di Paolo Mennuni
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Esami scientifici sulla sostanza contenuta nelle ampolle sono stati eseguiti in più occasioni. Secondo la più recente del 1991, si tratterebbe di una sostanza tissotropica, cioè di una sostanza colloidale che soggetta a urti o scosse passa dallo stato solido a quello fluido e, più precisamente, di ossido ferrico (prodotto vulcanico) che, in soluzione acquosa con aggiunta di carbonato di calcio e cloruro di sodio, assumerebbe una colorazione rosso scura. I prodotti e le tecniche impiegate sono state proprio quelle in uso nel XIV secolo. La prima liquefazione del sangue si sarebbe verificata, infatti, nel 1389!
Tutto ciò sarebbe il frutto del lavoro indefesso e snervante degli alchimisti che ogni tanto, mentre ricercavano affannosamente la pietra filosofale o l’elisir di eterna giovinezza, scoprivano anche sostanze particolari che poi saranno adoperate dai loro discendenti: i chimici!
Comunque, S. Gennaro non è il solo ad esibirsi nell’emofusione, tra i santi che affollano la tradizione partenopea, ben altri cinque avrebbero seguito il suo esempio e li ricordiamo: S. Luigi Gonzaga, S. Stefano, S. Alfonso M. de’ Liguori, S. Lorenzo, S. Pantaleo e S. Patrizia.
San Gennaro in esilio
Non tutti sanno che San Gennaro è stato un perseguitato politico, oltre che sotto Diocleziano, anche in tempi storici recenti!
È nota l’importanza che il popolo napoletano annette al “miracolo” ed ai significati allo stesso attribuiti. Se il miracolo avviene è di buon auspicio se non avviene eventi nefasti si prospettano.
La liquefazione del sangue avvenuta nel lontano gennaio del 1799, in pieno regime repubblicano, quando Ferdinando IV dovette riparare a Palermo, costò al Nostro un esilio di quindici anni circa! Infatti ebbe termine con la restaurazione ed il ritorno definitivo del Borbone non solo dopo la repubblica, ma addirittura dopo la parentesi napoleonica.
In quel periodo S. Gennaro fu sospeso, come patrono, e sostituito con S. Antonio di Padova e la cosa è stata ricordata in maniera divertente, in una poesia in lingua di De Caro, che nella quartina più colorita e significativa recita:
“Ma c’he fatto San Gennà?
He traduto ’o rre Burbone!
San Genna’ sì ’nu ’nfamone
e nuie t’amm’ ’a castigà!”
E il castigo durò, più o meno, fino al congresso di Vienna!
San Pantaleo e Santa Patrizia
Naturalmente, in questa rassegna, parleremo incidentalmente anche di altri santi non strettamente legati alla tradizione che riguarda la Città ma anche di quei personaggi e quegli episodi che si legano all’argomento.
S. Pantaleo, infatti, non è in elenco e le sue reliquie sono custodite nel Duomo di Ravello però, oltre a praticare il “prodigio” è oggetto di quelle invocazioni che formano l’oggetto di questa seconda parte della trattazione.
San Pantaleo, icona bizantina (Monastero di Santa Caterina, Monte Sinai)
Pantaleo di Nicomedia era medico ed esercitava la professione alla corte del Cesare Galerio ed era il suo medico personale, cosa che non valse a evitare le persecuzioni di Diocleziano più o meno nello stesso periodo di S. Gennaro. Patrono dei medici (insieme ai santi Cosma e Damiano) e delle ostetriche. A lui si rivolgono ovviamente i malati e, tra questi anche i… ludopatici (nella fattispecie, i maniaci del gioco del lotto), con la seguente giaculatoria:
“S. Pantaleo santo, / ’ncopp’ a ’sta terra patisteve tanto.
A Napule nascìsteve / a Roma murìsteve.
Per la Vostra santità / dateme tre nummere, pe’ carità!”.
Più nutrita e colorita è la storia di Santa Patrizia, ma non senza ricordare che nella fantasia popolare spesso è confusa con il suo omonimo S. Patrizio, per cui, per recriminare su uno spreco di ricchezza si dice:
“’Nce vulesse ’o puzzo ’e Santa Patrizia!”.
Oppure, per una cosa di valore non facilmente recuperabile:
“Nun ’a fa’ cadé dint’ ’o puzzo ’e Santa Patrizia!”.
Chiesa di San Gregorio Armeno – Cappella di Santa Patrizia
Santa Patrizia
Santa Patrizia, le cui spoglie mortali sono conservate nella chiesa dei Santi. Nicandro e Marziano in via di S. Gregorio Armeno, la strada dei presepi, era una nobile bizantina nipote, sembra, di Costantino. Per sfuggire ad un matrimonio di stato, dal momento che aveva deciso di votarsi alla castità, s’imbarcò alla volta di Napoli onde poi proseguire per Roma, dove si fece imporre il “velo virginale” da papa Liborio. Tornata a Bisanzio donò tutte le sue ricchezze ai poveri e s’imbarcò per la Terra Santa ma, a causa di una tempesta fece naufragio a… Napoli sull’soletta di Megaride, il che sembrerebbe un po’ opinabile. Forse aveva preso la nave sbagliata!… Per inciso l’isoletta di Megaride è quella su cui insiste il Castel dell’Ovo con il Borgo Marinaro, già villa di Lucullo, e su cui sarebbe morta sfinita anche la sirena Partenope nel suo tentativo disperato di inseguire Ulisse.
