratore-di-ponza/

La ’ndrina e i rapporti con la politica di Anzio e Nettuno. Le mire sugli appalti tra cui il depuratore di Ponza
di Bernardo Bassoli – del 17 febbraio 2022

I rapporti della ’ndrina trapiantata sul litorale con gli esponenti politici di Anzio e Nettuno: da Madaffari a Gallace
E sì che Giacomo Madaffari, l’uomo ritenuto a capo della locale di ‘ndrangheta tra Anzio e Nettuno, è delineato come un uomo talmente rispettato negli ambienti criminali da essere consultato e interpellato quando sul territorio ci sono diatribe da risolvere.

Tra i tanti episodi citati ce ne è uno di particolare rilevanza. È quando a rivolgersi a lui è un uomo di origine siciliana, già arrestato nel 1994 per favoreggiamento e in rapporti con due pezzi da novanta del crimine italiano: Giuseppe Graviano Filippo Graviano, gli autori delle stragi che misero a ferro e fuoco il Belpaese agli inizi degli anni Novanta. Il siciliano si sarebbe rivolto a Madaffari per dirimere una storiaccia sfociata in un’aggressione.

Il capo della ’ndrina, peraltro, sarebbe intervenuto anche in un contrasto sorto tra Mario Tedesco, 31enne di Soverato, appartenente all’omonima famiglia, ritenuta storica nel mondo della ’ndrangheta (coinvolto nell’operazione odierna) e il clan Di Silvio/Spada di stanza al Quartiere Europa di Anzio. Una caso di “diplomazia” non facile in quanto Tedesco avrebbe rapinato, armato, un componente del sodalizio rom.

Insomma, a fronte di un quadro di così alto spessore criminale, tra una ’ndrina imperversante sul territorio, l’altro gruppo di riferimento ai Gallace, e rapporti criminali di ogni genere e tipo (dalla droga ai rifiuti fino agli interessi sugli appalti pubblici), il sindaco di Anzio Candido De Angelis, nel 2019, invitato dalla Commissione regionale Antimafia, ritenne di non doversi presentare.

Appena giunta la notizia dell’operazione, stamani, il Sindaco della Lega ha rilasciato un comunicato in cui ha sostenuto che “l’Amministrazione Comunale della Città di Anzio è serena rispetto alla correttezza del proprio operato, ha collaborato ampiamente per la riuscita delle operazioni svolte, in un clima di massima disponibilità, da parte del sottoscritto, del Segretario Generale e di tutti gli Uffici dell’Ente. Confidiamo nel lavoro della Magistratura, nell’assoluta consapevolezza di aver sempre esercitato liberamente il mandato elettorale conferito dai cittadini”.

E tra una serenità e una fiducia nella magistratura, emerge però un problema non di poco conto. Nelle carte dell’indagine, infatti, la politica di Anzio e Nettuno ne esce a pezzi. Viene descritto un fenomeno di inserimento negli enti locali comunali, concretizzato, secondo la DDA e i Carabinieri, nel sostegno elettorale offerto dall’altro capo famiglia Bruno Gallace e da Davide Perronace (appartenente all’omonima famiglia delineata come storica nel mondo della ’ndrangheta di Guardavalle). A tenere banco sarebbero i rapporti con il Sindaco di Anzio De Angelis e diversi consiglieri comunali tra i quali Giuseppe Ranucci detto nelle intercettazioni “Pino il Lombetto”, Gualtiero Di Carlo e Aristodemo Lauri.

Al centro vi sarebbe il sostegno elettorale che si è concentrato in località “Falasche”, alle sezioni 15-16-17 del comune di Anzio. Il Giudice per le indagini preliminari Livio Sabatini lumeggia nell’ordinanza che il giorno dopo la vittoria di De Angelis, non indagato, vengono captate “tre conversazioni di eccezionale valore probatorio rivelatrici del sostegno offerto dalle famiglie calabresi in favore di De Angelis” e delle liste di centrodestra a lui collegate (il primo cittadino che fu eletto nel 2018 era appoggiato da Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Unione Centro, una civica e Il Popolo della Famiglia). “Ha sbancato proprio su tutti“, esultano i sostenitori calabri. “Io so qui alle Falasche ancora. Da ieri che sto qua, stiamo spogliando l’ultimo seggio…”; “Candido è il sindaco, ha vinto e basta!”.

