di Francesco De Luca
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“I fère assommano i pisce, i ferùne se mangieno i pisce” (1) – è la grossolana distinzione che Patalano (storico pescatore ponzese) mi sciorina… tanto è sicuro che non gliela contesto. Mi sa uomo di scuola e per le sottigliezze marine devo dipendere da chi ha esperienza di mare e lui, Patalano, ne ha tanta.
“Ancora vai a mare?” – chiedo. E lui fiero: “mo ce vaco sulo pecché nun trovo cumpagne”.
Ha già cominciato a buttare le reti a rutunne (zerri) Siamo a metà settembre, e questa pesca durerà fino a marzo.
Mi soffermo a parlare con Patalano perché pochi giorni fa è stato lui a portare a terra un elefante di mare (astice europeo, in dialetto ‘u liofante) di oltre 3 chili. “L’anno scorso ne ho presi tre. Sono rari, ma sono di grandi dimensioni. Uno di quelli dell’anno scorso aveva vari colori, rosso, giallo, arancione, e anche una botta di azzurro. Me lo comprò un turista che aveva il panfilo in rada. Stanno a quasi 50 passi (una settantina di metri)… ind’ u funnale. Si muovono poco, non sono come le aragoste, e non praticano gli scogli. Io vaco senza scandaglio… perciò quando calo le reti mi guardo intorno, specialmente per la pesca ad aragoste, per non farmi vedere dagli altri”.
“Ma siete rimasti pochi – dico io – a fare questa pesca…”
“Ma che? – ribatte – ci sono tutti quelli non professionisti… e sono tanti… e fanno lo stesso mestiere… ma non compaiono…”
“E allora?“
“E allora io ‘u petagne (segnale galleggiante che indica la presenza della rete, ma indica altresì con una sigla il padrone di quella rete) ‘u manno a ffunno, accussì non si vede”…
“Ma è contro legge” – intervengo.
Mi guarda sprezzante e… “comme aggia fà?”
Rivedo in quella espressione furbetta, in un uomo di oltre ottanta anni, smilzo, minuto nella persona, la pervicacia e l’astuzia dei nostri padri. Fiduciosi nelle loro capacità che credevano trovassero ricetto presso Dio, che esalta gli umili e depone i potenti.
Nelle mie considerazioni non è raro che decanti più la bellezza di Ponza che l’operato dei ponzesi. E questa estate, in tante manifestazioni pubbliche, lo spirito ponzese, il coraggio e l’ attaccamento al lavoro sono stati magnificati nei libri e dagli autori. In modo sperticato, a cui non aderisco perché chi si loda si sbrodola, ma è indubbio che da quello spirito multiforme, pratico e astuto, subdolo e accorto, l’identità ponzese si sia imposta nel mediterraneo.
Patalano lo sa: una volta ero un professore e lui un pescatore, oggi siamo due alunni della vita.
(1) – Questa nota non è scientificamente accertata bensì dedotta da quanto dettomi: Féra: Grampo; Ferone: Pseudorca
Nota della Redazione (notizie riprese e sintetizzate da Wikipedia)
Il grampo o delfino di Risso (Grampus griseus è un cetaceo appartenente alla famiglia Delphinidae, ed è l’unica specie del genere Grampus. Anche se è capace di notevole agilità (può raggiungere i 25 km/h), il grampo ha di solito movimenti lenti e rilassati. A differenza dei delfino comune e del tursiope, le barche non sembrano attrarre questo cetaceo, ma non è difficile avvicinarlo.
Come suggerisce il nome, la Pseudorca, detta in inglese false killer whale ovvero falsa orca, ha alcune caratteristiche come l’aspetto, in comune con la più nota Orca (Orcinus orca). Come l’orca, la pseudorca può attaccare e uccidere altri cetacei, tuttavia le due specie non sono strettamente correlate. Infatti è di norma un cetaceo socievole, vive in branchi di 10-20 individui, ma a volte si raduna anche in gruppi di oltre 300 esemplari. La pseudorca è la terza specie più grande della famiglia dei Delphinidae dopo l’orca e il globicefalo, lunga fino a 6 metri e pesante 1,4 tonnellate. Il corpo è allungato e snello, con una testa grossa che ospita l’encefalo. Possiede 22 paia di denti robusti. Le pinne sono lunghe e appuntite. La colorazione è grigio nera, più chiara sui fianchi.
Nota di Sandro Russo
Mi intrometto nel bell’articolo di Franco per aver trattato sul sito (in cinque articoli) anche la vexata quaestio dei rapporti tra i pescatori ponzesi e le fere (genericamente delfini) e l’innesco è stato la lettura di quel capolavoro misconosciuto della letteratura italiana che è l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo. Da incontri intercorrenti con pescatori ponzesi è venuto fuori che i delfini che collaborano con i pescatori a raggruppare i pesci sono i tursiopi, ghiotti di castardelli (i castauriéll’), non le stenelle (leggi qui).
Il titolo generale della mia trattazione è: “Ragazzino dell’isola e le fere. Il ‘mio’ Horcynus Orca” in cinque puntate, a suo tempo indicizzate per facilitarne la lettura:
Leggi qui la prima parte
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