Botanica

Lo ius soli per l’agave e il ficodindia

segnalato da Sandro Russo

 .

In merito alle recenti polemiche sul taglio dell’Araucaria nel cortile della chiesa (leggi qui), che secondo alcuni non sarebbe protetta dalla legge forestale in quanto “alloctona” (in contrario di autoctona: non originaria dell’isola) e come tale alla mercè di qualunque mandante e sicario armato di motosega, è sorta la questione di come considerare allora le agavi (i zàmperevite) e i ffechetìnie che si sono guadagnate il diritto di cittadinanza sul campo, e decenni – ma possiamo dire anche secoli – di onorato servizio sulle balze dell’amato scoglio. Presenti nei panorami dell’isola fin dalle fotografie più antiche, benemeriti (i fichidindia) per aver sfamato legioni di ponzesi: in tempi grami con solo con i frutti, ma anche con i cladodi (i ppalètte)!

Infatti non si può immaginare il paesaggio della nostra isola senza l’agave (Agave spp. – Fam. Agavaceae) e il fico d’India (Opuntia ficus-indica – Fam. Cactaceae) (1)

Le più classiche delle foto antiche di Ponza. Sopra uno scorcio dai Guarini (mai sentito chiamare Parco della Rimembranza) con tanto di fascio littorio e delle sparute agavi… Cent’anni dopo le agavi sono rigogliose; del fascio rimangono solo pochi ferri contorti. Sotto Sant’Antonio prima delle banchine. I fichidindia ci sono sempre stati, sullo scoglio sotto la via Nuova e l’hotel la Baia (che ancora non c’erano)

Serie di antiche cartoline di Ponza che documentano la presenza di agavi e fichidindia

Al tema sono stati dedicati sul sito diversi articoli (leggi qui e qui e digita – furastere – nel riquadro “Cerca nel Sito”).

Cartolina di Capri

Di tempi e luoghi più vicini a noi si ricorda l’aspra contesa che oppose  a Capri – negli anni ’60, agli inizi del boom del turismo nell’isola – gli sperimentatori/fautori dell’introduzione di nuove specie e i ‘puristi’ della flora locale; quando questi ultimi, organizzati in ronde armate di zappe e falcetti, fecero giustizia sommaria di piante considerate ‘estranee’ alla flora isolana.
Battaglia persa! Ora la flora di Capri è un meraviglioso pastiche di piante della più varia provenienza, tra cui la fa da padrone (come a Ponza del resto) la Bouganvillea (2), anch’essa pianta furastera.

Convinto fautore anch’io della “contaminazione” – in ogni campo – ho seguito con una certa preoccupazione le campagne di eradicazione del Carpobrotus dalle coste delle nostre isole giustificate, a dire dei promotori, dalla protezione delle specie autoctone (leggi qui).

Sempre nell’ambito di una migliore conoscenza del mondo vegetale piante riporto qui di seguito un interessante articolo messo da parte qualche mese fa, che tratta appunto dei tanti meriti del ficodindia.

Miracolo fico d’India, uno dei 50 alimenti del futuro
di Daniele Mastrogiacomo da la Repubblica del 20 settembre 2021

Ha regalato una chance ai contadini peruviani e secondo Wwf e Knorr è una delle chiavi per un’alimentazione più sostenibile: resiste a temperature torride e con pochissima acqua. E si presta a gelati, ceviche (3) e marmellate

Foto Miguel Urieta su Unsplash 

Lo chiamano il miracolo del fico d’india e in effetti si sta rivelando tale per migliaia di contadini peruviani e per il loro futuro. Nato nelle Americhe e da qui trapiantato anche in Europa, e nella nostra Italia, questo frutto ricoperto di spine e con una polpa gustosa e piena di semi fragranti, ha dimostrato di saper resistere a temperature torride e di aver bisogno solo di pochissima acqua per sopravvivere. Sui terreni aridi e pieni di sassi che precedono le Ande, ad altezze anche di 2mila metri, da alcuni mesi i contadini peruviani hanno ripreso a coltivare quelli che in spagnolo si chiamano tunas, frutti che ornano le punte di particolari cactus e sbocciati da fiori bianchi, rossi e gialli.

Il segreto del cactus
El Pais svela il segreto scoperto dai contadini che lavorano quelle durissime terre. “Sebbene qui ci siano solo quattro mesi di piovisco, bruma e fredda rugiada – raccontano – a differenza di altre regioni impervie riusciamo a coltivare i tunas per tutto l’anno”. Il merito è della pianta. E’ in grado di assorbire poca acqua che la mantiene umida a lungo. Anzi, se ne riceve troppa finisce per marcire”. La sua tolleranza all’arsura e alle torride temperature la rendono uno dei 50 alimenti del futuro che, secondo il WWF e la Knorr, aiuteranno a un’alimentazione più sostenibile per il mondo. Uno studio della Fao ha inoltre confermato che il fico d’india è in grado di restaurare le terre degradate, conservare l’acqua e ridurre l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera.

