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Zio Aniello con l’inseparabile Cardogna è andato giù nelle grotte sottostanti ’a curteglia (l’aia). In ognuno di queste vivono: la pecora, l’asino, i conigli e ’u puorc’. Le galline invece razzolano in ambiente separato un poco più distante.
Oggi zio Aniello non esce con la pecora. Forse per il freddo o forse non ne ha voglia. Lui, cu’ i zampitti (le cioce) ai piedi, la porta ’ncopp’a Trebbiente (su a Tre Venti). Gli fa compagnia Cardogna.
Raramente mi aggrego, sia perché lui si avvia molto prima dell’alba, sia perché abito distante. Qualche volta succede.
Ci avviamo imboccando la strada sterrata de i Petruni. Mi fa notare alcune piante e gli piace parlare, tanto parlare e soprattutto ridere. Lo seguo nei suoi discorsi anche se non sempre riesco ad afferrare ciò che dice. È la vecchia strada che porta alle Forna, prima che si costruisse, negli anni ’20, la via Nuova, provinciale, quella asfaltata dove oggi transitano tutti.
I fornesi o i ponzesi passavano di là dopo aver imboccato la strada verso i Conti: a Santa Maria in via Staglio. Passando o p’u ruttone e piegando subito a sinistra oppure meglio ancora pe’ ’ncopp’u ruttone. Questa incrocia gli scalini che portano sopra Giancos e di là un vecchio sentiero che porta alla cappella (in ogni crocevia vi era una cappella votiva); sopra Sant’Antonio da dove si era obbligati a scendere per indirizzarsi prima verso ‘a Padura, Chiaia di Luna e di là al Porto quando Sant’Antonio e forse anche Giancos, agli inizi del secolo scorso, erano tutta spiaggia e tutto mare.
La strada per i Conti era tutta sterrata con qualche chiazza di cemento qua e là. Lungo di essa ad un bivio che porta a Cape Ianche (capo Bianco) vi è, ancora una volta, una cappella votiva. Poi, all’incrocio dove passa ’u lav’ incomincia la salita su su per i Conti. Si va a sinistra e si fa un tratto di salita quasi sempre all’ombra, poi una prima curva che piega a destra, una seconda che piega a sinistra ed una terza di nuovo a destra. È lastricata con pietre, forse porfido. Salendo, sulla destra, dove si affacciano le case, scorre quasi costantemente acqua sporca. L’aria è satura di odori provenienti dalle stalle sottostanti le case e dagli escrementi degli animali che sostano qua e là sulla strada. Si distinguono nelle varie tipologie e si deve stare attenti dove mettere i piedi. Ovviamente non esiste, là come altrove, il sacchetto per la loro raccolta. Durante l’estate nuvole di mosche ronzano attorno ad alcune di esse e vi si poggiano. Disturbate, si alzano in volo per poi andarsi di nuovo a posarsi là da dove si erano alzate. Alcune però, forse più curiose delle altre, vanno a far visita alle gambe di chi aveva osato disturbarle. Verso l’autunno, forse avvertendo l’affievolirsi del calore dei raggi del sole, esse diventano aggressive, pizzicano e non danno tregua. Durante la stagione piovosa la strada è tutto un liquame. Questi odori forti si vanno a mescolare con quelli che provengono dai campi in base alle stagioni. Ma il naso è avvezzo, anzi è il tempo in cui si usa più il naso che gli occhi! Nulla è asettico e scintillante!
Dopo la terza curva appare lassù in alto sulla sinistra la casa di nonna.
È solitaria rispetto alle altre abitazioni che invece stanno sulla destra e si affacciano da una parte verso questa strada, dall’altro versante degradano giù verso il dolce pendio che porta a Santa Maria. Forse ad indicare la provenienza dei primi coloni che andarono ad abitare lassù: i Mazzella, infatti, a cui appartiene nonna ed i Conte, a cui appartiene mio nonno materno, furono tra i primi colonizzatori dell’isola e presero possesso di Santa Maria.