Peraltro, come ricorda nell’ordinanza il Gip Sabatini, l’ex campione di pallanuoto, ex Senatore della Repubblica e imprenditore ittico De Angelis, secondo il collaboratore di giustizia Fabio Moriello, sarebbe stato eletto già nel 2003 (anno della seconda vittoria dopo la vittoria del 1998 come primo cittadino di Anzio) con il sostegno dei Gallace, ossia la cosca di ’ndrangheta oggetto dell’odierna indagine e di altri processi del passato che hanno costituito un pezzo di storia giudiziaria del crimine organizzato del Lazio.

Ancor più inquietante un passaggio riportato nell’ordinanza nel momento in cui viene descritto del sostengono elettorale che Davide Perronace avrebbe offerto al Sindaco di Anzio Candido De Angelis e all’assessore Ranucci. Perronace – così come è delineato dagli inquirenti – dice che De Angelis ha contattato svariate volte il figlio Gabriele Perronace: “Candido avrà chiamato venti volte…a Gabriele… solo che questo va a lavora’… quando c’aveva tempo Gabriele che andava là e non lo trovava…”. E ancora: “Gabriele che cazzo ti devo di’” – si dicono tra di loro i Perronace riferendosi a come avrebbe interloquito De Angelis – !No che gli devo manda’ a tuo padre?… A disposizione pigliati quello che ti pare…A me guarda guarda sono a disposizione… poi venisse chi cazzo gli pare a dirmi che… gli ho dato una mano e che l’ho appoggiato che poi… lo so io come rispondere”.

Sono tanti, d’altronde, i rapporti emersi dalla corposa ordinanza del Gip di Roma. C’è ad esempio quello tra Ranucci, diventato assessore ai lavori pubblici, con Bruno Gallace in persona (per la DDA è il capo di uno dei due sodalizi sgominati oggi) che gli chiede di trovare uno sponsor sportivo per il figlio; oppure il gradimento del braccio destro del capo della ’ndrina di Anzio/Nettuno, Giacomo Madaffari, Gregorio Spanò, nei confronti dello stesso Ranucci e del vice sindaco di Anzio Danilo Fontana.

Le telecamere dei Carabinieri hanno immortalato anche qualche incontro tra politici, nessuno dei quai è indagato, e gli esponenti ritenuti appartenenti alla locale di ’ndrangheta. Ce ne è uno che si svolge nel 2020, nella sede della G&G Servizi di Anzio (oggi sequestrata) di proprietà dei Perronace, tra Ranucci, Di Carlo e i Gallace (Vincenzo e Rocco).

Non vanno meglio le cose, peraltro, al Comune di Nettuno, dove le cosche, secondo il Gip, hanno cercato di orientare le elezioni del 2019, una circostanza nella quale “emerge la contiguità” di alcuni dei principali indagati “con vari esponenti politici” di Nettuno. In occasione delle elezioni comunali uno degli affiliati si era “attivato per convogliare i voti” su uno dei consiglieri eletti nella lista del sindaco Alessandro Coppola (non indagato). In una conversazione Giacomo Madaffari, ritenuto capo di una delle due organizzazioni, “rivendicava la sua amicizia con il sindaco di Nettuno Coppola e manifestava il rischio che sarebbe disceso dall’accostamento della sua persona a quella di Coppola”, scrive il gip rimandando a un’intercettazione: “Ci arrestano… e… cacciano pure Coppola”.

Epperò non si tratterebbe solo di sostegno elettorale fine a se stesso. Il Giudice per le indagini preliminari, pur non ritenendo sufficienti alcune conversazioni così da dimostrare l’attuazione di progetti imprenditoriali, annota di come Davide Perronace, arrestato oggi, provi a penetrare il tessuto economico e politico di Anzio anche cercando di ottenere appalti col metodo mafioso.

