proposta da Sandro Russo
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Nel 2010 Michele Mari ha pubblicato un libro abbastanza strano, per il titolo e per il tema. Racconta dal di dentro la storia dei Pink Floyd: gli inizi, l’evoluzione, il successo planetario; con un approfondimento sui caratteri dei vari membri del gruppo – incluso (soprattutto) Syd Barrett – attraverso le testimonianze di quanti a vario titolo hanno ruotato intorno alla band.
In sovracoperta (del libro) e in copertina del presente articolo: foto Glen Wexler / Gallerystock
Michele Mari (leggi qui) è quello di Verderame e di Cicoria matta, ovvero “Come fu che Giovannino scoprì il sesso“: (leggi qui). Letto una volta, riconosciuto affine e accettato per sempre.
Questo quanto si legge sul retro del libro:
«Syd è impazzito perché era sempre un passo più avanti, e non essere mai in sintonia con gli altri fa di te un naufrago su uno scoglio, o un astronauta perso nello spazio… Qualsiasi cosa facesse o pensasse era sempre all’avanguardia, sempre: a un certo punto si trovò così in là che intorno a lui non c’era più nulla, e in quel vuoto precipitò».
«Un romanzo impetuoso e visionario, un viaggio interstellare nella nebulosa dei Pink Floyd. Un tavolo degli imputati intorno al quale sono chiamati a testimoniare vivi e morti, dèi del rock e creature fantastiche, in un vertiginoso coro di voci sull’orlo dell’abisso».
Syd Barrett, come è delineato nel libro attraverso una molteplicità di testimonianze, persone informate dei fatti tra cui soprattutto i quattro compagni, Waters, Gilmour, Mason e Wright – è sicuramente un genio, forse con una schizofrenia latente portata alla superficie da un uso sconsiderato di droghe psicotrope. Ma nessun membro di una band è stato amato tanto dai suoi ex-colleghi; tra di essi Roger (Waters) era suo amico d’infanzia e di giochi e David (Gilmour) compagno di scuola in anni successivi. Nessuno ha avuto come Syd omaggi musicali come Brain damage o High hopes o dell’intensità di Shine on you crazy diamond (del 1974) poi inserita poi nel concept album del 1975 ‘Wish You Were Here’ (dove la persona che si desiderava fosse lì è appunto Syd).
Nel suo libro, Mari a volte inclina perfino verso l’esoterismo – la storia delle colline Gog Magog (Gog Magog Hills, nei dintorni di Cambridge – come se una corrente sotterranea, un filo soprannaturale continuasse ad unire il ‘diamante pazzo’ al gruppo che aveva fatto nascere.
I Pink Floyd li conosciamo tutti… Sono stati credo, il complesso musicale più rappresentativo della nostra generazione – …noi che eravamo giovani e rock, rivoluzionari e sognatori, negli anni ’70 – tanto che li abbiamo più volte ricordati (…è un sito di tardoni barbogi, no!?):
– David Gilmour nel 2012 come solista in: “On an island” (ma la musica ha sempre l’imprinting dei Pink Floyd);
– nel novembre 2014: “Chiedi chi erano i Pink Floyd. A volte ritornano”;
– Luciana Figini nel marzo 2021, in “Una canzone per la domenica (135). See Emily play” ricorda i veri inizi del gruppo, quando il leader era ancora Syd Barrett;
– abbiamo seguito l’altro leader del gruppo (tramontato Syd Barrett), Roger Waters, il suo immaginario segnato dalla morte del padre nello sbarco di Anzio e quel che ne è seguito, come produzione musicale e poetica (non per niente nel gruppo era chiamato “il lirico”). La cittadinanza onoraria conferitagli ad Anzio. Leggi e ascolta qui: “Lo sbarco di Anzio. La storia completa”.
Poi le musiche e le parole di The Wall (tutta opera sua); il film di Alan Parker (1982) tratto dall’album, con il titolo omonimo. La famosa Flower sequence tratta dal film (inserita in un’antologia più ampia; visionabile nell’articolo).
