di Sandro Russo
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Aver assistito, qualche giorno fa, alla presentazione di Steve Mc Curry (leggi qui), ma ancor di più aver comprato e sfogliato il libro nei giorni successivi, mi hanno lasciato impressioni persistenti e interrogativi, più che risposte. Provo a mettere ordine in questi pensieri confusi, scrivendone…
Vero è che lasciano dentro il senso dell’innocenza dei bambini, ma anche, spesso, la silenziosa accusa dei loro occhi.
Rajasthan, India, 2008. Una bambina trasporta una pietra pesante
Dalla storia del cinema si impara che il cosiddetto “sguardo in macchina” era assolutamente proscritto nel cinema classico hollywoodiano. La presenza della macchina da presa doveva essere inapparente, secondo il canone classico e in nessun caso gli attori dovevano segnalarne la presenza agli spettatori del film. È stata l’azione di rottura della Nouvelle Vague francese a infrangere questa regola (1), poi comunemente accettata. E quando viene utilizzato, quello sguardo – si dice comunemente – oltre che svelare la natura dell’artificio, coinvolge e interroga lo spettatore.
Pakistan 2002. Giovane profuga afgana a Peshawar
N’Diamena Chad. 1985. Una ragazzina posa davanti a casa
Dhaka Bangladesh 1983. Una bambina va a scuola durante il monsone
Kabul Afghanistan 2002. Una bambina con il suo vestito preferito
Xigaze. Tibet (Cina) 1989. Una bambina si prepara per una giornata di scuola
Diverso il caso della fotografia. Ciascuno avrà il ricordo di qualche foto di gruppo (passata o recente) in cui il fotografo dice: Guardate a me! o Sorridete!
Quindi in fotografia l’artificio è scoperto, dato per scontato; ma spesso si opera al contrario, catturando immagini che sembrino il più possibile “naturali”, non costruite.
Maimana. Afghanistan. 2003. Un padre accompagna a casa i suoi figli, dopo una visita al mercato
Cambogia 2000. Un bimbo in un seggiolino di fortuna sulla bicicletta della madre, a Banteay Srei
Mandalay. Myanmar 2011. Un bambino mostra i muscoli nel quartiere dei marmisti della città
Kabul. Afghanistan. 1992. Un bambino accanto a suo padre
Perù. 2013. Bambino in lacrime. “Ho visto questo bambino piangere sul lato della strada in un villaggio in una zona montuosa del Perù. Alcuni degli altri bambini con cui stava giocando lo stavano tormentando. Egli aveva una pistola giocattolo in mano, mi avvicinai per vedere se potevo aiutarlo, ma il bambino non è stato in grado di rispondere perché era così sconvolto. Si allontanò verso la sua casa”.
Altro discorso importante. Spesso le foto più incisive riguardano realtà lontane da noi; spesso – nel caso di McCurry, i paesi orientali; dove ritraggono situazioni di povertà.
Vero è che la spontaneità e la naturale allegria dei bambini fanno dimenticare questi aspetti, ma il problema che si pone è: – Quanto è lecita la spettacolarizzazione del dolore o della morte?
La domanda è stata posta a McCurry durante la presentazione, dal giornalista Smargiassi, che ha appunto ricordato il caso del bambino siriano annegato, che ha suscitato un’eco mondiale qualche anno fa.
Il piccolo profugo siriano Aylan Kurdi, annegato nell’ottobre del 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum, in Turchia, ha ancora la maglietta rossa e i pantaloncini scuri, le scarpe allacciate. La fotografia del suo corpo senza vita è stata scattata dalla giornalista turca Nilüfer Demir, e si è rapidamente diffusa in tutto il mondo.
L’agente turco ha il volto tirato e la figura ricurva, mentre solleva con attenzione quel bimbo di due anni per portarlo via dal mare, troppo tardi per metterlo al sicuro ma ancora in tempo per un gesto silenzioso di pietà.
La risposta è che la sensibilità su questo tema è molto alta adesso. Non si decide a cuor leggero di rappresentare e diffondere immagini di dolore e di morte; ma qualche volta è necessario, se è l’unico mezzo (il più diretto) per riuscire a smuovere una sensibilità ottusa da troppe immagini, troppi stimoli.
Può accadere, chiede il giornalista, che il bello confligga con il giusto… Cosa accade allora? Non c’è una regola, risponde il grande fotografo, perché in molte situazioni le categorie sono inestricabili: anche in una situazione tremenda, una guerra per esempio, si trovano isole di poesia e di bellezza mentre qualche volta la bellezza ha sullo sfondo degradazione e miseria. Sono il mestiere e l’istinto che guidano in questi casi.
Roma 1990. Piazza Navona. Una bambina nasconde il suo sorriso
Mali 1987. Donna in nero con bambino
Parigi Francia. 1988. Giochi di bimbe
Marsiglia. Francia. 1989. Un ragazzo rom nella sua casa
Bylakuppe. India 2001. Monaci novizi giocano al monastero di Sera
Porbandar India 1984. Un giovane venditore di tè durante le inondazioni monsoniche
Nouakchott. Mauritania. 1986. Un bambino sulla soglia di casa
Xigaze. Tibet (Cina) 1989. Una famiglia tibetana nella propria casa
India 2007. Alla macchina da cucire
Jodhpur. India 2007. Ragazzino con capretta all’Holi Festival
– Quanto è difficile fotografare i bambini? – è un’altra domanda che fanno a McCurry. Non è facile o può essere semplicissimo, data la loro spontaneità. Problemi nascono, soprattutto diffusa in Occidente, per l’ossessione dei genitori che il fotografo abbia secondi fini; mentre in Oriente c’è più fiducia sono spesso i genitori a chiedere una foto. Piuttosto, negli ultimi anni è sempre più difficile fissare immagini spontanee di giochi di bambini, senza che compaia di mezzo l’onnipresente tablet.
Jodhpur. India 1996. Un uomo spiega al nipote come andare a prendere l’acqua con la brocca
India. Donna con bimba sotto la pioggia, oltre il vetro della macchina. Uno spettacolo usuale, per chi viaggia in Oriente
E guardare queste foto qualcosa insegna. A chi fotografa e a chi guarda, a chi viaggia e a chi semplicemente sta nel mondo e partecipa di esso.
NOTE
(1) –La Nouvelle vague è stato un movimento cinematografico francese nato sul finire degli anni cinquanta, raggruppatisi intorno alla rivista cinematografica Cahoes du Cinema. Tra i nomi più noti del movimento Jacques Rivette, Jean-Luc Godard, François Truffaut, Claude Chabrol e Éric Rohmer. Famosi gli “sguardi in macchina di Jean Seberg, protagonista insieme a Jean Paul Belmondo di Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle; J. L. Godard, 1960) e l’ultima immagine del ragazzino ne I quattrocento colpi (Les Quatre Cents Coups; F. Truffaut, 1959.
Jean Seberg
Jean Pierre Leaud l’attore feticcio di Truffaut come Antoine Doinel, nell’ultima immagine de I quattrocento colpi
N.B. – Tutte le immagini sono di Steve McCurry, tranne quattro con diversa indicazione (Aylan e le ultime due)
[Le foto di Steve McCurry mostrano un (altro) mondo (2) – Fine]