Il Castel dell’Ovo (castrum Ovi, in latino), è il castello più antico della città di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del golfo. Il castello sorge sull’isolotto di tufo di Megaride, propaggine naturale del monte Echia, che era unito alla terraferma da un sottile istmo di roccia. Questo è il luogo dove venne fondata Parthènope nell’VIII secolo a.C., per mano cumana
Comunque la sua avventura continua nella sua nuova città fino alla morte ma i suoi miracoli ne ampliano la fama per cui, circa cent’anni dopo, un cavaliere, venuto da Roma per adorarne la salma, approfittando di un momento di distrazione delle suore custodi, tenta di strapparle un dente come reliquia da portare via. Dall’alveolo, però, esce un fiotto di sangue come se la santa fosse ancora viva e le suore subito accorse si preoccuparono di raccoglierne una parte che misero in alcune ampolle che ostentano, ancor oggi, alle giovani in cerca di marito. Il “miracolo” si ripete con molta generosità anche più volte nella stessa settimana.
Sant’Antonio (disambiguazione)
S. Antonio… Quale? Sì, perché i santi sono due e potrebbero venire confusi. I napoletani, per ovviare, li chiamano uno in italiano, cioè S. Antonio di Padova, l’altro più confidenzialmente Sant’Antuono, in napoletano! In effetti il popolo è più affezionato al secondo che al primo; infatti S. Antonio Abate è molto più popolare e ritorna in molti detti e motti.
Diremo di entrambi…
Antonio di Padova,
al secolo Fernando Martins de Bulhões, era in realtà portoghese (Lisbona, 1195 – Padova, 13 giugno 1231), è stato un religioso e presbitero appartenente all’Ordine francescano, proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1232 e dichiarato dottore della Chiesa nel 1946.
Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide e ascoltò di persona san Francesco d’Assisi.
Antonio fu incaricato dell’insegnamento della teologia e inviato dallo stesso san Francesco a contrastare in Francia la diffusione del movimento dei catari, che la Chiesa di Roma giudicava eretico. Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all’età di 36 anni.
Sacerdote e dottore della Chiesa. Fu frate prima agostiniano poi francescano, abile oratore, e insegnò in diverse università d’Europa. Quando si stabilì definitivamente a Padova, dove morì nel 1231, si dedicò esclusivamente alla predicazione. È protettore di orfani, prigionieri, naufraghi, donne incinte, donne sterili, bambini malati, vetrai e reclute. Ma a lui ci si rivolge anche per ritrovare gli oggetti smarriti.
Ecco la preghiera: «Sant’Antonio dalla barba bianca, fammi ritrovare quello che mi manca (3 volte) / Sant’Antonio di velluto, fammi ritrovare quello che ho perduto (3 volte)».
Di S. Antonio da Padova si celebra la generosità nel fare le grazie per cui si dice: “S. Antonio assai putente/ ne fa tridece ’int’ a niente!” – Cioè S. Antonio fa tredici grazie al giorno ma non si sa se per tutti o a ciascuno!
E anche ricordato qui per la sua supplenza come protettore di Napoli, durante “l’esilio” di S. Gennaro.
Sant’Antonio Abate (Sant’Antuono)
Egiziano, vissuto nei primi secoli del cristianesimo, fu un cenobita, quindi ritenuto il fondatore del monachesimo cristiano. È detto anche: S. Antonio l’Anacoreta, S. Antonio il Grande, S. Antonio d’Egitto, S. Antonio del deserto, S. Antonio del fuoco e, per finire, S. Antonio Abate. È rappresentato con un bastone caratteristico a forma di lettera T, detto anche tau, e sempre accompagnato dal fido maiale, ’o puorco, sul quale si appuntano i motti e i detti popolari.
Le tentazioni di Sant’Antonio, incisione di Martin Schongauer, ca 1490
Condusse fin da giovane una vita di penitenze e privazioni che, però, non gli impedirono di raggiungere la veneranda età di 105 anni, un record per quei tempi! Da vivo rimase sempre in Egitto, in prossimità del Mar Rosso, da morto, invece, viaggiò molto perché le sue spoglie furono portate prima ad Alessandria (565), successivamente a Costantinopoli (635) di lì in Francia, tra il IX e il X secolo, dove si trovano tutt’ora ad Arles dal 1492.
È un santo taumaturgo e protettore degli animali, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il giorno della sua ricorrenza, il 17 gennaio, gli animali domestici vengono portati sul sagrato e benedetti, con ciò ponendoli sotto la protezione del santo. La tradizione di benedire gli animali (in particolare i maiali) non è legata direttamente a sant’Antonio: nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all’ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di sant’Antonio.