“La mucca sulla copertina di Atom heart mother (1970) si chiamava Lulubelle III e viveva con quattro compagne nella fattoria Potter, esattamente a metà strada tra Cambridge e Londra. La fotografò al volo Storm Thorgerson, mentre Wright, che come al solito aveva sbagliato scorciatoia, chiedeva informazioni” (dal libro)
Tutto questo per dire che i Pink Floyd li conosciamo bene – oh, se li conosciamo bene! – ma il libro di Mari ha il pregio di stupirci e di frastornarci con una quantità di informazioni tutte vere e verosimili (anche se “montate” in modo letterario).
Credo che il libro sia ben presentato nei risvolti di copertina… Che riporto.
Seconda di copertina (risvolto):
«Mio padre si chiamava Eric Fletcher Waters. Morì ad Anzio il 18 febbraio 1944. Io sono nato 165 giorni prima della sua morte. La gente mi conosce come Roger Waters, voce, bassista e autore della maggior parte dei testi dei Pink Floyd».
Inizia così una delle confessioni dell’immaginaria «istruttoria» che fa da spina dorsale a questo libro. Un romanzo che ricostruisce la parabola artistica dei Pink Floyd facendo coincidere i dati biografici con quelli fantastici, dando forma a un impasto unico modellato intorno a una delle band più celebrate del ventesimo secolo.
A sovraintendere a questa febbrile requisitoria sono «i siamesi»: due cervelli per un solo corpo, un legame conflittuale come quello che unì Roger Waters e David Gilmour. Ma qual è stato l’originario «evento scarlatto» che ha fatto dei Pink Floyd la leggenda che sono diventati?
Sappiamo che Syd «Diamante Pazzo» Barrett – dopo appena due dischi e un’esperienza psichedelica dalla quale non si riprenderà mai piú – viene allontanato dai suoi stessi compagni. È allora che decide di rinchiudersi nello scantinato della casa di famiglia a Cambridge, in compagnia delle sue amate chitarre e di tutta la musica che ha in testa. La stessa musica che, grazie ai concerti tenuti dal gruppo, continua a fare il giro del mondo: come se il talento visionario di Barrett — tramite insondabili vie oniriche – avesse continuato a influenzare sotterraneamente ogni canzone composta dagli altri Pink Floyd dopo il suo esilio.
Terza di copertina (risvolto)
L’estro catalogatore ed enciclopedico di Michele Mari si fa in questo libro vertiginoso: l’autore sembra schiudere le porte del suo laboratorio per interrogare in profondità la genesi del processo creativo. Il potere della letteratura si allea in queste pagine a quello della musica: solo cosi è possibile far dialogare i personaggi delle canzoni dei Pink Floyd con i membri stessi della band, Stanley Kubrick con le coriste, David Bowie con Michelangelo Antonioni…
Come il prisma scompone un raggio di luce mostrando lo spettro di colori che lo costituisce, così l’autore disseziona il nucleo incandescente delle canzoni dei Pink Floyd fino a svelare come dietro ogni loro singolo verso si nasconda un messaggio rivolto all’altrove.
Foto di Mick Rock per la copertina di Madcap Laughs (1970). Per l’occasione Syd aveva verniciato il pavimento a strisce rosse e blu dell’Union Jack, senonché, avendo incominciato dalla parte dove c’era la porta, era rimasto prigioniero nell’angolino opposto
Ora passiamo alla Canzone per la domenica vera e propria che vi propino oggi: The Great Gig in the Sky (Il grande spettacolo nel cielo), quinta traccia dell’album The Dark Side of the Moon, pubblicato nel 1973. E alla storia che c’è dietro (raccontata da Michele Mari).
Nel libro di Mari la genesi di questo brano viene raccontato attraverso un sogno (di Richard Wright, il tastierista del gruppo, l’unico con una formazione classica).
C’entra naturalmente, come in tutto il libro del resto, Syd Barrett come ispiratore. Nel sogno Wright che ha già composto un brano (chiamato provvisoriamente The mortality sequence), sogna più volte Syd che gli dice: – La canzone non è male, ma è mogia… ci vorrebbe qualcosa di più euforico…
– Questo sarà un disco meraviglioso – aggiunge ancora Syd – ma perché sia perfetto gli manca un tocco di…sì, un tocco di sessualità (dice proprio “sessualità”, non sensualità – Ndr)
– E a me la chiedi, la sessualità?
