di Giuseppe Mazzella di Rurillo
La pandemia come rivoluzione politica
Non tutti i mali vengono per nuocere. L’epidemia del Covid-19 ha rappresentato una “rivoluzione politica, economica e sociale” più potente della “rivoluzione d’ottobre” in Russia del 1917. Una rivoluzione nelle politiche – economiche, finanziarie, sociali – in tutti gli stati del mondo pur in modi differenti.
La sensibilità o la maturità della “democrazia politica” – che è il miglior regime possibile alla prova della storia negli ultimi trecento anni – degli stati si è chiaramente manifestata con i provvedimenti concreti per combattere e sconfiggere l’epidemia diventata pandemia. Le politiche degli stati hanno subito una velocissima inversione di tendenza. Dopo oltre 30 anni di “ricorso storico liberista”, sulla scia delle tesi di Milton Friedman e della sua scuola di Chicago, è ritornata la “teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di John Maynard Keynes ingiustamente dimenticata e posta in soffitta da anni. Leader politici – come in Italia Berlusconi supportato da economisti come Martino e Marzano orgogliosamente liberisti – hanno dovuto arrampicarsi sugli specchi per riscoprirsi “liberali” e giustificare il ruolo dello stato in economia. Finalmente è apparso chiaro che il “liberalismo” è assolutamente diverso dal “liberismo”.
Hanno chiesto aiuto e sostegno dallo stato tutti. Dagli imprenditori ai salariati. L’Italia ha fatto da apripista per far capire al mondo civile che eravamo stati investiti da una sciagura mai vista prima, lontanissima da ogni nefasta previsione e di fronte a questa sciagura occorreva una unità sostanziale della civiltà. La storia rivaluterà o darà il giusto rilievo al governo del prof. Giuseppe Conte. Conte ha saputo prendere in mano la situazione. Ha imposto all’Unione Europea una politica solidale poiché in un primo momento sembrava volersi lavare le mani dal problema. Bisogna conservare memoria delle prime impacciate dichiarazioni della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, del febbraio 2020.
Giuseppe Conte
Ma l’epidemia – estesasi in Francia e Germania soprattutto che sono i due stati più forti dell’Unione Europea – ha imposto una “unione politica e solidale” con un “debito comune”. Da qui i fondi per il rilancio dell’economia e per razionalizzare lo stato. Il PNRR che assegna all’Italia 209 miliardi di euro – la cifra più alta, mentre la Francia ha avuto solo 100 – è un successo del governo Conte due. Che il governo oggi sia presieduto dal prof. Mario Draghi in un clima di solidarietà nazionale con una necessaria tregua della polemica partitica è un fatto positivo. Del resto credo che per competenza e prestigio internazionale il prof. Mario Draghi sarebbe stato chiamato comunque ad un ruolo di responsabilità nazionale invocato con largo anticipo dal prof. Giorgio La Malfa con i suoi interventi pubblici dalla Fondazione Ugo La Malfa quando Conte sembrava ben in sella.
Il ritorno delle ideologie e la “svalutazione socialista”
Sembravano morte le ideologie prima della pandemia. La pandemia le ha fatte ritornare anche alla luce dei mutamenti della storia. Così il “secolo breve” di Eric Hobsbawn è ritornato di moda. In Italia, più ancora della dissoluzione dell’ URSS nel 1991 (e della caduta del muro di Berlino del 1989) con la conseguenza del tramonto dell’Oriente e del suo sistema collettivista, abbiamo subito il dramma di “tangentopoli” con la dissoluzione dei “partiti storici” come la DC, il PSI ed il PCI. “Tangentopoli” ha distrutto il PSI – sciolto per debiti come affermò Enzo Mattina l’ultimo segretario amministrativo – e questa distruzione ha macchiato la parola stessa “socialista”. Un termine improponibile dopo tangentopoli. Già nel 1984 nel suo ultimo intervento al Comitato Centrale del PSI Riccardo Lombardi (1901-1984), il vecchio “azionista” che si definiva “acomunista” e leader della “sinistra socialista” favorevole ad una “alternativa democratica”, dichiarò che “questo non è più il mio partito”.
