di Francesco De Luca
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‘A parracina è prèna: è un’espressione che ho sentito dire fra i miei compaesani dopo tutti questi giorni di pioggia. Il muro a secco s’è gonfiato al punto da somigliare ad una pancia gravida: questa la traduzione del vernacolo.
Il naturale epilogo per una pancia gravida è che partorisca la creatura, mentre per il muro a secco l’ulteriore passo è il suo venir giù. A quel punto i miei concittadini annoteranno: ‘a parracina ha figliato.
La lingua parlata utilizza le immagini più vicine e rappresentative per arrivare ad affermazioni del tutto lontane dalla realtà della campagna, del muro a secco, ed eventualmente del suo scarruparsi. Così come è logicamente lontana dal parto e dalle sue implicazioni.
La lingua utilizza la figura retorica dell’analogia. Si dice di un fenomeno per alludere ad un altro. L’allusione può essere utilizzata per le conclusioni più varie. Talvolta essa va colta, coniugata, interpretata. Per cui ‘a parracina è prèna, nel suo significato più prossimo ossia: il muro è pronto per sbottare, può aver bisogno di significati di contorno, impliciti, non dichiarati. Giacché – e così entro nel vivo della questione – la caduta del muro sarà provvidenziale? La si deve attendere con ansia? O piuttosto quella caduta produrrà una catastrofe?
Il ragionamento si fa complicato, perciò faccio chiarezza. L’implicito è e rimane nella testa di chi enuncia la frase. A noi non rimane che ipotizzare più soluzioni e ragionare su di loro, al fine di trarre qualche deduzione.
Ipotesi prima. ‘A parracina è prèna ossia non regge più l’abbondanza della poggia, in altre parole la misura è colma. In tal caso si attende la caduta come la salvezza dell’esistente, come un fausto augurio per ciò che verrà. Quando cadrà il muro, infatti, si gioirà perché la tolleranza è stata tanta, e il desiderio che ci si è tolti dal pericolo è liberatorio.
Questa analogia può trasferirsi in tanti contesti. Si prenda il più abusato: quello politico (da quello nazionale a quello locale). Chi non sarebbe d’accordo con il sentimento espresso nel: la misura è colma! Si è largamente ammosciati dal fatto che la gestione politica consumi il suo cammino, ruotando su sé stessa. Continuamente badando ai suoi intenti e lasciando dietro quelli della comunità, di cui dovrebbe tutelare gli interessi!
Prima si avvera il cambiamento e prima ci si libera dell’insoddisfazione per l’impotenza. E sì, perché la politica, come si esprime oggi nell’agone di tutti i giorni, opprime il libero pensiero. È divisiva, è contrastiva, spinge all’odio, alla sopraffazione, all’ingiustizia.
E qui si pone la seconda ipotesi: ‘a parracina è prena nel senso che è matura la condizione affinché il cambiamento avvenga. Quello che produrrà il nuovo sarà certamente più rispondente alle esigenze presenti.
Anche questa visione può essere avvicinata alla politica. D’altra parte il sentimento politico riempie tanta parte della vita, individuale e sociale, perché, in maniera distorta, lo alimentiamo con le nostre paure, insicurezze, ambizioni. Non con le idealità. Essa, la politica, nell’attuale dialettica fra le forze in campo, non è espressione naturale della vita, come è normale che sia. No, la politica è il ring in cui mettersi alla prova e lottare. Contro un nemico, quale che sia, nel convincimento, del tutto scorretto, che un nemico c’è sempre.
E non è così, o meglio, il sentimento politico non porta a questi traguardi (se non quando manca del valore morale). Il sentimento politico, non sorretto dal puntello che tutti i sentimenti umani debbono avere, ossia che il fine deve migliorare l’esistenza degli uomini in società, si priva della consistenza morale. Diviene strumento di sopraffazione.
Di ipotesi ce ne sarebbero ancora tante ma la noia verrebbe prima e allora termino qui. Confido che alla constatazione che ‘a parracina è prèna si risponda, da parte dei ponzesi:
‘a parracina ha figliato,
e si è caduta,
nuie, tutt’ assieme,
‘a izzammo n’ata vota.
Immagine di copertina: Capelvenere (Adiantum capillus-veneris L., 1753), S.A.
silverio lamonica1
7 Dicembre 2021 at 10:54
Caro Franco,
Quand’ero ragazzino, spesso mi capitava di sentire i commenti dei grandi a proposito di fidanzamenti che si prolungavano nel tempo, a volte eccessivamente: “Ma ch’aspettano a se spusa’? Ca se scarropa ‘a parracina?”
Il tuo gustoso articolo mi ha finalmente svelato il vero significato di quel detto: a quei tempi era “scandaloso” per le ragazze giungere al matrimonio in stato interessante o addirittura dopo aver partorito.
Grazie.