– A te, sì, perché gli altri sono già troppo… Oh fidati! Domani ti mando un tipino che ti aiuterà a sistemare la canzone
– Ed è arrivato “il tipino”, una vocalist che si chiamava Clare Torry, una che ha tirato fuori certi acuti, certi gorgheggi che sembravano davvero un orgasmo! Insomma, a farla breve, tra lei e me abbiamo realizzato The great gig on the sky. Gli altri sono rimasti senza parole!
Entrata in studio insieme al resto della band – siamo agli Abbey Road Studios di Londra e lei, Clare, viene scritturata da Alan Parsons, all’epoca direttore del suono del Pink Floyd. Le viene chiesto di interpretare il lungo assolo vocale del brano “The Great Gig in The Sky“, quinta traccia del disco “The Dark Side of the Moon”.
Clare Torry (Londra,1947) ha voluto dire la sua a distanza di tanti anni (fonte Wikipedia):
– Il 21 gennaio 1973 venni invitata allo studio 3 di Abbey Road. A malapena avevo sentito parlare dei Pink Floyd. La canzone che dovevo eseguire si sarebbe chiamata “The Great Gig in the Sky” e l’album – forse! – The Dark Side of the Moon. La band mi fece sentire questa sequenza scritta dal tastierista Richard Wright.
“Non cantare nulla”, mi dissero. “Improvvisa”. Immaginai la mia voce come una chitarra solista e mi sentii come una Gospel Mama. Dopo poche registrazioni il gruppo era soddisfatto e potei tornare a casa con la retribuzione che mi spettava. Era domenica e presi paga doppia: per tre ore di lavoro, 30 sterline.
A parte Gilmour, gli altri componenti della band sembravano terribilmente annoiati da tutta quella storia del disco. Mi dissi: “Questa registrazione non vedrà mai la luce!”.
Altri particolari li racconta (in un’altra parte del libro, alle pagg. 181-182) un’altra corista, Rachel Fury, una delle tre vocalist che seguono i Pink Floyd nei loro faraonici tour dal vivo:
– Tre coriste – dice Rachel – ma in un caso io ero anche la solista: nel celeberrimo assolo di The Great Gig in the Sky. Ora , non ci vuole molto a capire che cimentarsi in quel pezzo significa misurarsi con il fantasma di Clare Torry, la vocalist che lo eseguì magnificamente, anzi lo inventò, per la registazione dell’album. Io ho sempre fatto il mio meglio, ma sapevo che non era mai abbastanza. Il pubblico aveva in testa quell’esecuzione, e qualsiasi cosa io facessi non era all’altezza… Insomma, mi venne un esaurimento nervoso…
(…) – “Pare che Alan Parson le abbia detto di cantare come volesse, purché pensasse alla morte, e lei tirò fuori non si sa da dove quegli orgasmi celestiali, intascò 30 sterline (!) di compenso e sparì. E se vi chiedete perché da un certo momento in poi non mi avete più vista, è perché sono crollata: a lungo andare inseguire un fantasma rende un fantasma anche te”.
Clare Torry: “Per l’assolo vocale di The great gig in the sky fui pagata 30 sterline”
Nella realtà:
Nel 2004 Clare Torry citò in giudizio sia i Pink Floyd sia la EMI per le mancate royalty dovutele per l’album The Dark Side of the Moon, asserendo di aver contribuito anche artisticamente al brano The Great Gig in the Sky (originariamente accreditato al solo Richard Wright). All’inizio del 2005 l’Alta Corte di Giustizia britannica riconobbe valide le ragioni della cantante e la dichiarò co-detentrice dei diritti d’autore sulla canzone. Tutti i dischi stampati dopo il 2005 riportano quindi regolarmente Torry/Wright come autori del brano. Relativamente ai termini economici, si è invece raggiunto un accordo extragiudiziale, del quale non sono stati tuttavia resi noti i termini (fonte Wikipedia).
Questo il brano di cui tanto si è parlato, nell’interpretazione originale di Clare Torry:
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Nota (dal risvolto in III di copertina del libro)
I libri di Michele Mari (Milano 1955) sono Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venia pien d’angoscia a rimirarti (Longanesi1990; Marsilio 1998), La stiva e l’abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell’anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro 2010), Cento poesie d’amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007), Milano fantasma (EDT 2008, in collaborazione con Velasco Vitali).