Secondo una leggenda del Veneto e dell’Emilia, la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio e si racconta di un contadino che, preso dalla curiosità di sentire le mucche parlare, morì per la paura.
Il suo attributo di Sant’ Antonio del fuoco si riferisce al mito che, recatosi all’Inferno per recuperare un’anima che Satanasso indebitamente aveva sottratto al Padreterno, con la punta del suo bastone avrebbe rubato il fuoco ai diavoli per darlo agli uomini. Fatica inutile perché, evidentemente, nessuno lo aveva informato che, alcuni secoli prima, ci avesse già provveduto un certo Prometeo!
Herpes zoster toracico (malattia virale a carico della cute e delle terminazioni nervose, causata da un herpesvirus (varicella-zoster virus)
Comunque viene invocato anche per l’herpes zoster, detto anche fuoco di San’Antonio, e i suoi frati allevavano maiali per ricavarne il grasso che, mescolato con erbe medicamentose, veniva distribuito a chi ne faceva richiesta, per alleviare le sofferenze delle persone affette da quel morbo. Il rimedio veniva spesso spalmato sul retro delle figurelle che i fedeli applicavano sulle parti infiammate e sofferenti, in maniera tale che il sollievo fosse attribuito al Santo.
Anche qui cade a proposito una giaculatoria:
“S. Antuono abbate putente / libberace da ’o ffuoco e d’ ’a mala gente!”
Comunque, seguendo un antichissimo rituale, forse addirittura pagano, i napoletani nella sua ricorrenza innalzano cataste di legna e di mobili vecchi dandovi fuoco e facendo addirittura a gara, tra i diversi vicoli, a chi fa il falò più imponente. Molto spesso, poi, intervengono i vigili del fuoco per mettere la cose a posto, però, a questo punto anche S. Antuono è chiamato in causa:
“S. Antuono vicchiariello / chesta casa sta’ a guardare,
scampanéa lu campaniello / si se stesse ad abbrusciare!”
Quando S. Antuono fa i miracoli c’è anche il ringraziamento:
“I’ ringrazio a S. Antuono / stevo malato e mo sto buono,
stevo a latte e mo sto a vino/ ero ciunco e mo cammino.
Mo lassateme cantà: /comm’è bella ’a libbertà!”
Molto famoso è anche il suo fido compagno: il maialino, più precisamente ’o puorco, sul quale si appuntano molti detti e battute.
Capita spesso che qualche persona del nostro entourage frequenti con passione assidua una persona che non risponde ai canoni di Prassitele o di Mirone, allora per spiegare che l’amore è cieco si giustifica il tutto dicendo: “Pure S. Antuono s’annmuraje d’o puorco!”, nel senso che gli si affezionò.
Ancora, quando qualcuno è perseguitato dalla sventura, si giustifica il fatto come una punizione divina per colpa grave e si conclude con: “Chillo s’è arrubbato ’o puorco ’e S. Antuono!”.
Ancora, per indicare una persona che si intrufola ad una festa per sbafare o godere uno spettacolo si dice fare “cumm’ ’o puorco ’e S. Antuono”, che per seguire ovunque il suo protettore ne approfittava largamente.
La popolarità di questo santo è molto grande e diffusa. Lo testimoniano le cantilene abruzzesi rese famose da I Gufi in S. Antonio a lu deserte…
Da YouTube – I Gufi a colori – Sant’Antonio a lu Desertu – (Anonimo): Roberto Brivio, Gianni Magni, Lino Patruno, Nanni Svampa 1980/81
[San Gennaro e… gli altri (2) – Continua]
Sandro Russo
3 Luglio 2021 at 06:44
Sto apprezzando molto la presentazione di Paolo Mennuni su S. Gennaro e gli altri (52!) santi protettori di Napoli (la chiusa con la prossima puntata).
Chiunque come me poco esperto del campo, se interrogato su chi sia il protettore di Napoli avrebbe risposto senza dubbio: S. Gennaro!… Invece no!
Come pure non sapevo che non fosse un santo del posto, ma – per così dire -, oriundo, preso da fuori, come un calciatore di grido – un nome a caso: Maradona! – chiamato quando la squadra non funziona.
Infatti lui beneventano, martirizzato a Pozzuoli nel 305 d.C. (sotto Diocleziano) fu richiamato in servizio 1300 anni dopo, (precisamente nel 1631) dopo quando la città di Napoli era funestata da guerre, pestilenze e (non ultima) dall’eruzione del Vesuvio.
Le sue reliquie portate in processione ed esposte di fronte al vulcano attivo fermarono la lava e anche le altre disgrazie si risolsero a breve. Poi dice che uno non diventa credente!?
Trovo che il tono dell’articolo, lungi dall’essere irridente, sia rispettoso e storicamente documentato (quando possibile), interpretando genuinamente l’animo popolare che nei Santi cerca conforto e sostegno nelle avversità; e anche le benevole ironie, trattandosi di napoletani, fanno parte dell’insieme e suonano affettuose e manifestazione di fede.