Riccardo Lombardi
Il PCI – appena dopo la caduta del muro di Berlino – ha dovuto fare i conti con il crollo del comunismo e trovare una nuova identità per se stesso. Poiché nomina sunt consequentia rerum – i nomi sono conseguenza delle cose – l’ ultimo segretario del PCI, Achille Occhetto, non potendo proporre ai suoi militanti la definizione “socialista” – come era logico dal lungo percorso riformista dei comunisti italiani che potevano cogliere la svolta storica di superare la scissione di Livorno dal PSI del 1921 e costituire una “casa comune per tutti i socialisti” perché eravamo tutti “riformisti” – è andato alla ricerca di una “cosa” nuova e così i comunisti sono passati dal più granitico partito “ideologizzato” a quello meno ideologico con la definizione di “Partito Democratico di Sinistra – PDS” detto della “cosa uno” poi semplicemente DS, detto della “cosa due”, e poi una fusione con i resti della DC in un unico partito detto semplicemente “democratico”. Così i due maggiori partiti della cosiddetta prima Repubblica per 50 anni alternativi, anzi con una “pregiudiziale” della DC nei confronti del PCI, hanno realizzato un “condominio litigioso” privo totalmente di ideologia perché la DC non aveva più la “dottrina sociale della Chiesa” ed il PCI non aveva più il mito della rivoluzione d’ottobre della quale già Berlinguer, con lungimiranza, aveva affermato che “si era esaurita la spinta propulsiva”. Insomma le stesse persone – D’Alema, Bersani, Veltroni, Bassolino, e molti altri venuti dalla scuola di partito delle Frattocchie – non si sono più detti “comunisti” ed è emerso il loro imbarazzo a definirsi semplicemente di “sinistra” che è termine generico e non identitario.
Così la cosiddetta “seconda Repubblica” (ma non è mai nata perché non è stata modificata la Costituzione del 1948) ha fatto germogliare a destra, sinistra, centro decine di partitini o “personali” o “personalistici” con nomi senza identità né ideologica né programmatica fino ad arrivare ad un movimento “antisistema” – il M5S – che nelle elezioni del 2018 diventa il partito di maggioranza relativa per voto popolare con circa 300 parlamentari. Facile quindi che questi partiti senza ideologia sul piano delle comunità locali – dei Comuni, delle Province e delle Regioni – non avrebbero potuto mettere radici ed infatti nei Comuni sono nate le “liste civiche” che hanno contribuito in maniera determinante alla crisi della partecipazione politica.
La pandemia ha imposto da destra e da sinistra il ritorno ad un modello di società che non potrà più essere quello di prima del “lasciar fare, lasciar passare” e del “capitalismo disumano” in tutto il mondo dagli USA alla Cina. Lo “stato sociale” è insostituibile e deve essere esteso se non altro perché si deve gestire un enorme “debito pubblico” che è mondiale.
Socialista la parola senza sinonimi
A me pare chiaro che la Sinistra non può non essere “socialista”. Ai postcomunisti ed ai postdemocristiani la parola può non andare a genio. Può essere stata macchiata da molte negative deviazioni da parte degli uomini, del resto Pietro Nenni diceva che “le idee camminano sulle gambe degli uomini”, ma la teoria generale di un liberalismo sociale è, imprescindibilmente dal socialismo, per sforzo e chiarezza di sintesi tra le libertà e le uguaglianze economiche e sociali. Quando nel 1947 si sciolse il Partito d’ Azione che è stata l’intuizione anticipatrice di uomini di enorme valore la gran parte di quella classe dirigente aderì al PSI e solo una minoranza al PRI. Al PSI aderirono Francesco De Martino, Riccardo Lombardi e Guido Calogero quest’ultimo addirittura il teorico del “liberalismo socialista”. Ugo La Malfa aderì invece al PRI. Credo che questo, da parte di La Malfa, fu un errore.
Il nome della “cosa” è a mio parere quello “socialista”. Se ne faccia una ragione chi oggi dirige il PD o il piccolo Articolo 1 – che indice delle “agorà” per discutere di futuro. Il futuro si costruisce riprendendo la partecipazione reale e non virtuale. Non esiste una seria “democrazia immediata” o una seria “democrazia diretta” stando a casa e cliccando una tastiera. La Politica ritorna con l’ impegno reale e con forti convinzioni delle donne e degli uomini prescindendo dall’età anagrafica.
Ritorna così in campo nazionale e locale. Bisogna riaprire le “sezioni”. Vedersi negli occhi. Confrontarsi in una assemblea viva per riaffermare le proprie ragioni. Riprendere il gusto della passione politica che ha segnato la mia generazione sessantottina. Riprendere l’esempio di Nenni e Lombardi. Vivevano solo con lo stipendio del partito. Lombardi aveva un piccolo appartamento acquistato col mutuo. Nenni una piccola villa a Formia che era il suo buon ritiro. Non hanno mai preso una lira o un dollaro per una conferenza.
Lombardi e Nenni
Chiudo con Nenni, forse la personalità più controversa e più complessa della Sinistra del ‘900 che non è il “secolo breve” ma il “secolo lungo” che continua anche con questo numero 21: “Il socialismo è inevitabile. Deve accadere. Ma il socialismo lo fanno gli uomini. E se gli uomini non sono all’altezza dei tempi anche quello che è inevitabile non accade”.