La casa è bianca da una parte e celeste dall’altra. Fu costruita agli inizi del ’900 con le rimesse di mio nonno che, come tanti, era emigrato negli U.S.A. e che hanno tanto contribuito, in quegli anni, anche al benessere del nostro Bel Paese.
Quale segno di modernità aveva il… bagno che consisteva in un ambiente, separato, sull’aia, dall’abitazione principale, in cui vi era un buco in mezzo ad un sedile di cemento che metteva direttamente in comunicazione con una grotta sottostante dove vi era sempre riposta tanta paglia. Questa veniva utilizzata, insieme agli altri escrementi degli animali, quale concime naturale (oggi diremmo biologico). E’ una casa bifamiliare. La costruirono i due fratelli: Raffaele e Simone Conte. Vi andarono ad abitare con le rispettive mogli e figli: Tummetella (Domitilla) e Civitella. La seconda era madre dei “quattro fratelli”. In quei tempi, non era raro il matrimonio tra consanguinei, così ci si sposava tra cugini anche di primo grado non senza aver pagato l’obolo alla chiesa. Pertanto zia Marietta e zia Sabettina erano andate spose a cugini. Rispettivamente a zio Costantino e zio Michele (che in realtà si chiamava Giovanni). Solo mia madre era uscita fuori dal seminato.
Le proprietà si dividevano in modo, diciamo, ‘omogeneo’ in base al rendimento del terreno. Si destinava ma solo ai figli maschi una porzione di catena di terra un po’ qua e un po’ là. Questo perché la terra non produce ovunque alla stessa maniera. Ci sono, infatti, catene più esposte al sole ed altre poste più in ombra. Ad esempio quelle del Ciglio e del Pagliaro sono baciate dal sole fin dal primo mattino, mentre quelle dei Petruni rimangono quasi costantemente in ombra.
Dunque chi andava o veniva dalle Forna doveva passare dai Conti, tramite i Petruni oppure passare sulle Prunelle per poi scendere a Santa Maria passando nei pressi della curva della Via Nuova detta di Frontone. Oppure scendere ancora dalle Prunelle, passare nei pressi del pantano “delle ranocchie”, imboccare un po’ più a valle, un sentiero che portava ai Conti (io e mio cugino Giuseppe lo imboccavano qualche volta nelle nostre forzate passeggiate domenicali costretti dagli adulti: mamma, papà, zia Marietta e Giovanna) e di là avviarsi o verso la spiaggia di Santa Maria costeggiando ’u lav oppure andare al Porto per la strada descritta in precedenza.
Sicuramente quelle strade non erano molto comode rispetto a quelle odierne, anzi tutt’altro; ma in compenso quegli abitanti avevano più alternative rispetto a oggi perché, a causa dei mezzi di locomozione, succede che per raggiungere la meta si è costretti a percorrere tutti la medesima strada. Specialmente in ambienti ristretti come nell’isola. La comodità del mezzo, a volte, inibisce la scelta e di conseguenza la libertà di movimento e non solo!
Dopo la curva ci vuole un altro bel tratto di salita che ad un certo punto piega leggermente a sinistra, che io speditamente percorro tenendo sempre d’occhio la casa di nonna, quasi dovesse sparire. Se è estate, il sudore comincia a colare per cui, non appena arrivato, dopo aver salutato quelli che stanno in casa, mi avvio verso il pozzo. Tiro su con la carrucola il secchio leggero anche se colmo d’acqua e vi affondo il viso. L’acqua è tenera sempre fresca ed inebriante. Lunghi ed avidi sorsi.
La domenica da nonna non vado quasi mai volentieri perché preferisco stare con gli amici a Sant’Antonio; veramente preferirei andare da cumpa’ Barbètt’ con la speranza che mi faccia entrare in sala a uocchi’a uocchie, per assistere al film del momento.
Il Cinema Margherita (leggi qui per la testimonianza di un periodo di poco successivo))
[La via vecchia. (2) – Continua qui]