di Francesco De Luca
.
’A parracina’ è un muro a secco, un semplice muro formato da pietre addossate l’una sull’altra. Cosa le regge? Le regge la terra ammassata sapientemente dietro, l’incastro delle pietre, l’avveduta inclinazione verso l’interno. Una cosa da nulla, direte, e invece no, occorre una pratica accorta affinché quel muro, privo di saldatura cementizia, regga la spinta dell’acqua, quando piove che dio la manda.
Fra l’una pietra e l’altra si crea dello spazio vuoto, così come all’interno del pietrame che si colloca fra le pietre esterne e la terra. Qui, fra quegli interstizi, le donne del vicolo ponevano buste vuote, sacchetti, involucri che infastidivano in cucina per il cattivo odore. Lo facevano così, per togliersi un fastidio, a quel tempo che l’immondizia non rappresentava un problema cruciale per le amministrazioni locali.
Era una pratica paesana, consueta, lontana dalle regole stringenti che oggi obbligano comportamenti ‘civili’, in un ambiente degradato dallo sporco e bisognoso di regole fra il consumatore e i rifiuti.
Sì, vabbè, ma quelle buste ’ncasate nei buchi della parracina che fine facevano? C’era qualcuno che le toglieva? Macchè!
Gli spazzini (oggi operatori ecologici ) toglievano il superfluo dalle strade non dalle parracine. Per cui quelle buste stavano lì per mesi. Residui di un consumo non massivo come quello attuale, ma anche di un pensiero ‘infantile’, giacché di ogni comportamento occorrerebbe prevedere gli sviluppi futuri. Se no è un gesto da immaturi, eseguito per togliersi l’incomodo, e lasciarlo ad altri (a chi non si sa).
A chi tocca togliere quelle bottiglie vuote, le buste incastrate, gli involucri di carta fetente di pesce? Gli spazzini vedevano e passavano oltre, non era sporcizia che stava a terra e perciò… passavano oltre. La parracina rimaneva macchiata dal giallo della carta di pesce, dal bianco della plastica, dal verde delle bottiglie d’acqua minerale.
Qualcosa succedeva col turbinare di una burrasca di vento. Il vicolo mostrava un volto ripulito, e anche per i buchi nella parracina sembrava essere passata la mano della padrona di casa.
Talora si accennava al sospetto che i topi in combutta, di notte, facessero razzìa.
Ma un mattino tutte le ipotesi vennero messe sul banco perché la parracina quel mattino apparve priva di ogni aggravio di rifiuti. Tanto che Civita, la donna che più spesso si liberava del superfluo in via Umberto, mettendolo nei buchi, rimase colpita e, di fronte a quella pulizia inaspettata, si inibì, portandosi di nuovo in casa quel che voleva deporre. Chi era stato?
L’arcano prende soluzione se ci si catapulta a Ponza negli anni ’60, quando l’estate era rallegrata e presa d’assalto da frotte di fanciulle, francesi e svedesi, dirottate sull’isola da una Scuola Internazionale di Lingue, inventata dal professor Silvio Baridon, operante in tutta Europa.
Ho detto rallegrata e presa d’assalto perché le ragazze, maggiorenni, mettevano in agitazione la fantasia e l’iniziativa dei giovani ponzesi, che si prodigavano per far trascorrere loro serate indimenticabili e giornate altrettanto ricordevoli.
Quell’anno i dirigenti di quella Scuola, progettarono una ‘caccia al tesoro’. Si fecero le squadre e ciascuna, interpretando un sibillino messaggio, doveva trovare quel che suggeriva il foglietto. Vinceva il ‘tesoro’ chi per primo riportava alla base quanto richiesto dal foglietto malandrino. Che così diceva: cerca nella strada del Re, non quella sotto i piedi; trova nei buchi lasciati dalla parietaria; quello che cerchi è stato rifiutato.
Ogni squadra: 7-8 ragazzi; quattro squadre; una trentina di giovani a setacciare il Porto, la Caletta, la Parata, via Umberto, ’u Cannalone, Sant’Antonio. Partenza alle ore 21, bagno a mezzanotte a Chiaia di Luna, termine alle 5 di mattino sul Lanternino; gita a Palmarola sulla barca di Giuann’ a scimmia, era il tesoro da conquistare.
Nella quiete delle notti agostane, mentre i ponzesi cercavano ostinatamente di favorire fra le porte e le finestre il passaggio del vento per rinfrescarsi, i giovani nei gruppi gironzolavano per il paese alla ricerca dei fogli criptici. Con circospezione, con complicità, nel silenzio e nell’allegria che avvicina, che abbraccia, che fa nascere amori.
Chi era stato? Erano stati loro a setacciare i muri, i buchi, le buste incastrate negli interstizi. Avevano operato un ‘repulisti’ accurato nelle strade prefissate in programma.
Le donne ponzesi rimasero meravigliate. Lì dove avevano lasciato buste e cartacce sembrava fosse passato una mano ripulitrice.
– Chicchì’… saie niente chi è stato ch’a pulezzate i parracine?” – chiedevano all’uomo che, per scelta, ascoltava i silenzi della notte e che vegliava nell’ombra.
“Sò state i munacielle … stanotte so’ passate torme ’i munacielle…” – rispondeva sommessamente con un po’ di paura.