Un fondo per le attività dei contadini
Nella regione di Laca Laca, tre ore di auto a sud di Lima, ben il 90 per cento dei 15 ettari di terreno coltivati oggi sono ricoperti da ciuffi di cactus. Lo Stato ha voluto premiare lo sforzo di queste 40 mila famiglie contadine creando un fondo, il Sierra e Selva Alta, che oggi sostiene l’attività. I soldi vengono usati con la saggezza tipica dei piccoli coltivatori che hanno pensato bene di costruire un serbatoio d’acqua più grande di quello già esistente e che funziona con l’elettricità piuttosto che il carburante. Non è solo più economico ma inquina di meno. La corrente aziona le pompe che succhiano l’acqua raccolta nelle stagioni della pioggia e irrorano i boschetti di fichi d’india. “Qui – raccontano al quotidiano spagnolo – abbiamo subito le inondazioni della corrente del Niño che negli ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, si è abbattuto con forza. Ci sono stati smottamenti e frane, molta terra è stata portata via per opere di costruzione e alla fine è arrivato anche il Covid. Abbiamo dovuto smettere di coltivare, abbandonare i raccolti, ridurre al minimo la commercializzazione. L’unico aspetto positivo della pandemia è stato il ritorno nei campi dei nostri fratelli, cugini e amici emigrati in città”.

Se non si coltiva non si mangia
Secondo l’Istituto Grade e la Banca Interamericana di Sviluppo (BID) questa migrazione al contrario ha interessato 218 mila persone. Gente rimasta senza lavoro a Lima e in altri grandi centri e costretta a tornare nei villaggi di origine per riuscire quanto meno a mangiare. La terra anche qui ha salvato molte persone e ha dato loro l’occasione di ricominciare. I fondi pubblici e i diversi finanziamenti non sono tuttavia in grado di sostenere un settore fondamentale per la sopravvivenza della popolazione. Se non si coltiva non si mangia. Il vertice mondiale dell’Onu che si terrà giovedì prossimo è dedicato proprio a questo tema che con il cambiamento climatico è diventato impellente. In Perú, ricorda el Pais, l’83 per cento dell’alimentazione si sostiene con la produzione interna che a sua volta dipende, nella sua totalità, sulla popolazione contadina.

Gelati e marmellate
Durante la pandemia, l’associazione Laca Laca ha sollecitato un nuovo finanziamento per mettere in pratica tutte le proposte avanzate con il successo della coltivazione del fico d’india. C’è chi ha pensato ai derivati, tipo gelati, formaggi, marmellate, fino allo stesso ceviche e ai fritti. Ma si tratta di verificare la sostenibilità delle coltivazioni e il sole gioca un ruolo decisivo. Si è pensato a installare pannelli per generare energia da sfruttare per le pompe dei serbatoi d’acqua. Ma anche all’acquisto di un macchinario che toglie lo strato di spine che avvolge ogni frutto. Finora si faceva con le scope rigide o a mano, con spessi guanti. Un lavoro faticoso e paziente che prende un sacco di tempo. Fino all’uso dei tunas che si guastano o non sono così belli da poter vendere nei mercati. Servono a nutrire le tilapia (4), una specie di pesce tipico dei Tropici. Anche questi sono allevati nella comunità di Laca Laca. A loro volta arricchiscono l’acqua che viene data ai cactus. Un ciclo naturale, come si è sempre fatto nei secoli.

Note

(1) – Il ficodindia o fico d’India deve in suo nome ad un equivoco terminologico, essendo sì originario dell’India, ma delle Indie occidentali, ovvero – come erano denominate ai tempi di Colombo – dell’America centrale e meridionale.

(2) Bouganvillea spp. Fam. Nyctaginaceae, così tipica dei paesaggi africani e mediterranei… Eppure non esisteva nel Vecchio mondo: fu scoperta in Brasile nel 1768 dall’ammiraglio e botanico Louis Antoine de Bouganville e da lui prese il nome.

(3) – Il ceviche è una ricetta a base di pesce o/e frutti di mare crudi e marinati nel limone, unita ad alcune spezie come il peperoncino e il coriandolo, tipiche della gastronomia di alcuni paesi dell’America Latina che si affacciano sull’oceano Pacifico quali: Colombia, Cile, Perù, Ecuador, Panama, Messico, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Guatemala.

(4)Tilapia è un genere di pesci appartenente alla famiglia dei Ciclidi che vivono in acque tropicali in Africa, Sud America e Asia.

 

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