Secondo gli investigatori, Perronace aveva mire, probabilmente per un subappalto, nei confronti dei porti di Anzio e Ponza: una circostanza prospettatagli da un certo Fabio, collegato al vice sindaco Danilo Fontana e al consigliere comunale Angelo Mercuri. L’appalto si riferisce al depuratore che Acqualatina voleva realizzare a Ponza (ndr: Anzio è parte dell’Ato4, pertanto ha voce in capitolo tra i Comuni). A esplicitarlo è proprio Davide Perronace che in una conversazione captata con un uomo spunta persino fuori, indirettamente, il nome di Angelo Ferullo descritto come “quello che si doveva comprare il Latina”, riferendosi al Latina Calcio che l’allora deputato di Fratelli d’Italia Pasquale Maietta voleva vendere a una cordata di imprenditori di Anzio. Un proposito evaporato nel nulla come, al contrario, questa inchiesta non sembra promettere per la politica tra Anzio e Nettuno la quale, nonostante non abbia esponenti indagati ne esce, come si accennava all’inizio, completamente a pezzi.

Secondo quanto riporta Agenzia Nova, la prefettura di Roma starebbe valutando l’ipotesi di nominare una commissione d’indagine per le infiltrazioni malavitose, emerse nel corso dell’indagine condotta dalla Dda di Roma, nelle amministrazioni comunali di Anzio e Nettuno. Secondo quanto appreso da Agenzia Nova, il prefetto Matteo Piantedosi, deciderà nelle prossime ore su cosa fare per fronteggiare la situazione complessa come quella che emerge dalle carte del fascicolo d’inchiesta trasmesso dalla magistratura Capitolina a Palazzo Valentini.

Immagine di copertina. Comune di Anzio (da latinatu.it)

1 Comment

1 Comments

  1. Sandro Russo propone Michele Serra

    18 Febbraio 2022 at 18:42

    Molto in tema con l’introduzione che precede questo articolo da latinatu.it sulle infiltrazioni criminali sul Litorale e a Ponza, è questa “Amaca” di Michele Serra, da la Repubblica di oggi, che evidenzia come il peggio non sia mai morto e come, con il senno di poi, i condannati dei tempi di Mani Pulite abbiano ora un’aura di gentiluomini.

    La Repubblica 18/2/2022 – COMMENTI
    L’amaca
    L’intelligenza dopo la tempesta
    di Michele Serra

    Ho commesso “errori di sistema”, ma quegli errori portano “la mia firma individuale. Dunque ne porto il peso”. Così Sergio Cusani su Tangentopoli, a conferma del fatto che l’intelligenza è il solo bene che ci rimane, dopo qualunque tempesta.
    Cusani non considera un alibi il “così fan tutti”. Fu il grande errore di Craxi, il cui discorso in Parlamento sarebbe stato quasi perfetto se avesse aggiunto, in coda alla sua chiamata a correo dei presenti, che nessun “errore di sistema” può esentare i singoli dalle proprie responsabilità. Sono le persone che commettono reati, non “il sistema”. Cusani ha reso la sua testimonianza in un incontro pubblico a Palazzo di Giustizia, trent’anni dopo. Stando alle cronache, quell’incontro è rimasto un paio di spanne al di sopra della perdurante gazzarra a proposito della giustizia, che rischia di avere ulteriori puntate referendarie. Partecipava all’incontro anche Gherardo Colombo, il più riflessivo e capace di ascolto, mi permetto di dire, del pool di Mani Pulite, che ebbe ai tempi una popolarità clamorosa, superiore a qualunque serie televisiva dei tempi presenti. D’Ambrosio, Colombo, Davigo, Di Pietro, furono più dei Fantastici Quattro.
    Viene da dire, abbandonandosi all’utopia, che se ogni imputato fosse Cusani, e ogni inquirente fosse Colombo, il mondo sarebbe migliore. Non senza colpa e non senza dolore, ma almeno in grado di chinarsi sulla colpa e sul dolore senza spocchia e ferocia. Conobbi Sergio Cusani tanti anni fa, ai domiciliari, era l’imputato-star di Tangentopoli. Mi sembrò una persona notevole, ma ero accecato dai miei pregiudizi, che mi impedivano di vedere in un colpevole un uomo stimabile. Non glielo dissi allora, glielo dico adesso, trent’anni dopo.

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