Ambiente e Natura

Alla ricerca dei suoni perduti (3). Il triccheballacche

di Franco Zecca

.

Il triccheballacche è uno strumento musicale formato da tre martelletti, incastonati in una staffa nella parte inferiore e centralmente in un secondo telaio. I martelletti esterni si spingono contemporaneamente contro quello centrale, che è fisso, producendo il suono.
Il battito può essere arricchito da piccoli campanelli, sonagli o piattini non del tutto fermi sulle parti anteriori dei martelletti che sbattuti producono il suono simile a quello di un tamburello basco.

Deriva il proprio nome dall’unione dell’onomatopea tric-trac, che imita il suono prodotto dai martelletti che compongono lo strumento, con la parola “ballacche” che rappresenta una sorta di invito a danzare.

Da sempre colonna sonora del Carnevale e del folklore partenopeo il triccheballacche è, assieme a putipù e scetavajasse, uno degli strumenti musicali più tipici e tradizionali della zona di Napoli, ma non solo.
La sua storia è antica, tanto che se ne trovano riferimenti letterari sin dal XVI secolo, quando viene menzionato nella raccolta di poesie licenziose Inferno Napoletano, e dal XVII secolo quando compare ne Lo Cunto de’ li Cunti del Basile e diventa lo strumento di accompagnamento di “Michelemmà” una delle più antiche canzoni napoletane, pubblicata per la prima volta nel corso del secolo successivo. Per rinvenire ulteriori citazioni illustri bisogna attendere, infine, un paio di secoli, quando Totò, che nel film L’Oro di Napoli interpretava un “Pazzariello”, si faceva accompagnare dalla banda di Triccheballacche in giro per le strade per annunciare l’apertura di nuove botteghe (guarda e ascolta nella puntata precedente).

È stato impiegato tradizionalmente – ed è tuttora usato – da parte dei gruppi folcloristici della Campania, spesso durante le manifestazioni popolari di piazza, ma soprattutto durante le sfilate di maschere nei carnevali della provincia partenopea. Famose sono le Quadriglie di Palma Campania (Na), con centinaia di figuranti in costumi tipici (nelle foto qui sotto).

Di questo strumento ho il ricordo di uno spiacevole incidente che mi coinvolse e che mi procurò dolori per diversi giorni. In effetti il fatto mi è stato riferito da mia madre, perché ogni volta che avevo un forte dolore al polso sinistro, spesso per causa del tempo atmosferico – sono un metereopatico -, mi diceva che durante un carnevale a Ponza (avevo 4 o 5 anni), qualcuno in maschera, di quelle non convenzionali, e con un triccheballacche in mano mi si avvicinò all’improvviso, facendomi mettere paura. Con il mio indietreggiare sono inciampato e caduto malamente, procurandomi una distorsione al polso sinistro.

Subitamente mia nonna (del ristorante Zi’ Capozzi) mi bendò la parte dolorante frapponendo nella fascia di garza una moneta di rame per attenuare il dolore. Pochi giorni dopo il polso guarì, ma come già detto, ancora oggi ne risento il disturbo fisico.
Pare che per quell’incidente sia nata la mia avversione a partecipare a qualsiasi tipo di manifestazione carnevalesca.
Ma questa è un’altra storia.

Da YouTube, MichelemmàGruppo folcloristico ‘a Sunagliera
Parole di anonimo (1600). Musica di anonimo. Composta nel 1600, pubblicata nel 1700 in una raccolta di Salvator Rosa. Nel video (scelto tra i tanti) il componente del gruppo vestito da Pulcinella suona appunto il triccheballacche.

Michelemmà significa forse “Michela è mia”, oppure è un intercalare, tipo: “Michela là, Michela là”. Nel testo si parla di “scarola” che potrebbe significare “schiava”, ma alcuni propendono per “ragazza riccia” (dizionario di napoletano di Antonio Altamura).
Come spesso capita nelle canzoni d’epoca, qui non si parla di una ragazza in carne ed ossa, ma piuttosto di un simbolo, forse un’isola (l’isola d’Ischia?) che sta in mezzo al mare (è nata a’mmiezz’u mare), molto “riccioluta” (in rilievo), dove i saraceni usano sostare, e che ognuno vorrebbe per sé.
Michela potrebbe anche essere il santo patrono (San Michele). Il testo della canzone è infatti ispirato a un canto popolare che fu raccolto in Serrara d’Ischia.

.

YouTube player

.

[Alla ricerca dei suoni perduti (3). Il triccheballacche – Continua]

1 Comment

1 Comments

  1. La redazione riporta un commento di Maddy

    11 Luglio 2021 at 17:11

    Maddalena Del Ponte, che ci segue sempre con attenzione e affetto, ci ha inviato questo breve messaggio: “L’ultimo articolo che ha scritto Franco Zecca mi ha fatto venire in mente questo brano”. L’articolo cui Maddy si riferisce riguarda gli antichi strumenti musicali napoletani che con arguzia e passione il nostro Franco sta proponendo ai lettori di Ponzaracconta, con un lusinghiero seguito.
    Il brano invece è “Allerìa” del 1971 cantato da Gianni Nazzaro: in esso vengono citati proprio questi strumenti popolari di una volta, anche alcuni che l’amico Franco sicuramente starà per proporci. Il video appartiene all’archivio personale di Pietro Catauro.

    https://youtu.be/zzZ26DSwIHE

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top