di Franco Zecca
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Signore e signori,
vi presento ’u scetavajasse
E’ uno strumento adottato dalla musica popolare dalla Campania in giù.
Pare che nel meridione d’Italia venisse originariamente usato per mettere in riga le donne che erano al servizio delle famiglie pseudo-nobili (o meglio, quelle che avevano la possibilità economica di avere più domestiche). Erano servette, spesso giovanissime, che accudivano i signori della casa e nei momenti di stanca venivano incitate a fare di più, e con maggior lena, con il suono di questo strumento.
La forma più tipica e conosciuta era costituita da due assicelle della stessa consistenza, ma una dentellata e l’altra liscia, con dei piattini metallici di diverso diametro che mossi producevano lo stesso rumore (ma con arte diveniva suono) del tamburello basco. Eccolo di nuovo: come nel triccheballacche. Ecco accomunati i due strumenti, lo stesso suono ripetuto in maniera diversa. I due bastoncini sfregati l’uno sull’altro, spesso come l’archetto sul violino, emettono il caratteristico suono (infatti è chiamato anche “il violino dei poveri”!.
Non ho esperienza diretta con questo strumento e quindi non vi citerò personaggi e non vi racconterò fattarelli… Posso solo accennare al fatto che ho spesso sentito dire in gioventù nel rione di Forcella a Napoli, dove viveva una mia zia, in maniera molto caratteristica, la frase: “Mo te dong ‘nu scetavajasse”. Infatti il termine veniva usato per significare: se non ti dai da fare ti do un gran ceffone, uno schiaffo talmente forte da svegliarti. A Roma si direbbe: “Te do ‘na sveglia”
Di seguito un brevissimo video (inserito nel link) del suono “puro” dello strumento e, a seguire, un’applicazione pratica da parte di Nino Taranto alla risoluzione di qualche piccolo diverbio coniugale. Semplice: ’nfra ’nfra!
https://www.folkmusicworld.com/scetavajasse-strumento-musicale
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